Pedro Sanchez, premier spagnolo, Magdalena Andersson, ex prima ministra svedese. Frans Timmermans, già vicepresidente della Commissione europea. Elly Schlein, segretaria del Partito democratico. Stefan Löfven, ex premier svedese. Cinque leader socialisti che hanno scelto ieri le colonne del Guardian per lanciare un appello all’Europa: riconoscere subito lo Stato di Palestina, costruire un pacchetto di aiuti economici, aprire un accordo commerciale e al tempo stesso imporre sanzioni a Israele. Un manifesto che parla senza remore di “genocidio”, che individua in Benjamin Netanyahu il colpevole unico, che indica nei palestinesi le vittime assolute e che chiede all’Ue di assumersi un “obbligo legale e morale” di agire.
È impossibile restare indifferenti di fronte alla tragedia che si consuma da mesi a Gaza: bambini senza scuola, famiglie spezzate, una popolazione che paga un prezzo altissimo per una guerra che non ha scelto. Empatia, solidarietà, voglia di pace: tutto questo è naturale. Ma proprio per questo colpisce ancora di più l’assenza che attraversa tutto l’appello. Non una parola, non un cenno, non un riferimento ad Hamas. Eppure Hamas governa Gaza con il terrore, ha scatenato la guerra con il massacro del 7 ottobre, usa i civili come scudi umani, sabota qualunque tentativo di tregua. Nella narrazione dei cinque leader, questo attore non esiste. Scompare. La Palestina evocata appare come un’entità astratta, senza leadership, senza terroristi.
Questa rimozione non è casuale. È una scelta politica. Perché se si nominasse Hamas, bisognerebbe chiedersi come garantire ai palestinesi non solo uno stato, ma uno Stato libero anche dai propri carnefici interni. E bisognerebbe ammettere che la pace non si costruisce fingendo che il problema non esista. E bisognerebbe ricordare che non parlare di Hamas, quando si parla di Palestina, significa semplicemente rimuovere un rischio reale. Trasformare lo stato palestinese nel simbolo della vittoria di un metodo più che criminale: il terrorismo.
(Editoriale da ‘Il Foglio’, 27 e 28 settembre 2025)
(a.g.) Ci siamo chiesti se l’articolo de ‘Il Foglio’ che abbiamo pubblicato come editoriale di questa settimana non fosse invecchiato alla luce dei fatti più recenti, ed in particolare del Piano di pace per Gaza presentato da Trump.
Tale piano prevede il cessate il fuoco immediato, la liberazione o restituzione di tutti gli ostaggi in 72 ore, la liberazione di prigionieri palestinesi, il disarmo di Hamas, l’amnistia per i membri di Hamas che depongono le armi o lasciano Gaza, una smilitarizzazione totale sotto il controllo internazionale, aiuti umanitari massicci, una forza di stabilizzazione araba internazionale, la non annessione da parte di Israele di Gaza e della Cisgiordania, il che mantiene aperta la strada alla creazione di uno stato palestinese e ad un percorso di autodeterminazione di quella nazione senza i terroristi di Hamas.
Il piano ha ottenuto immediatamente la condivisione di Qatar, Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan e Giordania. Ha ottenuto accoglimento favorevole da molti Paesi europei come Italia (il piano è coerente a ciò che qualche giorno fa aveva detto Meloni a proposito delle condizioni alla base della nascita di uno stato palestinese), Spagna, Francia, Paesi Bassi e ha avuto persino un moderato sostegno da parte di Cina e Russia.
Si attende la risposta di Hamas, che per ora non c’è.
L’articolo del ‘Foglio’ non è invecchiato perché, riguardo al piano Trump, pur così largamente sostenuto, vi è di nuovo il silenzio assordante della sinistra europea e di quella italiana in particolare. Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli sono muti come pesci. Ma come, si chiede per mesi una forte iniziativa diplomatica per fermare la guerra e le sofferenze del popolo palestinese, e quando questa iniziativa c’è si tace? Il piano non va bene? Dove non va bene?
In realtà la sensazione che si ha è che una sinistra priva di bussola internazionale e capace solo di calcoli elettorali sia condizionata dall’estremismo dei ‘pacifisti’ formato Flotilla che in realtà, alla fine, più che la guerra odia l’occidente, ed ha posizioni molto vicine ad Hamas a proposito dell’esistenza dello stato d’Israele (‘dal fiume al mare’). Ricci ha voluto, in chiusura di campagna elettorale delle Marche, spingere sulla questione palestinese, e ha perso. Gran parte dell’elettorato centrista ha votato il candidato del centro destra.
Con “pas d’ennemis à gauche” non si vince e non si governa, e la sinistra riformista dovrebbe capirlo.