di DANILO SANGUINETI
Tutte le famiglie felici si assomigliano? Fino a un certo punto perché la storia dei Ballerini, che partirono dal pavese e da una teutonica ‘Kursaal’ più di un secolo e mezzo fa e approdano a Sestri creando con l’intuizione e la passione una holding nel settore gastronomico, arriva all’‘happy end’ grazie a un copione che parrebbe inventato se non ci fossero cinque negozi e ristoranti e una miriade di iniziative imprenditoriali a certificarlo. Non manca nulla: il nonno che valica gli Appennini e porta i Ballerini (tramutati in Ballarini dal solito impiegato dall’anagrafe forse distratto forse disgrafico) nella Bimare, una ricetta sempre vincente nel gestire i locali turistici, l’amore dei nipoti che decidono di continuare e allargare il sentiero tracciato dall’antenato, le capacità gastronomiche sposate alla sapienza enologica, l’amore per la tradizione unito a un recupero di filologica precisione di ricette, sapori, usi e costumi della loro terra. Oltre il piatto e il bicchiere, il Leudo e la botte, la fascia e la zappa.
Andrea e Daniele Ballerini rifiutano le denominazioni moderne, si retrodatano ‘Vinaccieri’ e vi invitano in un cerchio magico nel quale potete provare la trattoria, il ristorante e l’enoteca, transitando per una gastronomia e incappando pure nella bottega d’arte. La ricetta che tiene insieme il mondo dei Vinaccieri Ballerini? L’amore per le cose belle. Per capire bisogna partire dal nome – criptico per chi non ha conoscenze estese di genovese – del ristorante eponimo: ‘La Sciamadda dei Vinaccieri Ballerini’. Andrea, il maggiore dei fratelli, spiega, probabilmente per la milionesima volta che cosa significa Sciamadda. “È un termine dialettale usato soprattutto a Genova. Fiammata in italiano. Da queste parti per indicare lo stesso tipo di negozio si usa ‘Fainotto’ – in pratica una trattoria che ha un menu basato su pochi piatti, tutti cotti nel forno a legna (ecco perché ‘fiammata’) – Nove anni fa dovevamo aprire un ristorante di pesce qui in centro (è nel carruggio sestrese, in via XXV aprile al n°179, ndr), proprio dove tutti propongono menù di questo tipo, quindi abbiamo pensato di diversificare, trovare il modo di distinguerci”.
Un appassionato di storia e etnologia ligure come Andrea Ballerini trovò facilmente la strada. “Far conoscere l’antica gloriosa cucina tabarchina, il risultato di diverse contaminazioni tra culture diverse scaturito dalla storia particolarissima di Carloforte, l’enclave ligure sull’isola di San Pietro al largo della costa sudoccidentale della Sardegna”.

In estrema sintesi la denominazione si riferisce alla città di Tabarka, sulla costa tunisina quasi ai confini con Algeria che ospitò per diversi secoli una fiorente comunità di pescatori di corallo. Sull’isola prospiciente la baia, data in affitto alla potente famiglia genovese Lomellini, si stabilirono coloni, provenienti in massima parte da Pegli, che ivi si dedicarono alla raccolta del corallo dal 1540 al 1738. L’esaurimento dei banchi corallini e il mutato clima politico causarono la diaspora dei Tabarchini, la maggioranza approdò in Sardegna prima a Carloforte e poi a Calasetta. Le aree di insediamento mantennero un’identità grazie a cucina e lingua, entrambe influenzate dalle ascendenze liguri ma recanti evidenti tracce di contaminazioni arabe e sarde, con una punta di piemontese dato che in Sardegna al momento del loro arrivo comandavano i Savoia.
“Confermo. Esempio classico il ‘Cascà’, una via di mezzo tra il cous cous arabo e la fregola sarda, impreziosito da uno spezzatino di verdure alla ligure come la ‘rattatuia’ e aromatizzato da un brodetto di pesce rinvigorito da una miscela di spezie orientali, usate dai maestri norcini piemontesi ancora oggi per insaporire i loro salumi. Oltra al ‘Cascà’, la Cassolla, antica zuppa presentata nella sua padella con i crostoni del nostro pane marinaro artigianale. Poi c’è lo spiedo di tonno dell’isola Piana che viene passato in una miscela di spezie e servito appeso”.
Chi non si sente esploratore può comunque affidarsi alle vecchie e ben conosciute portate. “Dalla gastronomia ligure poi si possono gustare le farinate, i fritti di pesce azzurro, gamberi sestrini e totani, gli spaghetti ‘Mae’ al cartoccio e tanti altri piatti tra cui permettetemi di segnalare il nostro Tiramisù, il migliore del mondo”.
Arduo sfuggire al richiamo della Sciamadda che ti tenta anche con i migliori oli liguri, i salumi di Castiglione Chiavarese e di Sant’Olcese, le torte di verdura, il Cappon Magro. “Abbiamo una risposta a quasi tutto. Molte altre cose si possono prendere anche per asporto al banco dell’annessa gastronomia”. E poi c’è la seconda parte dell’insegna da spiegare. Vinaccieri? Io e mio fratello ci sentiamo testimoni di una tradizione millenaria, che parla di un mestiere duro, legato al mare ed al commercio. I Vinaccieri commerciavano vino con un’imbarcazione chiamata Leudo e si spingevano dalle Cinque Terre, sino all’Isola d’Elba, in Corsica, in Sardegna e persino in Sicilia. Abbiamo ascoltato vecchie storie, speriamo di scriverne di nuove, con l’unico Leudo rimasto in attività, quello dal nome suggestivo di ‘Nuovo aiuto di Dio’”.
Barca storica di proprietà del dottor Gian Renzo Traversaro che grazie anche alla collaborazione con l’associazione ‘Amici del Leudo’ ha ripreso il mare nel 2011. “Poiché il Leudo è un patrimonio inestimabile, non solo come imbarcazione, ma per la storia e la cultura che ci tramanda io e mio fratello, soci dell’associazione, abbiamo pensato di usarlo e aiutarlo chiedendo all’armatore di riprendere i commerci ed in particolare quello di vino con l’Isola d’Elba”.
Niente compromessi, il restauro doveva essere di una teutonica filologica precisione. “Per le botti la soluzione si è trovata in Sicilia, dove esistono ancora dei bottifici in grado di fabbricarle con gli stessi legni che si usavano allora e della miglior foggia per poter affrontare il viaggio in mare. A monte di tutto si è dovuto procedere ad un lavoro di organizzazione che ha coinvolto tutti quanti, infatti oltre all’armatore tutti i soci hanno messo le loro capacità a disposizione di questa impresa senza nulla risparmiarsi. Il successo però è stato immediato e ad oggi i prodotti dei vinaccieri trovano meritato posto sulle migliori tavole. Ed abbiamo progetti anche più ambiziosi”.

I Vinaccieri parlano con i fatti. Accanto alla Sciammada, in via XXV aprile 176 c’è La Casa delle Compere 150. Altro nome inusuale, altra storia che affascina. “La Casa delle Compere (e dei Banchi di San Giorgio), il nome originale del Banco di San Giorgio mentre 150 sono gli anni di attività nel commercio della nostra famiglia (dal 1870 circa). Nel palazzo dove c’era l’agenzia principale del Banco di Chiavari e precedentemente la sede dello storico albergo Eden abbiamo individuato il posto giusto per ampliare l’offerta ai clienti. Abbiamo riportato alla vista le antiche murature che rivelano l’importanza di questo palazzo del centro storico sestrese. La Casa delle Compere offre una serie di specialità contraddistinte dalla più specifica caratterizzazione verso la frontiera dei marchi di qualità artigianali del nostro territorio, così ricco di eccellenze, spesso non sufficientemente valorizzate. Lo abbiamo pensato come una area dove oltre ai privati – da ospitare a colazione, a pranzo, all’aperitivo e a cena – si ricevono e si propongono iniziative culturali, collaborando con tutte quelle associazioni che si occupano di mantenere in vita le nostre tradizioni come la confraternita di San Pietro, la nostra diocesi Santa Maria di Nazareth e i Cappuccini”.
La Sciamadda inaugurata nel 2015, ora la Casa delle Compere: sarebbe già tanto, e sono invece solo le ultime fronte di un albero che ha messo radici ovunque a Sestri. “Prima avevamo l’Aragosta d’Oro e ancora prima altri locali. Mio nonno è mancato nel 1969, mio padre si è dedicato ad altro, io e mio fratello abbiamo ripreso il discorso e l’abbiamo ampliato. Una passione che ci impegna 365 giorni all’anno e che ci tiene occupati dall’alba al tramonto. E che in questi giorni pasquali richiederà ancora maggiore attenzione. Siamo reduci dal ‘rilassamento’ invernale, siamo un po’ fuori allenamento e bisogna fare in fretta a tornare reattivi al 100%”.
Come insegnato loro da nonno Luigi che dopo la guerra e sino alla sua scomparsa nel 1969 gestì il Nettuno e pure il Kon Tiki nell’epoca d’oro del turismo per il Tigullio. “Che abbiamo aperto e teniamo anche altri tre locali: l’Aragosta d’Oro appunto, Millelire e Don Luigi”. Si capisce perché non abbiamo un minuto libero. In viale Rimembranza 36, la passeggiata a mare, c’è ‘Don Luigi’. “Si trova nei fondi di uno dei più bei palazzi sul mare, tutto costruito in pietre e mattoni e con le caratteristiche di un piccolo castello. Dopo un breve periodo di chiusura ha riaperto i battenti a luglio del 2021, interamente rinnovato nelle cucine, interamente preservato, con i suoi muri carichi di storia, nel resto della sala. La cucina offre una serie di specialità di mare e di terra, con piatti della tradizione e con una grandissima riscoperta. Le ‘Seste’, antiche focacce al formaggio fatte di due sfoglie molto sottili e cotte nel forno a legna con all’interno tanta crescenza e un ingrediente segreto, un capolavoro scovato sul libro delle ricette di nonna Marina”.
In via Palestro 4 c’è l’Aragosta d’Oro. “Un piccolo negozio-gastronomia tutto pietra e legno con ristoro che funge anche da trattoria. Da mattina a sera con menù a prezzo fisso e con la vendita di prodotti tipici liguri, per asporto o per consumazione diretta sulle panche e tavoli messi a disposizione degli avventori”.
Torniamo in Carruggio. In via XXV Aprile 153 c’è Millelire. “Deve il suo nome al sommergibile Domenico Millelire, varato nel 1927, che fu protagonista di numerose imprese della marina militare. Si possono gustare ottimi cocktail e piccole specialità del territorio. Il suo stile è marinaresco, interamente rivestito in legno e impreziosito da cimeli di famiglia”. Ecco il perché parlare di Holding del gusto e dell’intrattenimento non è esagerato. Il Vinacciere Andrea se la ride. “Beh diciamo che se arriva un turista a Sestri e gira per il centro abbiamo buone possibilità di ‘accalappiarlo’… Scherzi a parte credo che i nostri piccoli successi siano frutto di fatica e di una attenta programmazione. Non mi stanco di ripeterlo: dietro c’è una filosofia di vita ben precisa, il desiderio di fare qualcosa di utile e importante per la nostra zona, la nostra gente. Infatti usiamo i nostri locali per mostre d’arte e di storia, una diversa ogni mese e mezzo circa, facciamo corsi di cucina e di enologia, iniziative di ogni genere”.
‘Vincere aiuta a vincere’ è massima che non vale solo nello sport. I fratelli Ballerini sanno da dove vengono e sanno dove andare. Le idee come le imprese per i Ballerini arrivano come le ciliegie, una dietro l’altra. L’happy ending va sempre rafforzato da un ‘to be continued’, da un ‘continua’. Come direbbe Jimmy Durante: “Non avete ancora visto niente, gente”. Il bisnonno aveva ricreato la montagna incantata, una casa di cura tra le risaie di Pavia, i nipoti hanno fermato il tempo nella Penisola e creato un regno sul quale oltre al sole pure il mestolo non tramonta mai.