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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

Shanti Sahara: “Così curiamo i bimbi malati dei campi profughi”

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di ALBERTO BRUZZONE

Ai bambini meno fortunati regalano un sorriso, una speranza ma anche la concreta possibilità di guarire dalle loro malattie. Che sono, in parecchi casi, molto gravi.
Dal 2012 l’associazione Shanti Sahara opera in Italia per uno scopo che più nobile non si può: curare i piccoli provenienti dall’Africa e restituirli alle loro famiglie in modo che possano avere un futuro dignitoso.
E’ il progetto denominato ‘Accoglienza estiva – Piccoli Ambasciatori di Pace’ con cui, ogni anno, vengono ospitati nel nostro paese bambini con disabilità – tra i 6 e i 15 anni – per intraprendere percorsi sanitari specialistici non disponibili nei campi profughi. Il tutto a metà tra la Lombardia e la Liguria, tra Milano, Chiavari e Lavagna, tra l’ospedale San Raffaele e il Gaslini, tra i navigli e il golfo del Tigullio. Perché, nei due mesi di permanenza dei ragazzi, non ci sono solamente dottori, radiografie, visite, prelievi del sangue, ma anche una sana vacanza, il gioco, tutte quelle situazioni che servono a curare la mente, oltre che il corpo.
Shanti Sahara nasce proprio con questa missione: fare da custodi a dei piccoli angeli. Nel direttivo ci sono ragazzi di Milano e di Chiavari: Bianca Branchetti, Luca Defilippi, Marina Dotti, Michele Foggetta, Elisabetta Marzo, Maria Petrosino e Gaia Armenes. Oltre a decine di volontari e una ‘base’ nei campi profughi del deserto (sotto il Marocco e la Mauritania), da cui questi piccoli provengono.

Bianca Branchetti, chiavarese, è tra le anime di Shanti Sahara: “I bambini di cui si occupa l’associazione – racconta – sono profughi, nati e cresciuti in esilio in una terra ostile: vivono nei campi di Smara, Laayune, Ausserd, Dakla e Bujdour, nel deserto del Sahara, in territori di competenza algerina. Non soltanto: quelli di Shanti Sahara, infatti, sono bambini disabili, con problematiche sanitarie più o meno invalidanti che vanno dall’epilessia, alla tetraparesi spastica. Sono anche bambini spesso denutriti e/o malnutriti e che vivono in condizioni igieniche precarie. Nei campi profughi, infatti, non c’è acqua corrente né elettricità, spesso scarseggiano cibo e medicine. Mancano professionisti sanitari che possano seguirli in percorsi diagnostici, curativi e/o riabilitativi”.
Oltre alla sfortuna di essere poveri, anche quella di essere gravemente malati. Bianca, una bella ragazza dallo sguardo fortemente espressivo e il sorriso contagioso, sembra nata apposta per allargare il cuore di questi piccoli. La loro storia lo fa diventare piccolo piccolo. L’amore che i ragazzi di Shanti Sahara sanno trasmettere, lo trasforma in grande grande. Un cuore grande così.
“Nell’ambito del progetto – prosegue la Branchetti – organizziamo ogni anno l’accoglienza estiva di un gruppo di minori disabili di nazionalità saharawi perché possano accedere a cure e servizi sanitari non disponibili nei campi profughi da cui provengono. Con l’aiuto di volontari italiani e internazionali, i bambini trascorrono la loro estate nelle province di Milano e Genova, dividendosi tra visite specialistiche e giornate all’insegna del divertimento”.
In questo momento si trovano a Cernusco sul Naviglio, dove sono arrivati ai primi di luglio. Nel Tigullio, invece, giungeranno i primi di agosto e saranno ospitati in corso Genova a Lavagna, nei locali sottostanti alla chiesa di Santa Maria Madre. “Qui hanno tutto: servizi igienici, cucine, letti, parco, campetto da calcio. Le cure mediche garantite da alcuni medici del posto mentre, nei casi più complessi, andremo al Gaslini”.
E i casi complicati non mancano. Ma neppure le storie a lieto fine. Come quella di una bimba nata con i muscoli attaccati alle ossa e che, dopo numerose cure, sta riuscendo a muovere i primi passi. O un’altra che sin dalla nascita non poteva utilizzare un braccio e che è stata riabilitata completamente.
Episodi veri, pieni di vita, di voglia di cambiare. Il solo ascoltarli prima scuote, poi rasserena. “E’ lo stesso effetto che fa anche a noi. Molto spesso capita che per certi casi non bastino due mesi a effettuare una diagnosi e individuare la terapia migliore. Allora succede che alcuni bambini o rimangono per altro tempo, grazie all’ospitalità di qualche famiglia, oppure tornano l’anno successivo, per completare visite e cure. Quando se ne vanno, ci si spezza il cuore. Molti magari li rivedremo, alcuni sappiamo che non li rincontreremo mai più”.
E’ un legame che si lacera, perché in questo tempo “nonostante sembri poco, quei bimbi diventano come i nostri figli, come i nostri fratellini e sorelline. Ma a un certo punto è giusto che tornino a casa loro, dove hanno una famiglia che li aspetta”.
I genitori veri, a proposito: persone che non hanno nulla se non la miseria. E che affidano i loro piccoli a questi volontari e ai medici, pregando per il miracolo. I bimbi partono dalle zone desertiche con uno zainetto malandato. Ma mai a mani vuote. “Portano sempre dei doni per noi – spiega Bianca Branchetti – I loro genitori ci tengono moltissimo. Spesso ci donano tutto quello che hanno. E scrivono delle lettere di ringraziamento stupende”.
La lingua è un dialetto derivante dall’arabo. Si chiama Asante e, negli anni, i ragazzi di Shanti Sahara hanno imparato “almeno il minimo vocabolario di sopravvivenza. C’è da dire che, essendo in molti casi ex colonie, questi ragazzi sanno lo spagnolo e i loro accompagnatori lo parlano benissimo”.
Naturalmente, il lavoro di Shanti Sahara non dura due mesi. Ci sono gli altri dieci per la preparazione, i contatti con i loro referenti in Africa, le visite ai bambini direttamente a casa loro, l’organizzazione del soggiorno, la prenotazione delle visite mediche. Una macchina che va messa a punto in ogni dettaglio. “Man mano che passano gli anni – racconta Branchetti – devo dire che tra Lavagna, Chiavari e Sestri Levante diventiamo sempre più popolari. Le persone ci invitano, gli stabilimenti balneari pure, abbiamo un programma sempre molto ricco. Siamo stati all’Acquario di Genova e mi ricorderò per sempre la magia negli occhi dei bambini che vedevano i vari pesci. Per noi è un lavoro, ma anche un’emozione continua”. E poi, grazie alla cooperazione del volontariato internazionale, “durante i due mesi intorno ai bimbi si forma una vera e propria torre di babele”.
Le parole ‘ruspe’, porti chiusi, ‘risorse’ qui sono bandite. Come si fa a ragionare con quell’aridità, di fronte agli occhi di un bimbo che chiede solo di essere aiutato? Solo chi non conosce frontiere, né fisiche né di spirito, può stare in Shanti Sahara. E fare questi piccoli grandi miracoli quotidiani. “Lo scopo sanitario – conclude Bianca Branchetti – resta il principale. Ma anche quello ludico ha la sua importanza”.

Serve a guarire i curati, ma spesso anche i curanti, in un mondo dove dominano altri valori e altre logiche. E non è affatto retorica. Una bellissima frase dai ‘Diari’ di Keith Haring, famoso artista americano, ce lo ricorda: Children know something that most people have forgotten: i bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.

L’INTERVISTA DI MARISA SPINA A BIANCA BRANCHETTI

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