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di FRANCESCO DANIELI *
Dopo il dibattito presidenziale del 27 giugno scorso e la deludente performance di Joe Biden, molti esponenti del Partito Democratico stanno esprimendo dubbi sulla candidatura del Presidente per via della sua età avanzata. Sebbene Biden non sembri ancora intenzionato a ritirarsi, le voci di corridoio su chi potrebbe sostituirlo si moltiplicano sempre di più, tra candidati più probabili e altri decisamente impossibili.
Il primo nome è quello di Kamala Harris, attuale Vicepresidente e già candidata alle Primarie democratiche del 2020. Harris è al momento la possibile sostituta più quotata per diverse ragioni. Innanzitutto, essendo già parte del ticket (la candidatura congiunta a Presidente e Vicepresidente) con Biden, potrebbe ereditare i circa 240 milioni di dollari di fondi che sono stati raccolti fino a questo momento dalla campagna Biden-Harris. Questo diventerebbe invece più complesso in caso di un candidato “estraneo”: i fondi potrebbero essere donati alla Democratic National Committee (DNC) o a un comitato per la raccolta fondi (PAC, political action committee) del nuovo candidato, ma vi sarebbero dei grossi limiti e svantaggi sul loro utilizzo. Per esempio, quel PAC potrebbe trasferire solo fino a 3.300 dollari per elezione alla campagna del nuovo candidato alla presidenza. Un altro vantaggio di Harris è il suo ruolo come volto dell’amministrazione Biden nelle tematiche legate ai diritti riproduttivi, un argomento che finora ha sempre dato una spinta in più alle candidature democratiche, e nelle critiche portate contro alle azioni israeliane successive al 7 ottobre. Ciononostante, Harris è anche una delle figure, a prima vista, che più si sta dimostrando fedele al Presidente, che ha difeso in più occasioni dopo il dibattito. Inoltre, secondo i sondaggi, sembrerebbe anche più impopolare di Biden, seppure questo dipenda anche dalla poca luce che ha ricevuto nel suo ruolo di vice.
Se invece si guardasse a dei candidati esterni al ticket attuale, i nomi più chiacchierati sarebbero quelli di alcuni governatori dem che si stanno mettendo in mostra da diversi mesi. Il primo è Gavin Newsom, Governatore della California. È telegenico, relativamente giovane se confrontato con Trump e Biden (ha 56 anni), e benvoluto dai dem a livello nazionale (ma meno all’interno del suo stato). I problemi della sua candidatura starebbero nel suo essere, forse, troppo “Californiano”: distante dall’America più profonda e molto favorevole a politiche forti in fatto di transizione ecologica, Newsom potrebbe non ricevere abbastanza sostegno in alcuni degli stati chiave per le elezioni. Inoltre, nonostante si stia dimostrando fedele a Biden nel fare campagna per lui dopo il dibattito, nello staff della Casa Bianca si sospetta che la sua sia una “campagna ombra”, pensata più per porre sé stesso come alternativa al Presidente.
Sempre tra i Governatori, ci sono anche altri outsider, meno conosciuti, ma con alcuni pregi. Uno di loro è J. B. Pritzker, il miliardario Governatore dell’Illinois. Col suo patrimonio di 3,5 miliardi di dollari, potrebbe risolvere i problemi dei fondi per la campagna, e si è già distinto per le sue leggi progressiste in materia di aborto e legalizzazione della marijuana. Anche Gretchen Whitmer, Governatrice del Michigan, potrebbe essere un’opzione, grazie al suo pragmatismo e alla sua capacità di contrastare i Repubblicani trumpiani, pur governando uno stato della Rust Belt (la regione nel nord-est degli Stati Uniti che da tempo soffre un declino economico legato alla contrazione delle sue industrie). Infine, alcuni considerano in lizza anche il Governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, famoso sia per la sua capacità di collaborare con i Repubblicani più moderati, sia per la velocità con cui fece riparare un ponte collassato sulla Philadelphia highway. Tutti questi personaggi, però, condividono un grosso difetto: al momento, al di fuori dei propri stati, sono pressoché sconosciuti all’elettorato americano. Inoltre, la loro scelta potrebbe portare i Democratici a scontrarsi con le scadenze elettorali statali (che richiedono che il candidato venga confermato entro una certa data) e con possibili sfide legali da parte dei Repubblicani.
Un’ultima candidatura, infine, è praticamente impossibile: quella di Michelle Obama. Nonostante molte testate giornalistiche continuino a suggerire una sua possibile discesa in campo, l’ex First Lady non ha mai nascosto di non avere alcuna intenzione di fare politica attiva, dopo gli attacchi subiti con la sua famiglia durante la presidenza del marito. Sarà quest’ultimo, invece, ad avere probabilmente un ruolo fondamentale: non solo per la sua popolarità, che sarà ancora utile nei prossimi mesi ad aiutare la campagna democratica, ma anche per il suo stretto rapporto con Biden. Nel corso delle prossime settimane, secondo molti esperti, solo le sue parole, insieme a quelle della First Lady Jill Biden, potrebbero spingere il Presidente a farsi da parte e ad abbandonare il proprio posto di candidato.
(Laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia e di politica internazionale. Collabora con Jefferson e lavora presso l’Institute for the Danube Region and Central Europe (IDM) di Vienna)