di DANILO SANGUINETI
Il campanello fa dlin dlon, spingi la porta, senza preavviso ti trovi in un’altra epoca. L’ambiente ha odori e colori che comprendi e riconosci solo se hai inforcato il viale degli Anta. Lo Stargate, il portale spazio-temporale per mezzo del quale si salta in un mondo distante, non si sa se migliore, sicuramente diverso, è situato in via Doria 8.
Girare lo sguardo all’interno della Legatoria Artigianale Vaglio, è un viaggio nella rimembranza. C’è l’eco di tempi che pensavi perduti. Quando la carta era il principale veicolo per la diffusione del sapere. Ti imbatti in macchine e arnesi di altre epoche, torchi, taglierini, presse che funzionano solo a muscoli e sudore. Meglio visitarlo con la luce naturale che entra dall’unica, razionale, vetrina, apprezzi la fattura intonsa degli oggetti di lavoro di mastro Clelia, alla quale tocca portare nel secolo XXI la fiaccola dell’arte legatoria, ereditata per scelta e non per sangue, voluta, non subita.
È come sempre dietro il banco, che lavora all’ultimo ‘malato’ affidato alle sue minuziose cure. Quasi incastonata tra armamentario del rilegatore e i suoi assistiti, faldoni e incunaboli, libretti agili e volumi borchiati, registri mammut e taccuini scriccioli, è la protettrice dell’amanuense fatica di numerose generazioni di archivisti e scriba pubblici e privati. C’è sentore di colla di pesce e di pergamena.
Clelia lavora silenziosa, unico rumore il tap tap della mazza che salda i pezzi e il fruscio dello spago che lega cartone e papiro, cellulosa e corteccia, ognuna cosa dall’odore inconfondibile. Sono le madeleine del bibliofilo. La memoria galoppa ai tempi del ‘Visto, si stampi’, la fantasia si perde nella caleidoscopica riflessione del libro come oggetto d’arte oltre che come strumento di istruzione.
Sarebbe un errore imperdonabile però immaginare la signora Clelia Vaglio come una figurina da revival. A 64 anni vive ben piantata nel presente. Artigiana che alla radice Arte sa di dover abbinare la desinenza Commercio. Nel suo negozio all’opera di rilegatura si somma la vendita di oggetti di carta, agende, diari, album fotografici, scatole e scatoline. Unico limite la fantasia della creatrice.
“Quando aprii il negozio, 23 anni orsono, in via Bancalari, gran parte della mia attenzione era concentrata sulla legatoria. Gli oggetti erano un di più, le persone che venivano a portare o prendere libri sistemati vedevano, si incuriosivano e a volte compravano. Il rapporto è cambiato radicalmente, potrei dire si è capovolto quando, cinque anni fa, mi sono trasferita qui. In via Bancalari il locale era sotto il piano stradale, c’era solo la porta di ingresso. Affrontate due inondazioni del Rupinaro, ho deciso di cercare un’altra sede, sempre nel centro storico. Una decisione non premeditata ma che si è rivelata una manna dal cielo”.
Non disdegnare il senno di poi. “In via Doria c’è la vetrina. Significa una finestra sul mondo, la possibilità di esporre i miei manufatti vendibili al dettaglio. Il che, oltre ad aumentare il volume di affari, cosa che non disprezzo, ha catturato l’attenzione di nuovi clienti. Prima venivano solo per rilegare e dopo, eventualmente, compravano i miei ninnoli. Oggi passano, notano l’esposizione di cartoleria (nel pieno senso del termine, ndr) e poi realizzano che questa è una legatoria. E se hanno qualche libro da mettere in ordine, tornano”.
L’inversione degli addendi per una volta aumenta la somma. “Non mi posso lamentare, certo non si diventa ricchi, ma non è per questo che mi sono lanciata nell’avventura”. Il termine non è scelto a caso. Clelia Vaglio da giovane e pure grandicella aveva fatto altro, altrove. “Mi ero trasferita a Genova dopo il matrimonio. All’alba dei miei quarant’anni, dopo la separazione, ho deciso di tornare nella mia città natale. Cercavo qualcosa da fare, mi sono ricordata della legatoria Valle, in piazza San Giovanni. Un mestiere che mi aveva sempre incuriosito. Mi sono presentata in bottega, c’era De Vincenzi, l’apprendista che aveva preso il posto del vecchio maestro Valle. E gli ho proposto: ‘Fammi provare, guardi come me la cavo e se posso andare avanti da sola’”.
Il giudizio del prof. De Vincenzi, severo come pochi, fu rapido e inatteso: “Per me sei brava. Io sono stanco, qui (in piazza San Giovanni, ndr) non mi fanno più stare, ho deciso di vendere, di mettermi a fare altro. Ti cedo i macchinari, se ti interessano. Possiamo fare l’affare in un battibaleno”.
E così fu. “Trovai il locale. Aprii poche settimane dopo, trasferendo l’attrezzatura e la mobilia di Valle-De Vincenzi”. L’hardware era datatissimo, storico, dato che la manualità e le tecniche della legatoria non hanno bisogno di aggiornamenti. “Il lavoro non mancò fin dal primo giorno. Sulla piazza eravamo in pochi, e il tempo si incaricò di assottigliare ancor di più la pattuglia. Le nuove tecniche sembravano scoraggiare chi voleva imparare le antiche”.
Clelia diventa mastro Vaglio. Il coraggio di inventarsi la vita a più di quarant’anni viene premiato. Se pensate che nell’era della digitalizzazione un rilegatore professionista abbia poco da fare, sbagliate, e di grosso. “Io lavoro per scuole, comuni, Asl che hanno vecchissimi, vecchi e a volte recenti registri e faldoni dei loro archivi da restaurare. Poi ci sono le raccolte da completare. Le delibere delle amministrazioni, le determine delle votazioni, gli atti di notorietà vanno collegati, raccolti, preservati. Magari anche su supporto digitale, anche se per ora in pochi rinunciano alla tangibile, e per molti più malleabile, carta”.
Poi ci sono i privati, alcuni speciali e uno specialissimo. “I collezionisti di libri antichi spesso non badano a spese per la salute dei loro amati incunaboli. C’è la collaborazione con la Diocesi di Chiavari. In seminario c’è una biblioteca vescovile che ha centinaia di registri storici che vanno seguiti e sistemati ogni tot di anni, ci sono anche le raccolte dei giornali diocesani, da rilegare e, quando è il caso, da restaurare. Fino a pochi anni fa mi occupavo anche della rilegatura delle raccolte del ‘Secolo XIX’, ora il quotidiano salva solo su supporti elettronici. Ed ha digitalizzato l’archivio”.
Lo scanner sarà la sua nemesi? “Forse. Sui tempi lunghissimi sarà così. Per il momento sono occupata. Ripeto, i ‘matti di carta’ sono magari poco noti e meno visibili, ma ci sono e sanno che con la sottoscritta, senza falsa modestia, vanno sul sicuro. Una soluzione per i loro tesori la troviamo sempre”.
Troppo tempo è stato rubato alla cortesia della signora Clelia. Il torchio pluricentenario guarda severo. La spatola, il pennellino e l’ago sono impazienti. La carta non si lega da sola, c’è da creare l’ordine: lei si sente un po’ come il demiurgo che infonde forma al caos del sapere, usando solo cuoio e colla. “Potrei raccontare anche dei due banconi sui quali ‘opero’ il libro e vendo le mie composizioni di carta. Sono di inizio Ottocento, anche questi vengono da piazza San Giovanni, erano nella sala del Banco Lotto. Si lavora meglio nella giusta atmosfera”.
Decisamente un personaggio fuori del comune, Clelia Vaglio. Sulla porta del negozio da mesi si legge un cartello che ricorda le disposizioni sanitarie, mischiandole con l’ironia. “Entrare uno alla volta (per carità!)”.
Si sente un po’ il factotum dei rilegatori, un Figaro della pergamena. Anche se un messaggio ancora più subliminale è riservato agli osservatori più attenti. C’è appesa a un muro la foto di una magnifica architrave che reca la scritta Frangar non Flectar. Mi spezzerò ma non mi piegherò. Pensateci: il papiro, pianta ad alto fusto, fa esattamente il contrario. Si piega ma non si spezza. E se capita, c’è un rilegatore pronto a sistemarlo.