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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

La ‘Produtteria’ di Rezzoaglio, quando la gastronomia si fa mettendosi in rete

Manuela Casaleggi: “Dobbiamo essere noi avetani i primi promotori di noi stessi, anche abbandonando quelle che sono a volte tradizioni un po’ troppo vincolanti”
La 'Produtteria' di Rezzoaglio, un posto molto noto anche fuori dalla Val d'Aveto
La 'Produtteria' di Rezzoaglio, un posto molto noto anche fuori dalla Val d'Aveto
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di DANILO SANGUINETI

I toscani sono maestri nel creare parole che trasmigrano a grande velocità dal parlato di tutti i giorni ai dizionari della lingua italiana. Per esempio i nomi di particolari categorie di esercizi commerciali: si è iniziato con panineria e passando attraverso yogurteria si è approdati a salsamenteria.

Capita che anche in Val d’Aveto ci sia chi è capace di elaborare lessicale. Proprio al centro di Rezzoaglio, è situato il negozio che è l’espressione della azienda agricola della famiglia Casaleggi. Ad un distratto passante potrebbe apparire uno spaccio alimentare. Per fortuna ci sono i bambini: la nipotina della signora Manuela, una delle menti dietro all’impresa, un giorno discuteva con lei su “che cosa fosse” il negozio. Manuela provò a definirla per negazione: “Siamo una non macelleria…”. La ragazzina perplessa rispose “Zia, è meglio un’altra definizione, diciamo che è una produtteria!”.

Al di là dello scherzo c’è un negozio che tutti e non solo a Rezzoaglio e non solo nella Val d’Aveto, conoscono e in moltissimi apprezzano. Siamo oltre la semplice esposizione di prodotti dell’azienda da consumare e bon, siamo di fronte a una idea di commercio parecchio interessante. Per comprenderlo le parole non bastano, si perdono colori e odori di una vetrina che fa venire l’acquolina in bocca senza neppure dover ricorrere ai sapori.

Quindi recatevi senza indugio nello spaccio aziendale aka ‘Produtteria’: si trova a Rezzoaglio in via Roma 43. Il negozio è aperto al pubblico tutti i giorni dalle 8 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 18,30. Per i più puntigliosi c’è possibilità di visitare la azienda agricola vera e propria situata in località Casaleggio. La frazione spiega il cognome e viceversa, eppure se vi sorge il sospetto di trattare con ‘indigeni’ abbarbicati al loro luogo di nascita cancellatelo velocemente. Due chiacchiere con Manuela vi faranno capire che state parlando con una 45enne che ha viaggiato, studiato e imparato molte cose, con una preparazione che viene da altri ambienti e da esperienze lavorative assai differenti.

“Io per diverso tempo mi sono occupata di altro. Diciamo che dopo numerose esperienze nel marketing e la comunicazione, ho deciso di tornare alle origini e dedicare anima e cuore al restauro dell’attività familiare. La fattoria natia andava rimessa a nuovo e bisognava prendere altre strade”.

Il capitano del team ha coinvolto i parenti. “Mia sorella Stefania ha voluto seguire l’azienda imparando anno dopo anno il valore dell’allevamento allo stato brado e delle coltivazioni su terreni messi a riposo. Mio marito Giorgio pur non conoscendo il settore agricolo ama la Val d’Aveto, ed ha deciso di concentrare le proprie energie nella valorizzazione dei prodotti locali. Osvaldo, il marito di Stefania, mette in campo la passione per l’arte norcina appresa da piccolo dal padre. È il trait d’union tra tradizione e progresso. Infine c’è nostro cugino Emanuele: ha studiato Viticoltura ed Enologia all’Università degli studi di Milano. Ha conseguito il diploma all’Accademia della Macelleria Italiana”.

Una suddivisione delle competenze che permette di coprire tutte le esigenze dell’azienda. Il cambio di passo quasi sei anni fa: “Siamo partiti pensando solo a portare a conoscenza di più gente possibile i prodotti dell’azienda agricola ma rapidamente abbiamo capito che non poteva bastare. Come in tanti rami del marketing si fanno buoni propositi, si sfornano idee, poi l’impatto con la realtà ti obbliga a cambiare. Puntavamo sulla produzione dei salumi, in azienda avevamo i maiali allo stato semibrado, un nostro fiore all’occhiello. Poi con l’avvento della peste suina, è saltato ogni programma. Abbiamo dovuto correggere il tiro e lo abbiamo fatto potenziando l’offerta”.

Manuela che sa di business strategy ha ricordato una massima d’oro del settore: “When in trouble, go big”. Se sei alle corde, rilancia in grande. “Abbiamo pensato a una missione: valorizzare l’identità della Val d’Aveto attraverso i nostri prodotti fatti a mano o coltivati secondo le regole della natura”.

La qualità doveva essere il punto di forza, mantenere il naturale equilibrio la regola. “Oltre ai suini abbiamo i bovini allo stato semi-brado, alimentati con ciò che la natura offre e con farine di mais e castagne. Per riuscire a soddisfare il fabbisogno abbiamo iniziato delle collaborazioni con alcune aziende della Val d’Aveto: Alberto a Santo Stefano con i suini, Franco a Cabanne con i vitelloni e da poco le Cabannine di Corrado a Villanoce. Inoltre la società con un allevamento dei colli piacentini ci permette di avere gli animali anche nel periodo più difficile dal punto di vista climatico. Trasformiamo le loro carni, tutto è fatto rigorosamente a mano. La rimanente parte dell’azienda è coltivata a grano e patate, i terreni vengono lasciati a riposo per più anni in modo tale da garantire un rispetto della biodiversità”.

Le aziende che fanno rete, collaborazione tra i produttori: azioni che da queste parti, dove il senso della collettività non sempre brilla, appaiono compiute da marziani o quasi. “A me pare tutto semplice e allo stesso tempo scontato: cancelliamo i confini, trasformiamo non solo le carni ma anche le abitudini. Coinvolgiamo una azienda di Gavadi che ci fornisce il formaggio e il burro, un’azienda di Temossi ci fornisce tutta la linea della capra”.

Diversificare è la parola d’ordine. “Portiamo al visitatore le varie tipicità della Val d’Aveto. A chi ci viene a trovare possiamo offrire il prodotto così com’è, oppure trasformato, oppure lo puoi degustare. Ti fermi a mangiare, provi il nostro piatto forte che è la tartare. Ed ogni genere di abbinamenti con le specialità del territorio in base a quella che è la stagionalità cui ha prodotto”. 

Altro che negozio di alimentari. All’interno come sui tavoli e sedili ricavati dai tronchi di albero si organizzano degustazioni di carne e salumi abbinati ad una selezione di vini. “Studiamo in continuazione tutto ciò che può dare il miglior risultato, le migliori tecniche per dare massima espressione alle carni del territorio”. Un pensiero balza in testa ascoltandola. Che pur avendo un cognome ‘ciento per ciento’ del posto Manuela sembra una manager capitata per sbaglio da queste parti. “Non nego che le esperienze precedenti, i tanti anni al servizio di una multinazionale mi hanno obbligato ad avere una mentalità aperta. Detto questo, io credo fermamente nel mio paese, in questa valle che ha tantissime caratteristiche positive. Solamente dobbiamo essere noi avetani i primi promotori di noi stessi, anche abbandonando quelle che sono a volte tradizioni un po’ troppo vincolanti. Una volta capito che essere fedeli al passato non implica essere ‘chiusi’, il gioco è fatto. Il mio professore di viticoltura ed enologia ripeteva sempre una frase. ‘Sapete che cosa è l’innovazione? È un tradimento fedele della tradizione’. Questa frase è ancora oggi la mia linea guida. Il mondo dell’Appennino ligure ha risorse illimitate, aspetta solo di essere scoperto e utilizzato nel modo giusto”.

E per farlo servono due cose. “Essere sinceri, cioè non dobbiamo raccontare delle bufale al consumatore, dobbiamo dire le cose come sono, perché nella loro semplicità sono già straordinarie. E farsi capire”. Che cosa sa un giovane di agricoltura, di agroalimentare? “Dall’epoca del Covid a oggi tutto è stato rimesso in discussione, ciò che prima sembrava impossibile oggi è almeno fattibile. Si può avere una qualità della vita ottima anche qui, lontano dai grandi centri ma non tagliati fuori dal mondo contemporaneo. Basta che comprenda che questo non è un mondo altro o perso, non siamo in un’altra dimensione, si tratta solo di una dimensione che non conoscono. Ma per questo non è detto che non esista e che non sia utile e piacevole scoprirla”. 

Non si dice di tagliare la testa al toro ma almeno si dia un taglio metaforico al solito pianto greco fatti di ‘come era verde la mia valle’ che ha come sottofondo ritmico il vagamente manganellatorio ‘si stava meglio quando si stava peggio’.

L’urgenza di una riforma, se non di una rivoluzione non si ferma con le vane nostalgie come testimonia con bruciante evidenza l’ennesima frana abbattutasi su un territorio martoriato. La cascata di fango e roccia su Rezzoaglio disegna la portata di una situazione potenzialmente catastrofica nella quale le emergenze causate dal cambiamento climatico hanno effetti amplificati dallo stato di abbandono di campi, prati e boschi. La desertificazione sociale si rivela come piaga numero uno delle nostre valli. Per combattere servirebbero decine di iniziative come quelle che da un lustro la famiglia Casaleggi porta avanti. Loro hanno scelto di stracciare il velo di Maia, di cercare una dimensione differente. Hanno compreso che nella nostra regione, segnatamente nel suo meraviglioso entroterra, si tende a rifugiarsi nella ‘matrice’. Per fortuna hanno scelto la pillola rossa, quella che ti consente di vedere la verità.

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