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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Resistere a tutta questa volgarità istituzionale: quello che è mancato al Partito Repubblicano in tutti questi anni

Lo scenario è quello di ulteriori rincari abbinati a una recessione. Ed ecco le critiche che partono persino dal magnate Elon Musk. Ieri sera Trump ha sospeso i dazi per novanta giorni
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

Si è scritto moltissimo di quanto l’opa ostile lanciata da Donald Trump sui repubblicani abbia distrutto la storia di un partito che ha fatto la storia americana e abbia cancellato i tre pilastri del suo pensiero, basato sulla libertà: libertà personale sin dalla battaglia per l’abolizione della schiavitù, libertà di commercio ma soprattutto libertà di fare impresa nel modo che si desidera. “My business, my choice” è stato il grido di battaglia che ha accomunato il primo presidente Abraham Lincoln all’ultimo prima del tycoon, George W. Bush. Oggi resta una formazione politica che diversi analisti hanno accomunato a una setta con mentalità totalitaria. Almeno per quello che riguarda i vertici. C’è pur sempre un qualcosa che non si può controllare facilmente, ovvero le elezioni a livello locale. Il partito prima dell’istituzione dei dazi draconiani contro il resto del mondo appariva comunque monoliticamente unito dietro a Donald Trump, escluso un manipolo di critici ormai in uscita dalla politica, come l’ex capogruppo al Senato Mitch McConnell, ormai un paria nel partito dove un tempo dettava legge e non si muoveva foglia senza che lui lo volesse.

Poi è arrivato il cosiddetto “Liberation Day” e si è visto che anche il presidente americano ha un potere limitato contro le preoccupazioni delle persone: i timori per una nuova recessione e per un brusco aumento dei prezzi dei beni di consumo hanno spinto anche i più timorosi a tentare sia una critica che qualche azione concreta. 

Persino un fedelissimo del presidente come il senatore texano Ted Cruz ha messo in guardia contro il “bagno di sangue” alle elezioni di metà mandato nel novembre 2026. Dalle parti della Casa Bianca si risponde di non essere “un panicano” e di non farsi prendere dal panico e che “una medicina dolorosa” porterà grandi frutti in futuro. Peccato che fino al 5 novembre Trump proclamava trionfante che lui avrebbe sistemato in quattro e quattr’otto i problemi con l’inflazione che hanno afflitto l’ultimo biennio di presidenza di Joe Biden e che gli americani hanno particolarmente percepito nel carrello della spesa, al di là dei buoni dati macroeconomici. 

Adesso lo scenario è quello di ulteriori rincari abbinati a una recessione. Ed ecco le critiche che partono persino dal magnate Elon Musk, alleato chiave di Trump, che ha definito il consigliere economico Peter Navarro, artefice delle tariffe vendicative, “stupido come un sacco di mattoni”. La promessa di una rinascita industriale americana appare come una remota speranza. Troppo poco per tranquillizzare sulla semplice. E allora ecco una prima ribellione al Senato, per cancellare i dazi al 25% contro il Canada. Quattro repubblicani votano insieme ai 47 democratici. Tre critici occasionali: il già citato McConnell e due moderate come Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell’Alaska. Più un loro collega del Kentucky, Rand Paul, normalmente un sostenitore piuttosto affidabile del presidente, che però sul tema libero commercio è sempre stato eterodosso come suo padre, l’ex deputato Ron Paul, da sempre noto per il suo estremismo liberista che l’ha reso un caso molto isolato dentro i repubblicani. 

Liberismo che però non si è mai risolto in una stolida posizione esclusivamente pro-business, ma anche a favore di chi vuole aprire una piccola attività commerciale, come una microbirreria. Successivamente è arrivata un’altra risoluzione, a prima firma del senatore Chuck Grassley, in carica dal 1981, decano del Congresso, normalmente poco aduso a sfidare un presidente vendicativo come l’attuale. La bozza è molto semplice: il Congresso si deve riappropriare di quello che è suo, ovvero la capacità di imporre tasse, abolendo due leggi, una del 1962 e un’altra del 1974, che danno al presidente ampi poteri in materia qualora sia in corso un’emergenza oppure ci sia un caso di nazione che fa concorrenza sleale. Due condizioni opinabilissime ampiamente sfruttate da Trump nella loro ambiguità. L’impresa è difficile, ma non impossibile. Anche in presenza di un veto presidenziale, praticamente sicuro, la legge può passare comunque in seconda lettura usando il cosiddetto “superamento del veto”, una pratica congressuale rarissima. Servono una settantina di deputati e circa venti senatori e al momento in sette hanno firmato al Senato. 

Lo speaker della Camera Mike Johnson, fido alleato di Trump, cercherà di stroncare questi sforzi, bloccando la calendarizzazione e la discussione del provvedimento. Potrebbe però non bastare. Però deve servire ciò che è mancato al partito repubblicano in questi anni: il coraggio di resistere a questa ondata di violenta volgarità istituzionale che l’ha travolto. Ancora una volta siamo di fronte a uno dei bivi della storia e da un’ipotesi remota può anche nascere qualcosa di molto buono e lungamente atteso specie negli ultimi cinquant’anni: una riduzione dei poteri di una presidenza che appare ormai sempre più ipertrofica e fuori controllo. Anche prima che Trump mettesse piede nello Studio Ovale.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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