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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

Scomparso nel silenzio: il caso Abrego García e il patto oscuro tra USA ed El Salvador

Deportato illegalmente dagli Stati Uniti e detenuto senza processo nel carcere più temuto di El Salvador, Kilmar Abrego García è scomparso nel vuoto tra due Stati
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di GIACOMO STIFFAN *

Aveva moglie, casa e un ordine della Corte Suprema che lo proteggeva, ma è finito nel carcere più spietato dell’America CentraleKilmar Abrego García è scomparso in uno di quei buchi neri della giustizia, dove le mappe politiche non bastano a spiegare la traiettoria di un destino. Il suo ultimo indirizzo conosciuto era Hyattsville, nel Maryland, dove viveva con la moglie statunitense e dove un giudice federale aveva ordinato che non venisse deportato. Tuttavia, nel 2020, in pieno fermento politico durante l’amministrazione Trump, Abrego García viene caricato su un volo per El Salvador. Sparisce tra le carte bollate e riappare solo anni dopo tra le mura del CECOT, il carcere-fortezza costruito dal presidente salvadoregno Nayib Bukele dove rinchiudere i presunti membri delle gang. Nessuno, né a Washington né a San Salvador, sembra volerlo rivendicare.

Abrego García era un cittadino salvadoregno con un percorso di vita stabile negli Stati Uniti. Aveva ottenuto un permesso temporaneo per restare nel Paese dopo aver richiesto asilo in attesa di una sentenza definitiva. La Corte Suprema aveva accolto un ricorso contro la sua espulsione, riconoscendo la necessità di ulteriori esami sul rischio di persecuzioni in caso di rimpatrio, ma quest’ordine non è bastato. Come documentato da Human Rights Watch e da un’indagine congiunta di The Intercept ed El Faro, il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha comunque eseguito la deportazione, aggirando l’ordine giudiziario e sfruttando una zona grigia normativa, con il silenzio complice del Dipartimento di Giustizia.

A rendere più complicato il destino di Abrego García è stata la posizione del governo salvadoregno. Lontano dall’offrire collaborazione o chiarimenti, l’esecutivo guidato da Bukele ha preferito alimentare una narrazione muscolare, in cui Abrego García viene dipinto come affiliato a gruppi criminali. La realtà dei fatti è che Abrego García è detenuto da innocente, senza essere mai stato accusato o condannato né negli Stati Uniti né a El Salvador. Tuttavia, la propaganda statale non ha avuto esitazioni nel descriverlo come “terrorista”, termine mai come oggi abusato per giustificare misure eccezionali e forzare le regole del diritto. In parallelo, la cooperazione tra Stati Uniti ed El Salvador nella guerra alle gang è diventata più stretta, con Washington che ha chiuso più di un occhio sulle violazioni dei diritti umani in nome della stabilizzazione regionale. Bukele, da parte sua, ha sfruttato episodi come questo per rafforzare la propria immagine di leader inflessibile, pronto a tutto per garantire sicurezza interna.

Nel cuore della strategia repressiva di Bukele c’è il Centro de Confinamiento del Terrorismo, o CECOT. Costruito in pochi mesi nel 2023 e descritto come il carcere più grande e sicuro dell’America Latina, può contenere oltre 40.000 detenuti. L’obiettivo dichiarato è isolare i membri delle maras, le gang responsabili di migliaia di omicidi nel Paese, ma secondoAmnesty International e rapporti dell’ONU, la realtà è ben diversa. Dentro il CECOT finiscono spesso persone arrestate senza prove e tenute in detenzione preventiva per mesi, se non anni. Le condizioni sono durissime: celle sovraffollate, accesso limitato all’acqua e al cibo, contatti con l’esterno ridotti al minimo.

La recente visita del senatore democratico Chris Van Hollen a San Salvador ha rappresentato un momento cruciale nella vicenda. Dopo essere stato inizialmente respinto all’ingresso del carcere, Van Hollen è riuscito a vedere Abrego García in un hotel della capitale, in un incontro organizzato in extremis e poi strumentalizzato dalla propaganda del presidente Bukele. Il leader salvadoregno ha pubblicato foto dell’incontro insinuando che Abrego García si trovi in condizioni confortevoli, arrivando persino a far posizionare due margarita scenici sul tavolo per fingere un clima disteso.

Tuttavia, dietro la messinscena si cela una realtà che resta immutata. Il governo statunitense, pur riconoscendo l’errore, non ha ancora compiuto passi concreti per garantire il rimpatrio di Abrego García, nonostante un ordine della Corte Suprema del 10 aprile scorso imponga all’amministrazione Trump di “facilitarne” il ritorno riconoscendo che la sua deportazione a El Salvador è avvenuta in violazione di un ordine giudiziario che ne vietava la rimozione. La Corte ha sottolineato che l’azione del governo ha ignorato le protezioni legali accordate ad Abrego García, il quale era stato autorizzato a rimanere negli Stati Uniti a causa del rischio di persecuzione nel suo Paese d’origine. Tuttavia, l’interpretazione dell’amministrazione del termine “facilitare” è stata restrittiva, sostenendo che non implica un obbligo di negoziare attivamente con El Salvador per ottenere il rilascio di Abrego García. Questa posizione ha sollevato preoccupazioni tra i difensori dei diritti civili, che vedono in essa un pericoloso precedente.

Il caso, infatti, apre un interrogativo inquietante sulla tenuta del sistema legale statunitense. Un ordine della Corte Suprema è stato apertamente ignorato, senza conseguenze apparenti. Il Congresso non ha aperto inchieste, la stampa nazionale ne ha parlato poco e nessun funzionario ha subito procedimenti disciplinari. Quando un potere esecutivo può disattendere la massima autorità giudiziaria del Paese senza renderne conto significa che qualcosa si è incrinato. La legittimità delle istituzioni si basa sull’equilibrio dei poteri e quando questo equilibrio salta, come mostra il caso in questione, significa che è in atto una vera propria erosione silenziosa dello stato di diritto, spinta dal populismo che antepone la sicurezza alla giustizia.

(* vicedirettore di Jefferson – Lettere sull’America)

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