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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Nannicini, il ‘papà’ del Jobs Act: “I referendum di Landini non cancellano la riforma. Circola una narrazione completamente falsa”

L’ex sottosegretario del Governo Renzi: “Se vogliamo riaprire una discussione che guardi al futuro, proprio nel Jobs Act ci sono tanti elementi da riprendere, dal salario minimo alla formazione permanente”
Domenica e lunedì gli italiani sono chiamati a votare per i cinque referendum su lavoro e cittadinanza
Domenica e lunedì gli italiani sono chiamati a votare per i cinque referendum su lavoro e cittadinanza
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di ALBERTO BRUZZONE

“I quesiti di Landini non aboliscono il Jobs Act e tanto meno risolveranno i problemi del mondo del lavoro. In Italia non c’è un problema di licenziamenti alti, ma di salari bassi”. A dirlo, con estrema fermezza e convinzione, è Tommaso Nannicini, economista e senatore del Partito Democratico nella scorsa legislatura, considerato uno dei principali artefici della riforma del Jobs Act in veste di sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Renzi

Domenica e lunedì gli italiani sono convocati alle urne per i cinque referendum, di cui quattro sul lavoro e uno sul diritto di cittadinanza. A spingere per un sì è soprattutto la Cgil, oltre che diverse parti del centrosinistra, mentre il centrodestra invita, più o meno velatamente, a disertare le urne in modo da non far raggiungere il quorum nei vari quesiti (nei referendum abrogativi, come questi, la validità è data dal voto di almeno il 50% degli aventi diritto). 

Anche negli ambienti di centrosinistra, però, c’è scetticismo. Nannicini, che conosce il Jobs Act per filo e per segno, avendone seguito ogni suo passo, osserva: “Dire che i referendum di Landini aboliscono il Jobs Act equivale a diffondere una fake news. Neppure risolveranno i problemi del mondo del lavoro. Se vincesse il sì nel referendum che abolisce il contratto a tutele crescenti, ci sarebbero un sacco di effetti collaterali a scapito dei lavoratori”. 

Secondo Nannicini, che è stato ordinario di Economia politica alla Bocconi e, dal 2023, è professore all’Istituto universitario europeo, “nella storia del sindacato i referendum raramente coincidono con i punti più alti di elaborazione ideale e di rappresentanza sociale. I quattro quesiti proposti dalla Cgil non fanno eccezione. Abolire il precariato per referendum suona un po’ come abolire la povertà per decreto. Ma fa ancora più sgomento il trasformismo politico delle forze che si accodano a quel referendum: non potevano cambiare quelle norme, invece che aspettare di abolirle a rimorchio del sindacato? In verità, i Cinque Stelle le hanno modificate, tanto che il testo che il referendum abolisce è di fatto il frutto delle modifiche del decreto dignità del 2018. I cinque Stelle, allora, dissero che avevano sconfitto il precariato grazie a quel decreto. Oggi lo aboliscono. È l’apoteosi del populismo”. 

Nannicini spiega che “il Jobs Act è una riforma Gorbaciov: amata all’estero e odiata in patria. A un certo punto, infatti, con gli occhi dell’Europa puntati addosso, era diventato politicamente prioritario vendere una riforma all’estero. Gli investitori internazionali dovevano tornare a scommettere sull’Italia. E poco male se i sindacati si arrabbiavano. Però quell’enfasi mal riposta è stata un errore perché alla fine ha impedito di completare le parti più importanti della riforma, dalle politiche del lavoro e della formazione fino al welfare”. 

E oggi, ricorda Nannicini, “nel Pd c’è una corsa a dire ‘io ho votato contro il Jobs Act’. Ma gli unici che lo possono dire sono Corradino Mineo, Pippo Civati e Luca Pastorino. Tutti gli altri hanno votato a favore o non si sono presentati”. 

L’ex senatore dem pensa che “se vogliamo riaprire una discussione che guardi al futuro, proprio nel Jobs Act ci sono tanti elementi da riprendere, dal salario minimo alla formazione permanente. Molti altri elementi non ci sono, perché parliamo di una riforma di dieci anni fa, fatta in condizioni politiche e finanziarie completamente diverse. Ma questo è il tempo di chi vende emozioni e non di chi propone soluzioni. La narrazione sui referendum è imbarazzante per quanto è falsa”. 

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