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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

La sentenza di Trump è stata rimandata, la legge attenderà il voto

Il tribunale di New York ha posticipato il verdetto dopo la condanna a maggio dell’ex presidente. Un altro successo in aula per il leader dei repubblicani
Donald Trump correrà nuovamente per le presidenziali di novembre
Donald Trump correrà nuovamente per le presidenziali di novembre
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di PIETRO CARIGNANI *

Quando lo scorso 30 maggio la Corte Criminale di Manhattan ha riconosciuto Donald Trump colpevole di trentaquattro reati, tra cui falsificazione di bilancio aziendale, gli osservatori politici sono stati costretti a domandarsi se avremmo assistito a una campagna elettorale con un candidato incarcerato. Questo scenario estremo non si è mai realizzato. La strategia legale dell’ex presidente, insieme alle enormi pressioni politiche attuate nei confronti della corte, sono riuscite a posticipare la sentenza a dopo le elezioni di novembre, di fatto anteponendo il giudizio del paese su Trump a quello della legge. 

La condanna era arrivata nel corso del cosiddetto “processo Stormy Daniels”, in cui Trump era accusato di aver falsamente rendicontato 130.000$ come spese aziendali, quando in realtà erano destinati a comprare il silenzio di una ex-pornostar con cui il tycoon avrebbe avuto una relazione sessuale. A maggio quindi, Trump era diventato il primo presidente americano della storia a subire una condanna penale, e sembrava che questo avrebbe potuto danneggiare le sue possibilità di essere rieletto, se non dal punto di vista legale almeno da quello dell’immagine pubblica. 
Gli ultimi mesi di campagna elettorale, tuttavia, sono stati talmente convulsi da spostare quasi completamente l’attenzione dai contenziosi legali di Trump: il 27 giugno il dibattito tra candidati tenuto sulla CNN ha sollevato crescenti polemiche riguardo lo stato di salute di Joe Biden, il 13 luglio Trump stesso ha subito un attentato durante un comizio a Butler, Pennsylvania, rimediando una ferita all’orecchio, il 21 luglio Biden si è ritirato dalla corsa, aprendo la strada alla nomination democratica di Kamala Harris. Se non fossero bastate queste distrazioni, il 1° luglio la Corte Suprema a maggioranza repubblicana ha sancito l’immunità parziale di Trump per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, di fatto arrestando il processo che lo vedeva imputato per cospirazione e incitamento all’insurrezione. Questo riconoscimento ha fornito al tycoon una ulteriore arma per ritardare lo svolgimento di tutti i suoi processi, compreso quello dei pagamenti illeciti. A meno di due mesi dalle elezioni le basi politiche e legali che potevano favorire una condanna prima di novembre sono completamente venute meno.

Le interferenze politiche sono alla base della decisione del giudice Juan M. Merchan di ritardare la sentenza dal 18 settembre, data inizialmente prevista, a dopo le elezioni del 5 novembre. Leggendo la sua motivazione appare chiaro che non si voleva dare l’impressione di “avvantaggiare o svantaggiare nessun partito politico”. Anche l’accusa, rappresentata dal procuratore distrettuale Alvin Bragg, non si è opposta a questo ritardo, valutando probabilmente che, anche in caso di una condanna, difficilmente Trump sarebbe stato incarcerato prima delle elezioni di novembre. Va infatti considerato che, oltre all’imponente pool di avvocati dell’ex-presidente, sempre pronti a utilizzare stratagemmi legali per facilitare il proprio assistito, ci sarebbero stati notevoli problemi di ordine pubblico nella gestione di un arresto di questa portata, con pesanti conseguenze sul clima, già piuttosto teso, della campagna elettorale. 

Trump affronterà quindi le ultime settimane prima del voto da uomo libero, e lo farà con la consapevolezza che, se dovesse essere rieletto, anche il suo futuro legale potrebbe cambiare. Una volta tornato alla Casa Bianca, il leader repubblicano potrebbe infatti offrire a sé stesso il perdono per i due crimini federali di cui è imputato, quello legato agli avvenimenti del 6 gennaio e quello legato alla mancata riconsegna di documenti classificati una volta perso lo status di presidente. Venisse rieletto, anche gli altri procedimenti penali (il caso Daniels e l’accusa di aver interferito sulle elezioni del 2020 in Georgia) subirebbero inevitabilmente dei rallentamenti: condannare il Presidente degli Stati Uniti è decisamente più difficile che condannare un privato cittadino, da un punto di vista legale così come politico.

Per come si erano messe le cose a maggio, la situazione sul fronte giudiziario per Trump sembra decisamente più rosea: i suoi processi penali si sono arenati sulla sentenza di luglio della Corte Suprema, sono stati rallentati da decisioni di giudici a lui favorevoli (come nel caso dei documenti secretati), o rimandati a data da destinarsi. Anche i suoi oppositori sembrano essersi rassegnati a questo stato delle cose: complice il rinnovato entusiasmo successivo alla candidatura di Kamala Harris, il partito Democratico sembra aver ritrovato l’energia di sfidare Trump sul piano politico, specialmente a così poche settimane dal voto. L’impressione data dall’analisi di questi ultimi mesi è che, quando si parla di presidenti, la giurisprudenza americana faccia molta fatica a svincolarsi dai tempi e dalle dinamiche della politica, preferendo assecondare le esigenze di quest’ultima piuttosto che seguire rigidamente i propri protocolli. Il futuro giudiziario di Trump appare estremamente vincolato al suo successo politico. Una strategia rischiosa, ma su cui l’ex-presidente ha puntato sin dall’inizio.

(* Laureato magistrale in International Studies all’Università degli Studi di Roma Tre, scrive di Stati Uniti su Jefferson e si occupa di storia e politica americana)

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