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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Quanto ha fatto e quanto può fare ancora la Liguria per convincere le startup a stabilirsi nella nostra regione

L’Economia del mare si conferma strategica per lo sviluppo del nostro territorio: Genova e la Liguria hanno le carte in regola per emergere e offrire l’ecosistema più favorevole alla nascita di “campioni nazionali” in questo settore
Nel nostro Paese la strategia governativa sulle startup e la disciplina di riferimento hanno visto la luce soltanto nel 2012
Nel nostro Paese la strategia governativa sulle startup e la disciplina di riferimento hanno visto la luce soltanto nel 2012
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di VITTORIA GOZZI *

Nel suo Rapporto sul futuro della competitività europea Mario Draghi individua il gap di innovazione – specie nelle tecnologie avanzate – dell’UE versus Stati Uniti e Cina come una delle principali sfide che l’Europa si trova a dover affrontare per mantenere la sua rilevanza nel contesto globale.

L’80 per cento della tecnologia digitale utilizzata nell’Unione è importata, le aziende Europee spendono 270 miliardi di euro in meno di quelle americane in R&D, e non esiste nessuna azienda europea a capitalizzazione superiore ai 100 miliardi che sia nata negli ultimi 50 anni. 

Le startup europee preferiscono trasferirsi negli USA dove hanno più facile accesso a capitali di rischio consistenti e a mercati più ricettivi, disperdendo tra l’altro competenze, know-how e valore generato nelle nostre università e nei nostri centri di ricerca. 

Per invertire questa tendenza, Draghi propone una radicale riforma dell’ecosistema dell’innovazione, ancora una volta intensificando la coesione tra paesi membri per offrire alle startup un unico “playing field” più grande e appetibile.

L’Europa deve creare le condizioni per generare i nuovi campioni nelle diverse aree della tecnologia, in particolare nei settori dell’intelligenza artificiale e della sicurezza, se non vuole perdere la propria autonomia anche geopolitica. 

In questo contesto di riferimento, l’Italia ha giocato per molto tempo una partita in difesa. Nel nostro Paese la strategia governativa sulle startup e la disciplina di riferimento hanno visto la luce soltanto nel 2012. Risale, infatti ad allora il primo Startup Act italiano, promosso dall’allora ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera e inserito all’articolo 25 del decreto legge n.179 del Governo Monti nell’ottobre dello stesso anno. Nel testo si specificava cosa si intendesse per startup innovativa e per incubatore, quali caratteristiche dovessero avere… Era, insomma, il primo quadro giuridico legislativo a occuparsi di innovazione, con l’intento di rendere l’Italia un Paese ospitale per le startup.

Per quasi 10 anni dopo quel primo atto normativo, l’ecosistema delle startup italiane è rimasto di nicchia e fortemente sottocapitalizzato, soprattutto a causa di una presenza sporadica e poco significativa dal punto di vista dei volumi mossi dagli operatori finanziari del venture capital.

L’inversione di tendenza arriva a gennaio 2020, quando nasce CDP Venture Capital Sgr – Fondo Nazionale Innovazione con l’obiettivo di accelerare la crescita dell’ecosistema del Venture Capital italiano. Il nostro Paese fece quello che avevano già fatto altri Paesi europei che, considerato il settore ad alto rischio, erano intervenuti a supporto della creazione di un ecosistema del Venture Capital per poi uscirne gradualmente lasciando lo spazio al capitale privato. 

In questi quattro anni, CDP Venture Capital Sgr ha dato un forte impulso agli operatori privati del vc, sottoscrivendone i fondi e agendo così da leva per il settore, con il risultato che oggi esistono operatori italiani meglio capitalizzati e quindi in grado di sostenere operazioni più importanti. A ciò si è aggiunta un’infrastruttura di acceleratori, incubatori, poli di trasferimento tecnologico, venture builder ecc. che promuove la nascita, l’accelerazione e la crescita di startup in vari settori strategici per l’economia del Paese. Questo humus, a slancio pubblico ma con l’intervento di operatori privati, ha dato il “la” a una strategia nazionale, ma declinata a livello territoriale, della quale già si vedono i frutti. 

Ne è conferma, in Liguria, il progetto di venture builder Maritime Ventures, promosso da CDP Venture Capital e interamente dedicato alle filiere nautica e logistico-portuale – settori nei quali Genova e la Liguria vantano un indiscusso vantaggio competitivo. CDP Venture Capital, d’intesa con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha favorito la costituzione di una società di scopo interamente dedicata alla costruzione e al lancio di nuove iniziative imprenditoriali che svilupperanno prodotti e servizi per la digitalizzazione e l’innovazione delle PMI che operano nelle filiere nautica e logistico-portuale. Il progetto coinvolge primari investitori, tra i quali FincantieriPSA ItalyIntesa Sanpaolo (attraverso la propria società di venture capital), Fondazione Compagnia di San Paolo

Alla Spezia, è operativo da due anni Faros Accelerator, parte della Rete Nazionale Acceleratori di CDP Venture Capital, il primo in Italia dedicato a startup in ambito Blue economy. E ancora di Blue economy, con focus su porto e logistica, si occupa, a Genova, uno degli Spoke di RAISE (l’ecosistema dell’innovazione a valere sui fondi del PNRR dell’Istituto Italiano di TecnologiaUniversità di Genova e CNR).

L’Economia del mare si conferma strategica per lo sviluppo del nostro territorio: Genova e la Liguria hanno le carte in regola per emergere e offrire l’ecosistema più favorevole alla nascita di “campioni nazionali” in questo settore.

Cosa manca, allora? Perché le startup dovrebbero eleggere Genova e la Liguria come capitale italiana del “bluetech”? Le iniziative sopracitate contribuiscono a creare o ad accelerare lo sviluppo di startup, ma cosa possiamo fare per convincerle a rimanere sul nostro territorio, generando alto contenuto tecnologico, occupazione di qualità e crescita?

Occorre una più proficua collaborazione con le corporate dei settori di riferimento, affinché si interessino veramente, in una logica di open innovation, alle iniziative e alle soluzioni tecnologiche proposte dalle startup. Con questo obiettivo la nostra Associazione può impegnarsi per favorire il contatto tra grande impresa e startup e ragionare insieme. 

Altrettanto fondamentale è la disponibilità di risorse finanziarie regionali che innestino sul territorio queste nuove realtà imprenditoriali: penso, per esempio ai fondi del POR-FESR, che potrebbero essere destinati a investimenti nel capitale delle startup che nascono in Liguria o che decidono di trasferirvi la sede. Esemplare in questo senso l’esempio di Regione Puglia, che è riuscita con i fondi dello sviluppo economico ad attirare sul proprio territorio 5 operatori specializzati in vc milanesi che hanno “aperto bottega” a Bari, raddoppiandone le risorse. I fondi lì trasferiti sono tenuti ad investire su startup a capitale “made in Puglia”. 

Penso, tuttavia, che non sia sufficiente una sola delle condizioni sopra elencate a trattenere le startup sul territorio. La maggior parte di esse sono naturalmente attratte dal “magnete” dei luoghi trovano le condizioni migliori per operare, come Milano, per esempio, che offre la felice combinazione di tutti i fattori appena citati: dialogo aperto con le corporate del settore, capitali specializzati, un ecosistema solido dove crescere.

Per convincere le startup a mettere radici a Genova e in Liguria dovremmo anche poter contare su un sistema di infrastrutture efficiente: se si potesse raggiungere Milano in 50 minuti di treno, ci sarebbero tutti gli elementi per fare della Liguria il luogo di elezione delle startup. Fare impresa a Bogliasco is better che fare impresa a Lambrate;)!

(* Vicepresidente di Confindustria Genova con delega alle startup e alla formazione)

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