di DANILO SANGUINETI
Chi controlla il tempo, controlla il mondo. Una volta, forse. Oggi si accontenta di controllare il suo mondo, custode della chiave per accedervi, quella conoscenza della materia e quella sapienza nel trattarla che ne fanno un indiscusso crono-mastro. Preciso come un orologio non è un modo di dire quando si ha a che fare con Massimiliano Sandri: con puntualità inevitabilmente cronometrica da oltre trent’anni anni accoglie, cura, rimette in sesto, addirittura, a volte, con atto demiurgico, porta di nuovo in vita misuratori di tempo di ogni foggia e qualità nella sua bottega in via Entella 38.
È l’erede di una dinastia di esperti in orologeria che viene dal Piemonte e che è passata per diverse regioni prima di mettere radici a Chiavari. È unico e non se ne vanta. Gli basta la consapevolezza di sapersi impareggiabile nel destreggiare tra bilancieri, scappamenti, molle, ruote dentate e le altre misteriose parti che si combinano in congegni tanto perfetti da far sospettare interventi diabolici, gli stessi elaborati meccanismi che per secoli, senza le meraviglie del digitale e i cambiamenti di prospettiva dettati dall’informatica, scandivano le ore delle nostre esistenze.
Padroneggiare gli strumenti che le regolano (o pretendono di farlo) è un’arte sempre meno praticata. Basti pensare che in una cittadina come Chiavari coloro che possono intervenire su orologi preziosi e antichi in modo affidabile e raffinato sono rimasti in due: lui e suo padre, il maestro di color che sanno… di orologi.
“Il negozio ancora oggi – spiega Massimiliano – ha sull’insegna il suo nome, Michele. Ed è giusto che sia così: è stato lui a scegliere di farlo sull’insegna del laboratorio che nel 1983 aveva aperto. Veniva dalla natia Torino. Lì aveva appreso, in una delle scuole di orologeria più prestigiose d’Europa, il mestiere”.
Mestiere non professione? “Ci sentiamo artigiani, abbiamo il senso dell’arte tramandata di generazione in generazione. Non sono le parole o i titoli a fare la differenza ma l’abilità e l’opera di ogni maestro a distribuire titoli e benemerenze…”.
Michele Sandri, 73 anni portati con noncuranza, è uno che ha le idee chiare e non teme i cambiamenti. “Dopo il laboratorio aprì la Clinica dell’Orologio, poco lontano da dove siamo oggi, nella rotonda tra via Entella e via Magenta. Poi decise di vendere la Clinica e trasferirsi con la famiglia in Umbria. Ci rimase sino al 2008. Infine un dietrofront dettato da una nostalgia in comune con tutti noi”.
Il piemontese scoprì che aveva ancora Chiavari nel cuore. “Bellissima l’Umbria, per carità, ma qui c’è il mare, un mare stupendo che ti entra dentro e che ti manca, molto, troppo”. Si torna sui propri passi e 12 anni fa ‘Sandri Michele Orologiaio in Chiavari’ – come recita con deliziosa vetustà il biglietto da visita della bottega – si rimette in gioco.
La novità è Massimiliano al suo fianco. Il figlio ha carpito ogni segreto del caposcuola e ci ha aggiunto rigorosi studi. I due esperti in orologeria garantiscono – sempre da biglietto di presentazione – ‘Riparazione orologi di ogni epoca, tipologia e marca con rilascio di garanzia scritta. Sostituzione di pile e cinturini immediata’.
La seconda parte del curriculum lascia perplessi. La coppia di artigiano ha forse ceduto all’avanzare implacabile degli ‘aggeggini’ giapponesi? “Tra essere rigorosi ed essere fondamentalisti c’è una bella differenza. Se promettiamo di riparare ogni orologio che ci portano, dobbiamo mantenere la parola ed essere in grado di soddisfare ogni richiesta. Il mercato sforna anche quelle ‘robe’ e io mi faccio un punto d’onore di venire incontro ai nostri clienti. Non nego che sia anche una questione di fatturato: al giorno d’oggi non puoi sperare di mantenerti riparando solo pendole della nonna o ‘cipolle’ da taschino”.
Massimiliano Sandri dà prova del solido realismo di marca sabauda. Si rivela anche un lucido analista. Traccia una grafica della sua clientela da lasciare di stucco un marketing analyst. “Oltretutto la lotta contro il digitale non ha più senso perché anche gli orologi che funzionano con l’elettricità sono destinati a soccombere. Guardiamo alle generazioni dei nati dopo il Duemila. Quanti ne vedete in giro con un orologio? Hanno il telefonino che fa da cronometro, cronografo, sveglia con trilli, campane e qualsiasi altro suono che uno riesca ad immaginare”. È facile immaginare la faccia di Mastro Michele quando assiste a certi spettacoli. “Mio padre scuote la testa e poi si rituffa nella sua specialità: gli orologi da polso o da passeggio: più è piccolo, più è difficile e più lui si diverte. Si siede nel laboratorio, inforca gli occhiali e comincia. Una roccia, un esempio e una sfida anche per me”. Che ha 48 anni e che a sua volta ingaggia la battaglia quotidiana contro il tempo. “Un doppio scontro. Da una parte quello personale. Dedico ogni momento al negozio, sto dietro al bancone per cinque giorni la settimana, poi chiudo la saracinesca e continuo a lavorare, al fianco del genitore, occupandomi degli orologi ‘grandi’: sveglie, pendole, da muro, da incastro”.
In pratica ruba tempo al suo tempo per ridare il tempo ad altri. Uno scioglilingua. Avrebbe bisogno del Giratempo della streghetta Hermione Granger, il magico manufatto che una volta caricato permette di rivivere una seconda volta lo stesso periodo del giorno. Una Recherche del tempo perduto che si conclude quasi sempre in maniera positiva. Il Tempo in via Entella viene sempre Retrouvé. Anche in questo anno difficilissimo per ogni tipo di commercio.
“La pandemia non ci ha tolto né aggiunto alcunché. I mesi di chiusura forzata dello scorso anno sono stati compensati alla riapertura quando abbiamo dovuto smaltire il lavoro arretrato, le decine di meccanismi che nei mesi di lockdown si erano guastati e che non ci avevano portato subito a riparare. L’andamento degli affari oggi è più o meno quello di due anni fa. Resistiamo. Il fatto di essere rimasti soli a Chiavari è un vantaggio. Fino a qualche tempo fa c’erano anziani artigiani che lavoravano a casa. Ora come ora, credo che noi siamo gli unici a poter eseguire certi interventi ‘complicati’”.
Da come lo dice, si intuisce che c’è un ‘però’ inespresso. “L’essere senza concorrenza è un guaio. Non perché puoi permetterti di chiedere il prezzo che vuoi o ti consente di essere meno rigoroso. Siamo pur sempre due ‘onesti perfezionisti’. No, è la sensazione che l’orologeria non ha futuro. Ed è una brutta sensazione”.
Ha ragione ed è brutto. T.S. Eliot ci ricorda che “sta prendendo forma un nuovo tipo di provincialismo, che forse merita un nuovo nome, il provincialismo non dello spazio ma del tempo. Per esso la storia è soltanto cronaca di invenzioni umane che dopo aver reso qualche servizio vanno cestinate, per esso il mondo appartiene solo i viventi, chi è morto non conta nulla”.
Sandri concorda. “Nella orologeria chiamiamo ‘complicazioni’ tutte le funzioni e indicazioni che vanno oltre la semplice visualizzazione dell’ora. Un orologio complicato ha fasi lunari, maree, calendari perpetui. Un cronografo che segna due o tre ore diverse, che tiene memoria di diversi dati senza ricorrere all’elettronica, è un prodigio di meccanica. Aggiustare queste ‘complicazioni’ è una sfida che quasi pareggia l’ingegno di chi l’ha architettata”.
E qui esce il sentimento del maestro restauratore. “Quando mi portano pendole o pesanti orologi da tavola che hanno duecento o trecento anni, che richiedono interventi lunghi e complessi, le osservo e le studio facendomi un mare di domande. Mi sorprendo a fantasticare su chi le avrà toccate, quali ore importanti, liete e tragiche avranno segnato e segnalato, cosa avranno passato in decenni e secoli di traversie, quante persone le avranno caricate o spolverate”.
Un lusso che si permette quando non viene raggiunto dalla sconcertante contemporaneità. “Capita sempre più spesso che arrivano genitori con gli orologi dei figli, magari regali dei nonni per la Comunione o per la Laurea. Prima mi chiedono di rimettere in uso l’oggetto lasciato troppo a lungo nel cassetto e poi mi domandano se posso spiegare alla prole come ‘si legge l’ora’. Persino interpretare il movimento delle lancette sul quadrante sta diventando una pratica esoterica. Ecco perché a volte provo la sensazione che il mio mestiere stia svanendo”.
No, non deve essere. Speriamo che salti fuori la moda di esibire un orologio, magari al taschino, da portare al bavero, da appendere alla cintura. In fin dei conti con le alzate di ingegno e i ghiribizzi degli stilisti e degli influencer mai dire mai. Salviamo la passione di questi ‘medici’ della bellezza storica. Che non finiscano come il replicante Roy Batty impietrito dal dolore e dalla consapevolezza che “quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”. C’è Tempo. Per ora.