di DANILO SANGUINETI
Le tre sorelle nella casa avita. La reminiscenza cechoviana si ferma qui: i Pinin di Ne, agriturismo di ultima generazione, è distante nel tempo e nello spazio, nessuno ha voglia di andare a Mosca. Niente sogni repressi, o depressioni esistenziali, semmai idee ardite per far crescere un’azienda ricettivo-alimentare della Val Graveglia fondata su solido lignaggio contadino e proiettata su inedite forme di sviluppo.
Un ostello che ha fatto il salto di specie, si è tenuto il meglio del passato e ha scommesso su progetti che lo portano al di fuori del rassicurante seminato. Una trama da applausi, soprattutto oggi che deve fare i conti (in senso figurato e, purtroppo, anche materiale) con il convitato di pietra: la pandemia e le restrizioni che comporta. Vengono imposte severe limitazioni che incidono su tante attività imprenditoriali e gettano nello sconforto la categoria dei ristoratori-albergatori alla quale appartengono coloro che hanno re-inventato I Pinin di Ne: Lucia, Silvia e Alessandra Rivara. Figlie d’arte (la bella foto in alto è di Photosmile di Lavagna) e allo stesso tempo sovvertitrici di consolidate tendenze. L’enogastronomia con una spruzzata di ecologico e due dosi di etnologico, ma non solo.
Le signore della Val Graveglia sono state capaci di allargare il cerchio delle interazioni, di vitalizzare una zona che sul finire del secolo scorso era andata in sofferenza, una crisi conclamata ancor prima che economica, psicologica. La famiglia Rivara nella zona di Chiesanuova, distante ma non troppo da Conscenti, oltre San Biagio, possiede case e terreni, un buen retiro nel verde.
Come consuetudine negli ambienti di consolidata e limitata urbanizzazione, ogni linea familiare ha una denominazione in dialetto, una specie di patronimico che si aggiunge al cognome burocratico. Per i Rivara è quello di Pinin, conquistato dal bisnonno delle attuali titolari ed esteso all’intero ceppo Rivara. Così nel 1994 quando la signora Roberta, mamma delle tre sorelle, fa rifiorire l’azienda agricola, è quasi naturale che venga indicata come il negozio dei Pinin.
Il resto lo spiega Lucia, figlia di Roberta e di Enrico. “Nel 2001 mamma e papà decidono di ampliare i locali e di affiancare all’azienda agricola un agriturismo con ristorante e stanze. Un B&B contadino, alla buona, che aveva il punto di forza nei menù completamente autoctoni e molto apprezzati. Una decina di anni dopo, tocca a noi – a me e alle mie sorelle Silvia e Alessandra – perché c’è veramente tanto da fare e bisogna suddividersi i compiti”.
Per chiarire la situazione, Lucia che è la più piccola ha 26 anni, Silvia la maggiore 33 e Alessandra 30. Hanno preso il volante nel 2013, cioè quando Lucia era appena diventata maggiorenne e le altre due avevano un’età da ‘bamboccione’. La conferma che certi stereotipi possono valere in città e tra i maschietti, non qui dove la campagna è ancora campagna e le donne guidano la carica, non seguono assieme alle salmerie.
I maschio-centrici inveterati sussurrano che siamo a un passo dal gineceo perché a Chiesanuova il doppio cromosoma X è predominante, chi si basa sull’Y arranca. Battute stantie, qui il matriarcato non è imposto, è nei fatti con tre giovani eredi che vogliono costruire qualcosa di loro. E che ci stanno riuscendo grazie a una sintonia totale e un’organizzazione lavorativa che mischia l’efficienza del samurai con l’inventiva del cowboy.
“Da subito ci siamo suddivise gli incarichi secondo le nostre inclinazioni. Silvia è una cuoca abile quanto inventiva, che segue la tradizione non trascurando di apportare qualche miglioramento. Io mi occupo delle pubbliche relazioni e dell’accoglienza dei clienti. Alessandra è delegata alla distribuzione dei prodotti dell’azienda agricola e segue in prima persona il bar di Chiavari e il locale che abbiamo aperto a Carasco”.
Oltre ai sorrisi e alle gonne (alternate senza problemi a pantaloni e vestiti da lavoro quando è il caso) c’è di più, molto di più. Una piccola holding agroalimentare. “Il ‘Pinin Bar ed Alimentari’ è a Chiavari, in viale A. Devoto 152 (la circonvallazione cittadina), lo abbiamo preso in gestione una decina di anni fa. Nel 2018 a Carasco è stato inaugurato ‘Le Pinine’ in via Montanaro Disma 154 (di fronte all’Ipercoop). Quest’ultimo è stato pensato per facilitare la diffusione dei prodotti della nostra azienda, un punto commerciale strategico per ‘rifornire’ la costa”.
Una mossa quasi obbligata perché dei manufatti de I Pinin c’è una richiesta esagerata. Il passaparola funziona e agisce in maniera esponenziale. “Abbiamo subito incontrato il favore dei consumatori. Ci siamo organizzate e abbiamo deciso di accantonare i pernottamenti per concentrarci sulla ristorazione. Abbiamo preso due ragazze e abbiamo potenziato la produzione nella azienda agricola e ampliato i menu, con degustazioni, banchetti, cerimonie (comunioni, matrimoni) e offerta di prodotti sia a Chiavari che a Carasco. Inoltre, sino a quando erano possibili le visite guidate, chi mangiava in agriturismo poi aveva diritto al 10% di sconto sul biglietto d’ingresso. E viceversa: chi aveva visitato la miniera poteva usufruire del medesimo sconto per mangiare in agriturismo”.
Una fitta rete di collaborazioni con il territorio, un dialogo con tutte le realtà della Val Graveglia. Segno più davanti a ogni indicatore di rendimento. Solo qualcosa di imprevedibile poteva far segnare il passo a I Pinin e le sue Pinine. “In questi tredici mesi di emergenza sanitaria siamo stati costretti a riconsiderare alcuni progetti. In lockdown o arancione niente banchetti, niente fiere. Per tenere botta abbiamo moltiplicato le prenotazioni e le vendite on line, puntando molto sull’asporto”.
Ad I Pinin non si vede l’ora che si possa andare a visitare l’azienda agricola di famiglia, modello di coltivazione e allevamento moderni e sostenibili. “Abbiamo cinque ettari di terreno, coltivati a oliveto, vigneto, frutteto e orto. Abbiamo mantenuto viva la cultura contadina locale, ci dedichiamo alla produzione di frutta e verdura di stagione, farina di mais, farina di castagne (essiccate come un tempo nell’antico essiccatoio di famiglia), confetture varie e giardiniera. Inoltre disponiamo di un piccolo allevamento di bovini, suini, equini e animali da cortile dai quali ricaviamo carni fresche e controllate, latte, formaggi di varia stagionatura, ricotta fresca, vari salumi e uova”.
Una vera festa per grandi e bambini. “Siamo orgogliose della nostra piccola fattoria: a 200 metri dall’agriturismo, percorrendo una stradina nel castagneto, è possibile visitare bovini, suini, equini e caprini oltre ad animali da cortile. È offerta ai più piccoli la possibilità di avere un approccio diretto con gli animali, cimentandosi anche nel gioco del ‘Piccolo Allevatore’, provando l’esperienza della mungitura, della raccolta delle uova, del dare il fieno, e provare una prima esperienza sulla sella. Infine ci sono i laboratori dove si impara a fare il pane, il formaggio, la pasta frolla”.
Lucia abbraccia con lo sguardo il ranch di famiglia. Pensa alla fatica di mamma Roberta che ancora oggi è al fianco di Silvia per sfornare manicaretti, al costante incoraggiamento di papà Enrico che in ogni ritaglio di tempo lasciato dalla sua professione si mette a disposizione delle figlie-datrici di lavoro. “L’agriturismo è composto da una grande sala centrale e due più piccole adiacenti, oltre alla veranda, che ci permette di arrivare a una capienza massima di circa 120 posti a sedere. Sino al 2019 nei festivi spesso c’era tutto esaurito. Oggi è un po’ triste doverle tenere chiuse. Per fortuna ci sostengono l’entusiasmo e la consapevolezza che… non può piovere per sempre!”.
Giusto. Tornerà il sereno nelle menti e si paleserà l’arcobaleno sopra la Val Graveglia. Silvia, Alessandra e Lucia, virate al mitologico fanno Aglaia, Eufrosine e Talia: presiedevano ai banchetti e alle danze, fanciulle legate al culto della gioia e della natura. Chiesanuova, provincia dell’Attica?