di DANILO SANGUINETI
Dieci. Il numero della perfezione. Un tempo il voto che si dava a chi tangeva il sublime nello sport come nello studio. Oggi un po’ inflazionato, persino nel valutare la bellezza iconica, ma in alcuni casi ancora lo spartiacque tra una pur gloriosa striscia vittoriosa e la pura… leggenda. Dieci sono le Coppe dei Campioni che da dieci giorni fanno bella mostra di loro nella stanza dei trofei della Pro Recco. La squadra affidata dieci mesi fa a Sandro Sukno ha conquistato il trofeo continentale bissando il successo dell’edizione precedente sempre a Belgrado, che fu ottenuto con in panchina lo spagnolo Gabi Hernandez. Allora fu un riscatto quasi obbligato per la perdita dell’imbattibilità nazionale (lo scudetto andato al Brescia dopo 15 centri consecutivi dei biancocelesti), oggi è il coronamento di un’annata perfetta: Triplete completato con la conquista della Coppa Italia, Triplete che serve da propellente per una società che non ha più termini di paragone, nel campo internazionale (Partizan Beograd e Mladost Zagreb inseguono con 7 successi a testa) e che va accostata a club calcistici sinonimo di dominio assoluto tipo la Juventus in Italia e il Real Madrid in Europa.
Gli scudetti sono 34, 16 le Coppe Italia, 7 le Supercoppe Len. Se poi stringiamo il campo di indagine all’Era Volpi, ossia da quando il tycoon della logistica petrolifera Gabriele Volpi ha acquisito il pieno controllo del club di Punta S. Anna (stagione 2005-2006), la victory-ratio è da capogiro: 7 Coppe Campioni e 16 scudetti in diciotto anni.
I primi trionfi furono passeggiate quasi obbligate visto che il munifico Gabriele non allestiva squadra ma parate di assi, wunder team che potevano mettere in acqua non una ma due formazioni in grado di sbaragliare ogni avversaria si parasse loro davanti. Discorso ben diverso dal 2015 ad oggi, ossia da quando la presidenza e la gestione della società sono state affidate a Maurizio Felugo, passato dall’immersione nell’acqua clorata ai dossier del manager senza soluzione di continuità.
Il giovanissimo presidente ha dovuto destreggiarsi con un budget più ‘ragionato’. Ha sistemato questioni spinose e sciolto nodi di Gordio, tipo il recupero del ‘Tempio’ la piscina di Punta S. Anna, ponendo termine a un vagabondaggio per le vasche liguri e non ultradecennale. E poi ha cercato il suo ‘mister’. Alcuni tentativi felici, altri naufragati per incomprensioni varie.
Lo ha individuato in Sukno, uno che prima era stato baciato dalla sorte (erede di una dinastia di campionissimi, aveva vinto tutto con la sua Nazionale e le sue squadre di club, per due volte eletto miglior giocatore al mondo) e poi brutalmente tradito dalla stessa dea bendata: relegato a bordo vasca da un serio problema di salute a neppure 30 anni si è reinventato allenatore.
Inutile nascondere che c’erano diverse perplessità sulle sue doti. Troppo giovane, troppo fresco il ricordo di quando indossava la calottina biancoceleste (tre anni, fino al dicembre 2017, quando gli venne diagnosticata una insufficienza cardiaca), troppo poca esperienza. Aveva fatto da secondo a Tukac con la nazionale del suo paese, aveva allenato solo la montenegrina Primorac Kotor.
Invece il croato dal sorriso leggero ma dalla volontà di ferro ha fatto il botto in una sola stagione: in campo italiano aveva una squadra appena superiore al Brescia eppure ha saputo mettere le mani su Scudetto e Coppa facendo disputare al suo team partite perfette nei momenti decisivi.
In Coppa Campioni era ancora più difficile perché le versioni da esportazione di Brescia, Barceloneta, Ferencvaros e Novi Beograd (che giocava in casa) erano almeno forti quanto il suo team, privato appena prima della fase finale di uno dei giocatori chiave, l’azzurro Velotto. Nella tre giorni nella capitale serba il Recco ha rischiato nei quarti con il Barceloneta (11-10 dopo essere stato quasi sempre in svantaggio di due reti), ha dovuto dare tutto nella semifinale con il Ferencvaros (10-7) e ha saputo prevalere sulla squadra di casa, una succursale della Serbia, allenata dalla vecchia conoscenza Igor Milanovic.
Una partita che ha dimostrato come la pallanuoto quando mette di fronte due squadre che si equivalgono, è uno sport rischioso… persino per gli spettatori più scafati. 4 tempi e una serie di 5 rigori per decidere chi si sarebbe seduto sul trono europeo. I padroni di casa sostenuti da un tifo infernale sempre avanti, la Pro Recco sempre a inseguire, capace di acciuffare il pari solo a 12 secondi dalla sirena. Poi 4 centri su 5 dai cinque metri, meglio dei belgradesi che si sono fatti parare un penalty (sbaglia Mandic che dodici mesi fa fu decisivo per i colori recchelini!) e spedito un altro sulla traversa. Delirio dell’entourage recchelino, un solo si è isolato. Mister Sukno ha lasciato spazio ai suoi ragazzi, ai dirigenti con in testa il ‘giovane’ Eraldo Pizzo a guidare tuffi, cori e balli come le 84 primavere le avesse lasciate a Punta S. Anna. Eppure questa Coppa è anche e soprattutto di Sukno, uno che sembra pronto a prendere il posto del suo maestro Ratko Rudic come ‘l’acchiappatutto della pallanuoto mondiale’. Un dettaglio per capire di che pasta è fatto: nei quarti quando ha visto il Barceloneta che stava prendendo il sopravvento ha spedito in porta al posto di Marco Del Lungo, titolare in nazionale e considerato uno dei tre più forti estremi difensori al mondo, il dodicesimo, il più anziano Tommaso Negri. Decisioni simili le prendono solo due tipi di tecnici: i ‘matti’ e i ‘vincenti’. Fate voi a quale categoria iscrivere SuperSandro.