di DANILO SANGUINETI
L’inequivocabile ronzio che segnala la presenza di uno sciame è il più efficace segnale – non c’è cartellone, insegna o display che tengano – della presenza in loco di un’azienda tra le più dolci che si possano immaginare: una apicoltura, a dirla breve una fabbrica di miele, il dorato liquido che con magico ingegno e imbattibile operosità viene prodotto dall’esemplare più stupefacente nella classe degli insetti.
Il miele, un commestibile naturale e soprattutto, cosa che di questi tempi è di importanza primaria, raccoglibile e usabile senza che ciò sia impattante sull’ambiente circostante e avendo incidenza zero per l’equilibrio dell’ecosfera. Tra le energie rinnovabili andrebbe messa anche l’arnia. Il palazzo-fabbrica delle api, una enclave retta da leggi che fanno sballare naturalisti e sociologi per l’intreccio quasi matematico di azioni e rapporti tra i componenti del gruppo. Verrebbe da pensare che sia una attività, quella dell’apicoltore, da incentivare perché reca con sé una sfilza di vantaggi e pochi pochissimi svantaggi.
È il custode di un eden svolazzante, una terra solo di miele, magari senza latte, ma pare pur sempre di stare in territorio sacro. In un mondo perfetto forse sì, in Italia ad inizio del terzo decennio del secolo ventunesimo ‘nì’. Lo fa capire con scarna ruvidezza Remo Chioino, un giovane vecchio; all’anagrafe ne fa 33, nel pensiero e nella caparbia con la quale porta avanti l’Apicoltura La Roverella a Zerli, scoscesa frazione del comune di Ne, paiono molti di più.
Nel raccontare la storia della sua azienda si avverte la tensione di chi non vuole cadere nel patetico e al contempo sia seriamente preoccupato per quanto gli riserva l’avvenire. “A sorreggere me e la mia compagna (Senija Maria Baltic, ndr), cioè l’intera forza lavoro della ditta, c’è il convinto amore per quello che facciamo. Sarebbe molto facile gettare la spugna perché quanto è accaduto e quanto sta accadendo nel nostro piccolo grande mondo è allarmante. Le api ‘sentono’ che qualcosa non va nell’ambiente e reagiscono di conseguenza. E temo che possa essere solo il preambolo per qualcosa di ancora peggio”.
Un esordio che spaventa, poi subentra l’orgoglio per quanto fatto e il coraggio nel gettarsi in avanti, a qualsiasi costo. “Sì perché io e Senja non rinunceremo facilmente a quanto costruito qui, a Zerli, anzi per la precisione in località Gosita di Zerli (l’indirizzo è via Zerli 67, ndr)”.
Il borgo è abbarbicato sulla collina, all’ombra di una secolare quercia (ecco spiegato ‘Roverella’), la casa con annesso agriturismo ed apicoltura si apre sulla Val Graveglia e concede all’occhio di spaziare per chilometri. È comprensibile che Remo – un Max Gazzè tricologicamente più controllato – e Senja – altera bellezza quale spesso si trova nel suo paese, la Croazia – siano determinati a restare. Meno perché si siano lanciati in questa impresa. “C’è un amore profondo per il posto e per il lavoro. Ed attenzione: non sto parlando di un colpo di fulmine né di una fede cieca in quello che si faceva. È stato semmai un processo lento e complesso di avvicinamento, che ci ha portato a fare una scelta netta, rischiosa e che prevedeva, come in effetti è stato, tante tappe e tanta, tanta fatica”.
La storia coinvolge l’intera famiglia Chioino. “Era dalla fine degli anni Novanta che mio padre Ivan sosteneva che si dovesse ‘tornare alla terra’. In casa lo prendevamo in giro considerandolo un ‘catastrofista’. Nel 2009 saltò fuori questa casa con il terreno circostante a Zerli: conoscevamo il posto, il sito ci piacque tantissimo e decidemmo di comprarlo. Le costruzioni erano quasi in rovina, da decenni nessuno vi aveva più abitato, c’era una quantità impressionante di lavoro. Dentro e fuori la casa, anche i terreni andavano puliti. Volevamo aprire un’azienda agricola. In corso d’opera ci venne in mente che per diversificare potevamo anche provare ad allevare api. Da un apicoltore della zona nel 2014 comprammo cinque sciami, costruimmo le casette, grazie al talento artistico di Senja ognuna con un decoro diverso, ciascuna con un fiore differente come insegna, in modo che le api operaie trovassero ‘l’indirizzo di casa’ senza errore”. Il che rende La Roverella anche un sito da gustare con gli occhi perché ogni contenitore di arnie è una piccola deliziosa installazione, che caratterizza il paesaggio senza stonature.
“Anno dopo anno ci siamo appassionati, a stimolarci ci pensavano i raccolti e l’indiscutibile successo incontrato nelle vendite. Nel 2017 abbiamo incrementato gli alveari, ampliato la produzione e il raggio di azione. Insieme agli amici-colleghi della zona abbiamo aderito al Conapi, il Consorzio Nazionale Apicoltori, la più grande cooperativa di apicoltori in Italia. Raccoglie la gran parte del nostro miele e si incarica di portarlo nella grande distribuzione. Inoltre promuove la valorizzazione delle singole imprese, del territorio che le ospita, stando ben attenta alla qualità del prodotto e al rispetto ambientale”.
In più La Roverella conquista molti clienti ‘privati’ e diversi negozi della costa, fieri di esporre un miele doc. Il quadro che sembrava prossimo al completamento, però si deteriora a una velocità che lascia stupefatto Remo. “Da quattro anni a questa parte la produzione è andata calando in maniera preoccupante. La crisi è diventata conclamata nel 2020 e nell’anno in corso è purtroppo in fase di ulteriore aggravamento. Bastano le cifre a spiegare: da 30 chili di miele a 4 chili di miele per sciame, sino a oggi abbiamo messo nei vasetti la stessa quantità di miele di 5 anni fa, peccato che allora avessimo 30 famiglie di api all’opera e oggi ben 250”.
Nessuno sciopero volontario nel mondo gerarchicamente e produttivamente perfetto dell’apis mellifera. È il cambiamento climatico a picchiare duro. “Le nostre api hanno risentito del CCD (Colony Collapse Disorder) che sta facendo strage negli alveari in tutto il mondo, l’aria qui è ancora abbastanza pulita, ma nulla possono contro le bizzarrie di un meteo che ha capovolto stagioni e sbalestrato le temperature medie. Siccità in inverno e gelate primaverili sconvolgono le fioriture, le operaie partono nei periodi che il loro patrimonio genetico segnala come ‘giusti’ e non trovano niente, fiori, piante ed erbe sono o in ritardo o già seccate”.
Si comprende meglio il cipiglio di Remo. “Tento di rimanere positivo ma non è semplice. Confido in un aiuto da parte della cooperativa e ho come risorsa morale l’immutato amore per la mia professione”. Ecco, Remo e Senja restano comunque apicoltori professionisti. “Per niente al mondo rinunceremmo al nostro ruolo di ‘pastori di api’. Una volta che entri nel loro mondo, te ne innamori, ammiri il loro geometrico organizzarsi per la produzione e la riproduzione, la loro indefessa volontà nel fare il bene del gruppo e non del singolo individuo. A volte mi sorprendo a pensare che sarebbe meglio che fossero loro ad amministrarci e non il contrario”.
La bellezza di un volo primaverile, il rito rilassante della pulizia e della raccolta delle varie arnie, persino il continuo buzz-buzz diventa una specie di musica di ambiente rilassante in quel di Zerli. Dovremmo tutti essere consapevoli di quanto sia importante l’operazione portata avanti da Remo e Senja. Rammentare quel passo del libro dei Giudici, dell’indovinello di Sansone, del favo piazzato nella bocca del leone. Il dolce si può estrarre anche dal predatore, a patto che si capisce che oggi il predatore è l’uomo. E non sottovalutare il problema dei due giovani apicoltori di Zerli. E un suono che va ascoltato: non chiedere per chi ronza lo sciame, esso ronza sempre per te. Nessun uomo è un’isola. E neppure un’arnia.