di DANILO SANGUINETI
Il ristoratore – o restaurant manager se siete moderni – di lungo corso ha le stesse caratteristiche del capitano di marina: carisma, visione d’insieme, capacità di anticipare i pericoli e forse una qualità peculiare in più: gli è concesso di sbagliare più d’una volta e non essere costretto ad affondare con il suo ‘vascello’.
Il comandante di una infinità di locali – dove si è sempre pranzato e cenato magnificamente – Renato Montereggio è pronto per una nuova traversata, sulla tolda di La Lampara a Lavagna, ristorante che si trova nel centro storico cittadino, vicino ai giardini della Torre del Borgo, in via XX Settembre 12, celebre e quotato, che a fine 2019 però aveva dovuto chiudere i battenti al termine di un periodo tormentato da vari contrattempi.
Montereggio – un nome che in Riviera ha per decenni rappresentato il top dell’imprenditoria, dell’intrattenimento e della ristorazione, una stella del settore assieme a un Lello Liguori e un Claudio Lazzari – questa volta agisce non come nocchiero ma come semplice ufficiale di coperta, l’addetto a tracciare la rotta per un comandante giovane e volenteroso che gradisce qualche dritta da parte del vecchio drago. Ricevere un consiglio da Renato Montereggio equivale ad ‘uplodare’ oltre mezzo secolo di lavoro. C’è una carriera talmente inusuale, avventurosa, piena di sfide quasi tutte vinte e con un contorno di successi eclatanti a garantire per lui.

La sua stessa vita sa di romanzo, ben scritto oltretutto. “Io non ero nato per fare questo. Anzi diciamola tutta, io arrivo dal basso, il mio primo impiego fu quello di bagnino. Nessuna vocazione, solo un desiderio di farmi strada nella vita, di non accontentarmi, di provare a fare qualcosa di meglio, sempre, in ogni condizione. Fu questa ‘irrequietezza’ a portarmi a un colloquio, avevo poco più di vent’anni, con il proprietario dei Bagni Bergamo. Gli dissi che pensavo di aprire una discoteca a Chiavari e lui mi rispose ‘Che lavoro fai ora?’. Stupefatto risposi ‘Il bagnino’. ‘E sei capace?’. Risposi ancora positivamente e capii che cosa mi voleva dire veramente: che un mestiere per le mani lo avevo comunque, quindi si poteva provare”.
E fu così che iniziò l’avventura della discoteca che sorgeva in corso Colombo nella rotonda del Porto di fronte alla statua del grande navigatore. “Oggi al posto dell’Hermis c’è il Circolo dello Sport”. Nomini la prima disco di Chiavari e la memoria vola a quei locali sotterranei, dove almeno due generazioni, quelle fiorite negli anni Sessanta e Settanta, si sono fidanzate. Subito dopo diventa socio al 50% di Sanguineti, il fondatore del mitico P4, dancing ad Avegno, dove almeno tre generazioni di giovani hanno imparato a ballare e sognare inseguendo belle e belli appena intravisti sotto riflettori non ancora stroboscopici.
“Il P4 mio e di Sanguineti non era una balera, o meglio non era solo una balera. Ospitavamo orchestre e gruppi che andavano per la maggiore, ricordo Adelmo Fornaciari che suonava da noi ancor prima di adottare lo pseudonimo Zucchero, tre volte a settimana per diverse stagioni. La nostra sala stava alla pari dei più rinomati club della costa, per incassi e presenze li batteva senza sforzo”.
Poi qualcosa cambiò, non in Montereggio, ma nel mondo che lo circondava. “Dissi addio al P4 nel 1989. Lavorare come piaceva a me era impossibile: forse sarà stata la mia irrequietezza, forse non sopportavo più il modo con il quale si gestivano gli eventi: in precedenza aprivi le porte, facevi entrare le persone, controllavi, badavi che tutto andasse liscio e che si divertissero, invece poi si è inventato i ‘Pierre’, quelli addetti alle pubbliche relazioni, senza di loro non potevi organizzare niente. Ancora peggio quando si dovette pensare ai buttafuori. Quando arrivarono pure i ‘buttadentro’ mi arresi”.
Si fa per dire perché Montereggio aveva già intravisto un’altra strada, tracciato un’altra rotta. “Presi in carico il Casinò a Levanto e un ristorante a Prato Nevoso. All’estate al mare e all’inverno sulla neve. Stesso gruppo di lavoratori”. Verrebbe da dire stessa ciurma: persone fidate e di valore, sulle quali ‘Capitan Renato’ poteva affidarsi a occhi chiusi. “Un successone su entrambi i fronti. Le vacanze invernali diventarono di massa e noi eravamo pronti”. Il metodo Montereggio prevede però che quando le cose vanno troppo bene è ora di prendere un’altra strada. “Decisi che dopo tanta gestione, volevo fare il proprietario. Comprai la trattoria il Timone, ristorante in piazza Milano, di fronte al porto a Lavagna e la tenni fino al 2010”. Un altro trionfo. Pesce fresco a tutte le ore, antipasti, primi e secondi per ogni gusto, non chiudeva mai, per avere un tavolo occorreva prenotarsi settimane prima, quando c’era il Salone Nautico a Genova tra settembre e ottobre gli espositori alla sera prendevano le auto, imboccavano l’auto per mangiare da Renato.
“Negli anni Dieci ho fatto qualche altro ‘esperimento’: il Living, l’Universale e poi dal 2013 il ristorante La Lampara che ho tenuto aperto fino al 2018”. In quell’anno pare che il signor Renato, raggiunti i settanta, possa godersi la meritata pensione. Lo ha pensato anche lui, ma solo per un attimo. “Stare a casa o gironzolare senza fare niente non è nelle mie corde. Se guardo la televisione, sento solo urlare o fare discorsi strampalati e dopo dieci minuti ho il mal di testa. L’anno scorso ha saputo che Danilo Camezzana (ex giocatore di diverse squadre del Tigullio ndr) voleva riaprire la Lampara e gli ho detto se voleva una mano. Ha accettato ed eccomi qui tornato in pista. Il ragazzo è bravo, c’è anche mia moglie a dargli consigli sulla cucina e sulla presentazione”. E il locale sta marciando. “Vediamo come va, i presupposti di questi mesi sono incoraggianti. Resto cauto solo perché dopo cinquant’anni di questo mestiere so quanto sacrificio e quanto impegno richieda. E qui non sono rimasti in tanti disposti a ‘combattere’ con burocrazia, tasse, leggi e chi più ne ha più ne metta. Inoltre bisogna essere disponibili, pronti ad andare incontro al cliente, non…spaventarlo”. Per riuscirci c’è un segreto. “Devi metterti in gioco, avere il coraggio di accettare la sfida. Io non ho problemi, perché mi… diverto!”.
“Lasciatemi divertire” invoca Aldo Palazzeschi in una poesia che è, anche, il grido di battaglia per uomini che non vogliono abbandonare il loro lato fanciullesco. Renato Montereggio è di tale tempra.