di SABINA CROCE
Ho visto, rispettando disciplinatamente – e forzosamente – l’intervallo tra le puntate, la quarta stagione di True Detective, ‘The Night Country’.
Non sono un’esperta di serie TV, men che meno una critica televisiva o cinematografica, perciò quelle che seguono sono considerazioni estemporanee senza pretesa alcuna.
Dopo la prima stagione, che giustamente ha fatto epoca, nessuna delle successive è sembrata all’altezza delle aspettative del pubblico. Ma questa ultima secondo me ne ha le carte in regola.
Tutte le stagioni di True Detective sono caratterizzate da un’unica vicenda narrativa occupata da un mistero da risolvere, come in un lunghissimo film. I personaggi principali sono sempre una coppia di investigatori alquanto male assortiti, spesso non del tutto gradevoli, con più di un’ombra nel vissuto, e che non si piacciono nemmeno particolarmente. Ma sono sempre accomunati e tenuti insieme loro malgrado dalla ‘scimmia’ sbirresca di venire a capo del mistero: sono, insomma, ‘true detective’, investigatori veri.
Quelle di ‘The night country’ sono due donne, non si apprezzano granché, non si fidano del tutto l’una dell’altra ed hanno nel passato un episodio comune abbastanza oscuro, che si chiarirà nel dipanarsi della storia.
La ‘capa’ Liz Danvers è una Jodie Foster secca, asciutta, scurrile e spesso sgradevole: in una parola, bravissima. Ha un passato di sofferenze, un figlio scomparso bambino, una sorta di figlia adottiva adolescente di origine inuit (la vicenda si svolge in Alaska, nella stagione della notte perenne, di qui il titolo ‘The Night Country’) con cui è in conflitto permanente, e rapporti difficili con tutti i colleghi della stazione di polizia ed, essendo bianca, con la popolazione originaria del posto.
La partner, un’altrettanto brava Kali Reis, già combattente di boxe e wrestling, è Evangeline Navarro, una sangue misto. Per metà latino da parte di padre, un poco di buono, e per metà inuit da parte di madre, morta suicida, con una sorella fragile e instabile, Navarro non è mai a suo agio nella sua terra e nella sua storia, oppressa da una doppia (tripla in quanto donna) condizione di minoranza.
Il mistero su cui le due indagano è la morte drammatica dell’intero staff di una stazione scientifica situata a poca distanza dal paese: otto scienziati vengono trovati nudi e congelati fuori dalla stazione, i volti contorti in un’espressione di orrore senza fine. Non si capisce se la morte sia stata naturale (ma cosa ha indotto gli scienziati ad uscire nudi nella notte polare per morirne congelati?) o provocata (ma da cosa, o da chi , e perché?).
Contro il parere dei superiori Danvers è convinta che si sia trattato di un omicidio plurimo compiuto da mano umana, e si oppone all’archiviazione del caso come disgrazia. Presto le due detective arrivano a stabilire una connessione tra questo caso e l’omicidio di un’attivista locale avvenuto qualche anno prima. E le indagini si dipanano nell’interminabile notte polare fino alla conclusione che lascerà spazio a diverse sfumature interpretative.
Questa ultima stagione ha un elemento in più che l’accomuna alla prima, e che le permette di avvincere maggiormente rispetto alle altre l’attenzione dello spettatore: oltre ai personaggi e al ‘plot’ qui è forte la presenza di un elemento ‘horror’, quello di una natura formidabile e potenzialmente mortale che se sfidata, o anche solo avvicinata, può colpire in maniera tremenda.
Se nella prima stagione ci si muoveva tra le paludi della Louisiana e il deserto della California, e l’elemento horror aveva la viscidità poltigliosa di un Lovecraft, nella notte polare di ‘The night country‘ la ferocia della natura ha la potenza tremenda e sterminatrice che si ritrova in Edgar Allan Poe, e la si legge nelle facce stravolte e contorte dal terrore delle sue vittime.
Tuttavia l’elemento horror non è dominante nella narrazione. Ve ne è giusto dosata quella quantità sufficiente a rendere più avvincente il mistero, che rimane comunque quello di una vicenda investigativa. Tutto contribuisce a tenere lo spettatore in una condizione di ‘disturbo’: il buio permanente, i personaggi duri e spinosi come la natura gelida in cui si muovono, i rapporti tesi, le inesplicabili tracce di interventi che sono interpretabili solo come soprannaturali. Un contributo importante lo danno anche le musiche stranianti di Billie Eilish. Ma si resta legati alla vicenda fino alla fine, e poiché molte domande restano aperte a risposte multiple, si continua a pensarci anche dopo. Difficile chiedere di più.
Anche perché nonostante il finale non abbia proprio nulla dello ‘happy ending’, vi fanno tuttavia capolino piccoli elementi di complicità e di solidarietà, qualche possibilità di consolazione, sfumate tracce di redenzione che alleviano la durezza della condizione umana. Non a caso è una storia di donne.
True Detective 4 – The Night Country – Sky Atlantic