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di MATTEO MUZIO *
La scelta del nome del nuovo Papa Leone XIV, lo statunitense Robert Francis Prevost, è un chiaro riferimento alla politica sociale del suo predecessore con lo stesso nome, Leone XIII, espletato nella sua enciclica più celebre, la Rerum Novarum, pubblicata nel 1891 e dedicata ad affrontare la questione sociale.
L’attuale Pontefice, dunque, vuole prendere le mosse da quel momento storico. Analizziamo cosa diceva lo scritto di Papa Pecci: da un lato condannava il socialismo come “falso rimedio”, che non risolveva i problemi di ingiustizia sociale e ledeva la possibilità per il lavoratore di migliorare la propria condizione sociale attraverso il risparmio e l’oculatezza, dall’altro però condannava quei datori di lavoro che in nome del profitto imponevano condizioni di lavoro troppo gravose e negavano la dignità ai loro dipendenti non dando loro un salario con cui poter vivere e avere tempo da passare insieme con la propria famiglia.
Insomma, la Chiesa cattolica si poneva come “terza via” tra un capitalismo aggressivo che nell’America di fine Ottocento era incarnato dai “baroni ferroviari” e un socialismo rampante che allora era fermo alla soluzione rivoluzionaria. Se in Europa il messaggio dell’enciclica ha avuto un impatto limitato, con la parziale eccezione dell’Italia dove in quegli stessi anni hanno cominciato a nascere organizzazioni mutualistiche di stampo religioso, negli Stati Uniti invece è stato dirompente: il sindacato moderato di Samuel Gompers, l’American Federation of Labor, trovò nelle parrocchie uno spazio per organizzarsi e reclutare nuovi lavoratori di origine irlandese e italiana che guardavano con diffidenza ai messaggi incendiari di socialisti e anarchici ma che volevano comunque migliorare le loro condizioni di lavoro spesso inaccettabili.
Anche durante il New Deal, circa quarant’anni dopo, la Chiesa americana espresse il suo sostegno alle riforme di Franklin Delano Roosevelt e alla costruzione di un moderno welfare state grazie agli efficaci scritti di un prete, John Augustine Ryan, che di fatto fu cruciale nel costruire un appoggio decisivo alla coalizione democratica di quegli anni.
Forse Joe Biden, il predecessore di Donald Trump alla Casa Bianca, è stato l’ultimo prodotto di quella stagione politica anche se, da presidente, ha pressoché “privatizzato” la sua fede in Dio, facendo sentire abbandonati e senza ascolto i credenti progressisti che si sono ritrovati orfani, senza una casa politica, dopo decenni. D’altro canto, invece, contro gli insegnamenti del defunto Papa Francesco (ma anche di Benedetto XVI), molti cattolici contemporanei hanno appoggiato l’immoralismo trumpiano perché visto almeno come una difesa dei cosiddetti “valori non negoziabili” come aborto e difesa della sacralità della famiglia. Temi su cui i democratici non hanno fornito efficaci alternative che non fossero “aperture” indiscriminate a tutto.
Forse tra i propositi del Pontefice, pur essendo registrato come Repubblicano nelle liste elettorali dell’Illinois fino al 2016, c’è anche quello di far rinascere un cristianesimo sociale sul suolo americano che combatta con successo le sirene del “vitello d’oro” trumpiano che si avvantaggia di un partito democratico sempre più balbettante su tutto ciò che non piace a un certo progressismo di matrice accademica.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)