di DANILO SANGUINETI
Gli Europei 2021, il primo importante appuntamento internazionale da tre anni a questa parte, sono alle porte: colmano una voragine psichica che i calciopatici, buoni emuli del ragioniere più famoso d’Italia, intendono cancellare piazzandosi di fronte agli schermi mega-ultra HD con l’abbigliamento e l’atteggiamento di ordinanza: free burp, deshabillé, frittatona di cipolle o una cofanata di spaghetti aglio-olio accompagnata dalla bottiglia di birra a temperature artiche. A quest’ultima potrebbe provvedere la Taverna del Vara, il birrificio che sforna in quantità non industriali, seppure importanti, e comunque di qualità indiscutibile, tante bottiglie del liquore a ragionevole tasso alcolico più amato del mondo.
La piccola distilleria retta da millenials, indirizzata su una rotta ecosostenibile, miscela nozioni antiche a idee contemporanee: al sapore particolare del preparato contribuisce anche un po’ di sana concretezza finanziaria. L’ingrediente segreto è l’anima libera e dotta del mastro birraio. Sotto il grembiule vi sono i panni di una quarantenne che ha percorso all’incontrario il cursus studiorum. Da ingegnere a ricercatrice e adesso imprenditrice, una Diogene che usa una bottiglia anziché la lanterna per inseguire l’essenza dell’uomo.
Elisa Lavagnino è una pioniera ardimentosa. Oltre a fondare una fabbrica in una regione povera di materie prime all’uopo birroso, se n’è infischiata di un mansplaining irrobustito da una tradizione monolitica, e ha messo la sua intelligenza e la sua sensibilità al servizio di una continua invenzione di etichette e miscele speciali.
Frantumata la credenza che la birra sia un piacere riservato in esclusiva agli ometti, Elisa ha puntato tutto sulla bevanda che fa girare il mondo. Che non è più il Crodino come ricordano i Boomer. La Birra forse non fa campare cent’anni, certamente è accettata e gradita su ogni tavola del paese, senza distinzioni di ceto, genere e, soprattutto età.
Il ‘Barone Birra’ di Tavarone è in grado di sintetizzare la sua esperienza in poche frasi, altro retaggio della sua precedente ‘vita’, quando era relatrice a convegni del Gala, associazione per serious gamer.
“Ho preso la decisione sei anni fa, nel 2015. Volevo recuperare le mie radici. C’era questo sito che apparteneva alla mia famiglia, nel cuore della Val di Vara, una zona del Levante della regione che è stata dichiarata biologica, a metà tra Emilia e la nostra costa, a ridosso delle Cinque Terre. Tavarone è un gran posto per vivere e lavorare, se posso dirlo”.
Deve una spiegazione sulle radici. “Come sede del birrificio abbiamo scelto la vecchia azienda dei mie nonni, dove facevano spume e vino e rivendevano acqua. Dal secondo dopoguerra sino a inizi del Duemila. Il primo sito di produzione della birra è stato proprio il laboratorio delle spume”.
Recupero dell’archeologia industriale. Un bell’inizio, ma da solo non basterebbe. “Sono in società con mio cognato Simone Moscatelli. E ci siamo suddivisi gli incarichi: io birraia, ossia ideatrice dei vari ‘tipi’, mi occupo della produzione e curo gli eventi promozionali e culturali. Simone gestisce e cura l’amministrazione della ditta che abbiamo chiamato Taverna del Vara”.
Semplice e descrittivo. “Nel tempo sono entrati nello staff Fabio Pallotta, che prima curava il circolo Arci di Sestri Levante: si occupa della gestione della nostra immagine, cura i clienti e ci sostiene negli eventi. La nostra crew è completata da un ragazzo del Ghana”.
Gente che sgobba perché la produzione di birre è solo il primo gradino di una scala ripida. “Abbiamo costituito una rete informale di piccoli produttori come noi, che ci forniscono alcune delle materie prime per le varie ‘miscele’. In più abbiamo fondato un’azienda agricola per avere il ‘nostro’ luppolo, ‘I Paloffi’. Dopo aver recuperato l’antico meleto, composto da un centinaio di piante, e i terreni intorno al birrificio, ci siamo dedicati alla coltivazione del luppolo. Abbiamo iniziato con 23 piante di diverse varietà, oggi abbiamo circa 500 piante acquisite da Mr Hosp, principalmente di Cascade”.
Autarchia allo stato quasi puro. “Il nostro luppolo viene direttamente trasformato in azienda e riutilizzato in birrificio. Le birre portano nomi di paesi della valle e/o degli ingredienti che sono impiegati”. Nascono così Torza, Tava, A Ture, Suvero, Vara, Casta Lampo, Mocc’, Bio per caso, Tramonti, Castelu, Iga per caso. Ce n’è per ogni gusto: Blonde Ale, American Pale, Belgian, ai Lamponi, American Amber, Italian Grape.
Per i non ‘adepti’, birre chiare, scure, usando diversi tipi di orzo e di luppoli, aggiungendo in bollitura frutti e prodotti tipici. La Taverna del Vara non solo produce, esporta conoscenza. “Offriamo su prenotazione – aggiunge Elisa – delle visite guidate al nostro birrificio. Spieghiamo come l’acqua si trasforma in birra. Illustriamo materie prime che compongono la birra e il loro uso. Proponiamo l’assaggio dei malti, insegniamo il riconoscimento dei luppoli, organizziamo dei laboratori dove si replica e s’impara il procedimento. Inoltre, da giugno a settembre si può visitare il luppoleto”.
Non ci si limita all’offerta del boccale, che rimane il core business. La duttilità dei ragazzi di Taverna del Vara è stata l’arma in più usata nel lungo periodo di chiusure e limitazioni. “Il nostro volume di affari altrimenti si sarebbe ridotto in maniera preoccupante dato l’ambito regionale delle nostre esportazioni. Con ristoranti, bar e caffè che lavoravano a basso regime, abbiamo resistito grazie agli ordini dei clienti ‘privati’: chi riforniva la cantina di casa, chi regalava cartoni di bottiglie in famiglia o agli amici. Adesso piano piano stanno tornando le ordinazioni delle rivendite pubbliche”.
Lo spaccio accanto alla Taverna negli ultimi weekend ha accolto numerosi visitatori. Per far scorta di ‘bionde’ e di ‘brune’ doc e per un salto nel verde. Accanto allo spaccio fisico, la vendita su Internet. Elisa grazie ai suoi trascorsi nel circuito universitario ha una competenza di prim’ordine nel marketing on line: “Siamo in grado di assolvere ogni tipo di richiesta, anche di birre a domicilio, o di creare una birra ‘personalizzata’, seguendo le indicazioni del cliente per un evento o per il suo locale, magari un regalo originale per gli invitati o da offrire agli amici. Lo aiutiamo a scegliere la ricetta che più incontra il suo gusto e realizziamo l’etichetta seguendo le sue indicazioni”.
Lo spaccio resta il preferito dei gestori, perché consente di interagire con persone in carne e ossa. “Sulle relazioni tra individui abbiamo costruito la nostra attività”. Agganciati alla tradizione, aperti all’innovazione, un blended learning che rivaleggia con il blend degli ingredienti ‘birrosi’. E convintamente ecologisti. “Abbiamo ricevuto la qualifica di Bioazienda. Siamo nel cuore del Biodistretto ligure, era un obbligo morale fare la nostra parte. Siamo a Km Zero, perché importiamo solo i materiali che sul suolo ligure non possono essere prodotti. Taverna del Vara produce birre dalle ricette che profumano di tradizione, di prodotto fatto realmente in casa propria”.
Luppoli, miele e castagne del territorio uniti all’acqua di sorgente, la birra nasce dal connubio tra artigianato e agricoltura. “Produttori che, mano a mano, entrano a far parte della nostra rete. Tutto questo ci permette di definire il nostro un progetto di territorio, che mette al centro il valore delle relazioni umane e il rispetto dell’ambiente attraverso scelte consapevoli e ponderate. Il risultato è una birra che raramente esce dalle nostre zone, ma che sicuramente le rappresenta al meglio”.
Nessuna rendita di posizione, c’è sempre qualcosa da scoprire e da migliorare, come la ‘vita precedente’ ha insegnato alla dottoressa Lavagnino. “La Taverna del Vara partecipa a un progetto di ricerca Erasmus Plus, finanziato dall’Unione Europea. Il progetto si chiama Adiuva, Add Your Value ed è coordinato dal dipartimento Dicca dell’Università di Genova. Il partenariato è composto da tre università (Genova, Valencia e Abeerdeen) e da tre aziende (Taverna del Vara, AIMPLAS e Pale Blue Dot Energy Limited). L’obiettivo del progetto è formare studenti che possano promuovere scelte ecologicamente sostenibili per rispettare le nuove sfide ambientali. Noi abbiamo posto le nostre domande e mostrato le problematiche, quali lo spreco dell’acqua, di energia. Alcuni studenti stanno cercando delle soluzioni che poi applicheremo per migliorare la circolarità della nostra produzione”.
“Con questo ci faccio la birra” è un modo di dire che a Tavarone assume tutto un altro senso. Siamo miglia e miglia lontani dalla gag ‘Birra e Salsicce’ di Totò. A Tavarone il ‘propellente’ che permetteva ai Dreki di Goti e Vichinghi di traversare continenti e mari scorre a fiumi. E chi si astiene dal gustarlo non verrà colto dalla peste (per quello, grazie al cielo, ci sono i vaccini) ma dal dubbio di perdersi qualcosa di eccellente.