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di MATTEO MUZIO *
La carriera in Senato di Mitch McConnell, capogruppo uscente del partito repubblicano, compirà quarant’anni il prossimo 3 gennaio 2025. Un traguardo che ben pochi senatori hanno toccato prima di lui, una decina in tutta la storia del parlamentarismo americano. Eppure, si può dire che il suo tempo su quei banchi abbia lasciato il segno e si appresta a lasciarne un altro.
Negli anni da leader del suo partito ha cercato di diventare una sfinge, anzi, una tartaruga, secondo le definizione cronisti politici per il suo viso rugoso, e non rispondere quasi mai alle domande per mantenere una sorta di unità nel gruppo tra istituzionalisti ed estremisti trumpiani. Oggi finalmente si appresta a tornare un semplice senatore con un unico incarico, quello della presidenza della commissione difesa e per non passar inosservato, ha pubblicato un saggio di 5000 parole sull’autorevole rivista di geopolitica Foreign Affairs, dove esprime il suo pensiero in materia di relazioni internazionali.
Parte con una critica puntuta alla “debolezza” dell’amministrazione uscente di Joe Biden, che ha lasciato un mondo più “insicuro” di come l’ha trovato. Questa situazione però non deve far ascoltare “le sirene dell’isolazionismo”, anzi, deve rafforzare la volontà dell’America di svolgere un ruolo di supremazia globale in modo che i vuoti di potere non vengano riempiti da nemici come Cina e Russia, che lui definisce quali “potenze revisioniste”. E proprio come terza via tra “l’isolazionismo di destra” che abbandona l’Ucraina per concentrarsi sulla Cina e “l’internazionalismo sterile” della sinistra che abbandona Israele nel suo conflitto per procura contro l’Iran degli ayatollah.
Tutto questo è interconnesso nella grande sfida delle democrazie contro le autocrazie, argomenta McConnell. Non si tratta però di una critica fatta da un leader che si appresta a uscire di scena e quindi diventa un acceso critico dell’odierna destra trumpiana, dove l’isolazionismo quasi completo ha molta voce in capitolo. No, McConnell, anche se ormai è odiato dalla stretta cerchia trumpiana, sa bene che per ottenere risultati bisogna fare i capifila di una corrente politica. E al Senato sa che basta anche un piccolo gruppetto per ottenere i risultati, dato che i numeri della maggioranza repubblicana, 53 senatori su 100, consentono di fare molto anche con solo quattro senatori, che possono essere lui stesso, le due esponenti moderate Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell’Alaska e magari un ex bushiano come il texano John Cornyn, già da tempo nel mirino dell’estrema destra che pratica il culto della personalità di Trump.
Tutto questo però non deve far dimenticare che McConnell, con la sua lunga storia politica, è anche uno dei corresponsabili del ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Un breve riassunto: prima di entrare al Senato, era un politico locale in Kentucky con idee centriste e moderatamente favorevole ai diritti riproduttivi. Negli anni Ottanta, quando diventa senatore, diventa un reaganiano conservatore, favorevole ad allentare i controlli sulle armi e una politica muscolare nei confronti dell’Unione Sovietica. Nel frattempo, strizza l’occhio ai nostalgici del Vecchio Sud a casa e alla loro visione edulcorata della schiavitù e della segregazione razziale. A inizio anni 2000 invece è un sostenitore di Bush e della sua esportazione della democrazia nel mondo, fino a diventare nel 2006 leader del gruppo repubblicano. Negli otto anni obamiani, diventa responsabile di un ostruzionismo preconcetto nelle nomine giudiziarie. Nel quadriennio trumpiano invece, parole sue, contribuisce ad approvare un numero record di giudici conservatori. Soprattutto, conquista ben tre seggi della Corte Suprema, usando un tatticismo parlamentare spregiudicato, irrispettoso dei precedenti, per ottenere che venissero nominati dei provetti conservatori. Infine, pur avendo detto esplicitamente che il tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 da parte di Trump e dei suoi alleati rischiava di “infilare la democrazia in un vortice mortale”, a gennaio 2021 si è rifiutato di condannare Trump nel processo di impeachment che avrebbe potuto anche renderlo ineleggibile. Una scelta miope fatta pensando che sarebbero bastate le condanne nel quadriennio appena trascorso a farlo azzoppare e a renderlo non più gradito agli occhi degli elettori.
Non è andata così, ma McConnell, ormai ampiamente disprezzato tra il cerchio magico trumpiano, vuole lasciare un segno. Sa che senza di lui e i suoi fedelissimi Trump non ha la maggioranza al Senato. E quindi non starà in silenzio in questi due anni, diversamente dai diciotto nei quali ha occupato la carica di leader del gruppo repubblicano.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)