di DANILO SANGUINETI
Banane e lampone: un accostamento che traslato dal testo di una fortunata canzone al quotidiano restituisce un gusto piacevole, ricreabile ad libitum se ci si rivolge alle persone giuste, senza doversi arrovellare su cosa c’è dietro, o sotto: perché parliamo di cassette di frutta esposte in bella vista. Trattasi semplicemente di mercato, quello reale, concreto, fatto di persone, banchetti, prodotti della terra e del ramo, contrattazioni de visu, tra vecchi conoscenti, non stock option, derivati, o altre diavolerie escogitate in quell’immenso suq elettronico che è il Global Exchange Market.
Qui la borsa è la sporta della spesa, non un edificio dove dei forsennati urlano sigle incomprensibili per ore e ore. Qui a far girare le ruote (vere) sono il sudore e la pazienza di alzarsi il mattino presto con qualsiasi tempo in modo da portare al mercato i prodotti freschi, se non coltivati personalmente, comprati da persone fidatissime.
Nel mercato ortofrutticolo chiavarese non ci sono ranghi e classi, ci sono però i capofila e tra questi non si può non mettere la rivendita dei fratelli Longinotti che dal dopoguerra ad oggi ha mantenuto, come se fosse un pennacchio d’onore alzato sul castello di prora della nave, la sua insegna nel cuore della città.
Occupa il posto d’angolo nello spigolo a nord-est della piazza del mercato. Che a Chiavari è piazza Mazzini. Dal 1950 a oggi lì c’è sempre stato un banco di frutta e verdura targato Longinotti. Una specie di marchio di qualità: tra venditori al dettaglio è il passaparola della gente, la fiducia dei clienti, molti dei quali più che fissi, si potrebbero quasi configurare come una famiglia allargata.
Scelsero Longinotti da giovani e persistono a rifornirsi da loro delle primizie fruttifere e dei vegetali di ogni dove da anni, spesso decenni.
Il decano della famiglia, Edoardo Longinotti, non ci tiene a passare per il capo dell’impresa: “Sono il portavoce, ahimè, solo per questioni di età. Viaggio per i 61 e sono stato il primo ad affiancare al banco il fondatore della ditta, mio papà Leonardo, circa 40 anni fa. Adesso continuo l’opera assieme a 3 dei miei 4 fratelli, Claudio, Guido e Laura. Più coniugi e qualche parente. Non so se ci sarà una terza generazione, perché i miei figli ed i miei nipoti potrebbero intraprendere altre strade. Noi non abbiamo intenzione di forzarli, sceglieranno da soli e qualunque decisione prenderanno, ne saremo contenti”.
Edoardo non sarà il boss, ma è senz’altro la memoria storica del mercato chiavarese. “Mi piacerebbe che fosse il contrario ma devo dire la verità, oggi molte, moltissime cose sono cambiate in piazza. Mio papà iniziò prendendo un posto quasi nel centro, vicino alla statua di Mazzini. Allora i banchi erano più di venti e ognuno aveva una sua specializzazione. Non potevi vendere ogni specie di frutto o di verdura, c’erano dei limiti di rifornimento e temporali, i pomodori li avevi per tre-quattro mesi, l’uva per due, le mele per sei. E poi dipendevi molto dal grossista, dove prendevi la merce, e da che tipo di accordo avevi. Allora c’era chi vendeva solo banane, o chi era rinomato per la qualità delle sue zucchine. E gli altri cercavano di adattarsi, andando a cercare i loro punti forti, le loro merci di qualità superiore a quella della concorrenza”.
Il cambio, ma si potrebbe definirla una rivoluzione, senza timore di esagerare, c’è stato 25-30 anni fa. “Vero, il nostro metro di giudizio per capire cosa vogliono i clienti, cosa acquistare e mettere in vendita va continuamente ridefinito. In buona sostanza, adesso devi essere pronto a rispondere a ogni richiesta, non puoi permetterti di non essere fornito di questo o di quello, del frutto esotico o della verdura ‘di nicchia’”.
Quindi un assommarsi di tante criticità: la fine delle offerte stagionali, il lievitare dei costi, la concorrenza della media, poi della grande, infine della grandissima distribuzione sino ad arrivare alla vendita online persino in una categoria merceologica che si pensava immune per ovvie e oggettive difficoltà dall’entrare nel giro virtuale elettronico. “Infatti noi – perché io ragiono in termini collettivi, i nostri vicini di banco non sono concorrenti, sono compagni di avventura – abbiamo perso molto, non intendo solo nel giro di affare, intendo nello spazio e nell’organizzazione del lavoro. Oggi i banchi sono 15. Noi che avevamo fino a 5 anni fa, due posti, quello originale e questo, d’angolo, più ampio, preso una ventina di anni fa, abbiamo dovuto abbandonare la postazione antica per concentrarci su questa”.
Ridurre per non chiudere. “Esattamente. L’operazione non è stata indolore, c’era il vincolo affettivo, ma adesso ci siamo resi conto che è stata indispensabile e lungimirante. E, diciamolo, ci ha permesso di tirare anche un po’ il fiato, siamo in diversi al banco, possiamo alternare gli orari e rendere il turno un po’ meno pesante”.
Perché i cambiamenti ci sono stati anche negli orari. Edoardo alza gli occhi al cielo. “In questo si è tornati indietro. Per molto tempo ci siamo alzati all’alba, si andava dai grossisti di zona e poi si apriva il banco. Adesso i grossisti qui non ci sono più. Siamo costretti a partire per Genova, arrivare ai mercati generali, scegliere le cassette, caricarle ed arrivare a Chiavari, dove troviamo gli altri che stanno aprendo il banco”.
Orari? “Io che sono uno di quelli che va a Genova, mi alzo alle 2, chi resta per preparare il banco verso le 6”. E poi dritti filati sino al primo pomeriggio, un giorno alla settimana anche fino a sera. “Ci si abitua. A volte pesa, a volte ti dà soddisfazioni. L’ho capito nei giorni del lockdown, noi siamo rimasti aperti, gli affari erano un po’ calati, diciamo del 10-15%, ma c’era il rapporto personale a ravvivare tutto. Veniva il cliente, ci trovava, si scambiavano due battute ed eravamo contenti noi e loro. Che è poi il segreto che ci consente di tirare avanti anche oggi. Rispetto al supermarket o al centro commerciale, qui da noi il cliente sa che c’è chi lo consiglia, chi accetta critiche. Se per esempio qualcuno torna e mi di dice ‘Edo, questi pomodori che mi hai venduto non mi sono piaciuti’, io li permuto, rifaccio il conto, aggiungo questo, tolgo quello. Sono investimenti e ne veniamo sempre ripagati”. Gentilezza e competenza, qualità del prodotto e duttilità della domanda come dell’offerta: difficile trovare qualcosa di più… fruttifero.