di DANILO SANGUINETI
Diffidate del sorriso mite. Della forza gentile di coloro che si esimono dalle tonitruanti esibizioni di muscolare intelligenza così preponderanti nei social media. Il signor Valentino – sacerdote dal sorriso timido quanto caldo della libreria Pane e Vino, in via Rivarola a Chiavari, il meno sberluccicante e per questo tra i più affidabili archivi di volumi nel Tigullio – è una sentinella del sapere che preferisce blandire piuttosto che intimare l’alt al passante.
È quest’ultimo che deve essere capace di guardare oltre la superficie. Passate dalle sue parti, non troppo presto – il locale si anima dalle 9,30 in poi – e poi chiedete. Una soluzione la troverà sempre, anche per casi e ricerche apparentemente disperate. Un infinitesimale barbaglio della borghesiana Biblioteca di Babele? Piuttosto una rappresentazione in scala economicamente sostenibile delle sue preferenze, contemperate con alcuni filoni che non si possono trascurare se si vuole tenere in piedi la baracca.
“Però oltre un certo grado di compromesso non scendo – mette avanti le mani – Mi sforzo di ignorare le classifiche di vendita, mi rifiuto di piegarmi a certe porcherie contemporanee”. L’accenno a un certo ‘Volo’ affatto pindarico chiarisce il concetto. È la conferma che di fronte abbiamo un librario veramente speciale. Che controcorrente c’è andato, non ci si è trovato. “Finita l’università ho deciso che la vita di ufficio non faceva per me. A quasi trent’anni, nel 2006 ho rilevato questa libreria. Ho deciso di non cambiarne il nome, ‘Pane e Vino’ mi andava a grado e poi era conosciuta così e sarebbe stato troppo ‘faticoso’ dover impostare ex novo insegne e avvisi”.
Apparentemente disincantato, Valentino Castelli transige solo sulle cose futili. “Avevo evitato di darmi scadenze, ed ancora oggi mi piace vivere alla giornata, anche se ho 44 anni e qua dentro sono invecchiato passandoci più tempo di quanto immaginassi”.
Ricorda un sottotenente Drogo che si è creato una sua personale Fortezza Bastiani. Ma di battaglie ne ha combattute già parecchie. “Dal 2007 ad oggi nessuna sconfitta decisiva ma la guerra si è fatta sempre più dura. Un paio di periodi bui tra i quali però non metto gli ultimi anni. Le difficoltà generali hanno inciso poco su un mercato che va avanti con sue dinamiche, magari lente ma inesorabili. Strada facendo ho lasciato a parte anche il settore dei libri scolastici”.
Un’altra sorpresa perché è quello che per molti suoi colleghi è fondamentale per la tenuta dei conti. “Vero ma nell’ultimo decennio non c’è stato niente da fare contro quello che è diventato un duopolio. Due case editrici si sono spartite i titoli, se non entri nel loro circuito non hai scampo. Io ne ordino solo qualcuno per far piacere a qualche affezionato cliente o ai suoi figli. In più ci sono catene di negozi che possono permettersi sconti più alti ragionando su cifre più alte. I ritagli rimasti spettano ad Amazon dove trovi tutto subito e ti risparmi anche la fatica di uscire di casa”.
Ironia ma anche l’acuta analisi di un Maigret della stampa. “I libri, la fonte prima e insostituibile, per il momento della cultura, a parole sono nei pensieri e nelle azioni dei nostri governanti. Nella pratica sono trattati come articoli commerciali, e della categoria più scadente e meno protetta. Iva alla fonte non scalabile, sconti fissi e proibiti oltre una certa percentuale. La possibilità di recuperare dalle rese viene annullata dalla marea di pubblicazioni di infima qualità che viene spacciata per letteratura e che impestano i nostri scaffali, impedendo a un lettore poco esperto di distinguere il buono dal marcio”.
Non vi basta? C’è altro. “Il guadagno sul singolo articolo è per noi librai al limite del ridicolo. Il prezzo è fissato dall’editore, l’Iva assolta per legge. Per chiarire: su 100 euro incassati se ne entrano 27 in cassa è grasso che cola”.
Il discorso degli sconti non riesce a digerirlo. “I negozi hanno l’obbligo di non andare oltre il 5%. Quelli superiori sono promozioni decise dalle case alle quali noi possiamo solo adeguarci. Il bello è che questo non vale per le ‘Paralibrerie’. Alla Ipercoop potevi trovare libri scontati al 40% e c’era l’incredibile fenomeno di miei colleghi che rifornivano i loro scaffali al supermercato!”.
Gentile, non cieco. “Nell’ultimo periodo qualcosa per mettere freno a questo malcostume si è fatto. Poco però, e resto dell’idea che i libri siano equiparati nei pensieri di ‘lor signori’ alle ciabatte. Si cerca qualcosa di comodo, che non obblighi a percorsi faticosi, del corpo (ed allora via con le ordinazioni su Internet) e della mente, quindi spazio a letture da sdraio, da amaca, da lettino. Niente che richieda lo sforzo di una sedia e un tavolo sul quale pensare…”.
Valentino come un Cyrano che sa che il nemico è soverchiante, che la sfida è assurda e proprio per questo la considera degna di essere combattuta. “Come me la cavo? Specializzando. Invece di tenere roba normale punto sugli argomenti particolari, meglio di nicchia: libri di storia, soprattutto storia militare (dove gli appassionati sono in grado di commettere qualsiasi follia per assicurarsi un testo raro, ndr), politica. Dagli ‘impallinati’ si sprigiona la cultura. Poi sono orgoglioso degli scaffali con i libri per bambini. Primo perché un lettore imberbe è un messaggio in bottiglia lanciato nel mare dell’‘intontimento’ ai quali li condanna l’attuale predominio delle diavolerie elettroniche. E poi perché sono gli ultimi che hanno una veste curata, una grafica illuminante, fanno premio con il contenente oltre che il contenuto, sono insomma belli a vedersi”.
Il timore di apparire un tipo troppo serioso, un troppo severo censore di tempi e costumi stemperato dal non prendersi sul serio. “Io credo che chi legge affina il senso critico. E che piuttosto che niente, vada bene anche dedicarsi a sezioni apparentemente minori: per esempio la letteratura di viaggio. Attenzione, non meri baedeker ma racconti di esperienze in giro per il mondo. È un altro argomento che va per la maggiore in questo momento”.
Il libraio Valentino intreccia relazioni dove non ti aspetti. Per esempio ha una schiera di signore e signorine che quotidianamente vengono a trovarlo portando romanzi ‘rosa’ da vendere, acquistare, più spesso prendere a prestito o permutare. “Sono racconti di genere, onesti perché non gabbano il lettore, mantengono quanto promettono senza mascherarsi con fumose e spesso risibili pretese di essere altro e… alto”. Per una volta non si può essere d’accordo con Gramsci e la sua spietata condanna della letteratura popolare. “Non c’è un alto e basso, ci sono cose scritte e spiegate bene, altre scritte con parti del corpo meno nobili del cervello”. Raffinato senza essere snob e pure favorevole al nazionalpopolare. E attaccato alla sua ‘Pane e Vino’. “Finché reggo botta vado avanti. Certo che se dal teorico guadagno di 27 euro su 100 penso che debbo toglierci affitto dei locali, luce, elettricità, occupazione del suolo pubblico (tre espositori che tolgono un paio di metri quadrati ai portici di via Rivarola…) e la Tari, mi viene il sospetto di essere un autolesionista”.
Vabbè ma ci sono i suoi figli. “I libri. No, niente rapporto di parentela, meglio definirli amici”. Adesso ci siamo. Come Bartleby, Valentino Castelli ha scelto la resistenza gentile. Uno scetticismo di superficie che nasconde una volontà ferrea. “Preferisce di no”. Mantiene la propria postazione rinforzata dalla sensazione di fare qualcosa di utile anche se di molto difficile. Come il Cavaliere Inesistente sta in piedi a forza di volontà, come il Barone Rampante ha scelto di fuggire dai facili compromessi ma al contrario del Visconte Dimezzato il signor Valentino ha deciso che il lato solare può convivere con l’ombra.