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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

La moglie del presidente: storia di Bernadette Chirac, ma la vera première dame de France è lei, Catherine Deneuve

Il film non è un biopic, perché fin dall’inizio siamo avvertiti (forse per timore di reazioni da parte della famiglia Chirac) che la regista si è presa delle libertà inventive
Catherine Deneuve protagonista del film "La moglie del presidente"
Catherine Deneuve protagonista del film "La moglie del presidente"
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di DANIELE LAZZARIN *

Il film del 2023, in questi giorni nelle sale italiane, di Léa Domenach, regista che esordisce quarantenne con il suo primo lungometraggio di finzione, è frutto della sua riscoperta della figura e della vicenda politica ed esistenziale di Bernadette Chodron de Courcel, nata in una famiglia aristocratica e imprenditoriale che non accolse di buon occhio il suo matrimonio (che lei stessa poi definirà “mariage d’ambition”) con il futuro presidente Jacques Chirac, considerato vanesio e arrivista, da lei conosciuto nel prestigioso istituto universitario di “Sciences Po”, nelle cronache proprio in questi giorni per le proteste studentesche. Nicolas Domenach, giornalista politico e padre di Léa, è un esperto della presidenza Chirac, ma non ha mai parlato della moglie del presidente, che fra l’altro era spesso oggetto di caricatura e di satira nelle popolari trasmissioni televisive dei Guignols; la stessa regista racconta di aver concepito il soggetto del film, rendendosi conto che quella donna, esponente della destra conservatrice e repubblicana francese, aveva qualcosa da dire anche a lei, femminista e politicamente agli antipodi, solo dopo aver visto il documentario Bernadette Chirac. Mémoires d’une femme libre, in cui la protagonista allora ottantenne (è nata nel 1933) ricordava senza reticenze la propria personale revanche. Il film che ne è derivato, La moglie del presidente, non è un biopic, perché fin dall’inizio siamo avvertiti (forse per timore di reazioni da parte della famiglia Chirac) che la regista si è presa delle libertà inventive, ma piuttosto una commedia satirica, con la leggerezza tipica della maniera francese, dove però i fatti politici narrati sono tutti documentati e introdotti con una certa chiarezza didascalica, non priva di utilità per lo spettatore.

Un sipario rosso si apre come a voler introdurre l’inizio di uno spettacolo, e quasi subito ci rendiamo conto che Catherine Deneuve ha inglobato in sé Bernadette (che, fra l’altro, non le assomigliava per nulla) creando un nuovo personaggio, autonomamente metacinematografico perché racchiude tutte le identità assunte nella sua carriera artistica dall’attrice e la storia stessa del cinema moderno, da Vadim a Demy, da Buñuel a Truffaut, da Bolognini a Monicelli, da Polanski a Ozon… È curioso notare che Deneuve, vera vedette del cinema francese e mondiale, non ama il palcoscenico teatrale, perché al tempo stesso sa di dover attrarre lo sguardo dello spettatore, ma, per sua ammissione, prova imbarazzo e fastidio a sentirsi guardata; questo forse spiega una certa sua espressione enigmatica,  ora divertita, ora corrucciata, sempre presente sul suo volto. Eppure qui, ne La moglie del presidente, vorrebbe conquistarsi un posto sulla scena, ma regolarmente viene messa da parte dal marito (Jacques Chirac è interpretato comicamente da Michel Vuillermoz), dai suoi collaboratori e dalla figlia Claude (Sara Giraudeau); emblematica, quanto divertente, è la scena in cui cerca di conquistarsi un posto sul balcone accanto al marito, che saluta la folla e alla cui ascesa lei ha ampiamente contribuito, e ne viene allontanata con un “ma che stai facendo lì, Bernadette… attenta che cadi”. La macchina da presa impietosamente indugia sui suoi tailleur vintage, sulla sua linea non proprio perfetta, sui polpacci ingrossati e sulla sua andatura un po’ anserina; impossibile non ricordare, per contrasto, il corpo esile e perfetto della algida Séverine in Bella di giorno, non pensare a quella bellezza e a quello sguardo un po’ strano che conquistarono Buñuel, ma anche questo fa parte del discorso di Léa Domenach, che vuole rivendicare a ogni età il diritto di essere donna, regista e attrice.

Al tratto di commedia teatrale contribuisce la presenza di un coro, che commenta alcuni passaggi fondamentali del film, sottolineando i momenti della progressiva rivincita di Bernadette: vi è un filo rosso che ci riporta al musical di Jacques Demy del 1964 Les parapluies de Cherbourg, a cui Catherine Deneuve deve la sua prima grande affermazione, e anni dopo a 8 donne e un mistero e a Potiche – La bella statuina di François Ozon, dove ancora la vediamo e la sentiamo cantare. È un film, quest’ultimo, particolarmente vicino a La moglie del presidente, narrando nei modi della commedia il riscatto e l’affermazione in campo politico di una donna determinata a non essere più un semplice soprammobile. Così Bernadette, messa in un angolo e tradita, secondo le voci, con una nota attrice italiana, dapprima si toglie la soddisfazione di chiedere ironicamente ai giornalisti perché la vogliano intervistare, dato che non è famosa come Claudia Cardinale o la Lollobrigida, poi con una serie di operazioni benefiche e di immagine si libera della fama di donna fredda e antiquata, riuscendo a farsi rieleggere nel consiglio dipartimentale della Corrèze e dimostrando, grazie al contatto con la gente comune, notevole fiuto politico, fino a riconciliarsi all’insaputa del marito con il “traditore” Sarkozy in un confessionale: siamo nel 2007, anno in cui si conclude il secondo mandato presidenziale di Chirac; il coro commenta sulle note della Habanera, l’aria più famosa della Carmen di Bizet. Intervistata dai giornalisti la première dame ironicamente riafferma: “Non faccio nulla senza il consenso di mio marito”. 

È un femminismo, quello di Bernadette Chirac, fuori moda come forse era lei; e la stessa Catherine Deneuve, che ha dato per tutta la vita testimonianza del suo spirito di indipendenza, è criticabile per certe sue esternazioni considerate antifemministe. Eppure i ruoli tradizionali nel cinema spesso risultano solo apparentemente superati. Mi sembra esserne una prova il personaggio di Tashi, interpretato da un’attrice nuova e magnetica come Zendaya, nel recente Challengers di Guadagnino; per tutto il film Tashi esprime un pieno controllo di sé, del suo mondo sentimentale e sessuale e del gioco del tennis, metafora delle relazioni, a cui per un infortunio partecipa ormai solo come coach; ma il suo perfetto dominio non è reale: infatti l’unica vera campionessa per doti e per determinazione sarebbe proprio lei, che resta a guardare dalla tribuna i suoi partner, Patrick e Art, competere, insultarsi, ritrovare il gusto della gara e infine riconciliarsi e abbracciarsi, mentre lei, sempre seria e imbronciata, tra gli spettatori finalmente sorride, non si capisce perché.

(* docente di cinematografia e di linguaggio cinematografico)

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