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di GIACOMO STIFFAN *
In un Paese con istituzioni solide difficilmente si assiste a un classico colpo di Stato, di quelli in cui si revocano le libertà dei cittadini in maniera traumatica. Un aspirante autocrate procede piuttosto a piccoli passi, e uno dei primi è l’identificazione di un nemico interno. Si accusa una piccola minoranza già marginalizzata di essere la causa della deriva dei valori tradizionali e, una volta al potere, la si usa come ago per iniettare nel sistema il vero veleno che ammazza le democrazie: l’esclusione dalla società di chi è sgradito al regime.
Una volta sdoganata questa possibilità con una minoranza, infatti, è un attimo farlo con le altre: i disabili, gli omosessuali, gli oppositori politici, specifiche etnie, le donne e via dicendo. Più divide la società e meno opposizione ha l’autocrate. Non significa assistere alle mostruosità del Novecento: una volta sdoganata la possibilità di escludere qualcuno dalla vita civile, il veleno è iniettato.
Il 20 gennaio 2025, il presidente Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo numero 14168, intitolato Difendere le donne dall’estremismo dell’ideologia gender e ripristinare la verità biologica nel governo federale. Questo provvedimento stabilisce che il sesso è un concetto binario e immutabile, determinato al momento del concepimento, escludendo il riconoscimento delle identità transgender. Le misure previste dall’ordine esecutivo includono l’eliminazione delle opzioni di genere non binarie nei documenti federali come passaporti e visti, il divieto per le persone transgender di utilizzare strutture monosessuali finanziate dal governo in linea con la loro identità di genere, la sospensione dei fondi federali per le cure di affermazione di genere e la revisione dell’applicazione della sentenza della Corte Suprema nel caso Bostock v. Clayton County del 2020, per escludere la protezione dell’identità di genere nel contesto delle attività federali. Il 27 febbraio il Pentagono, in ottemperanza al ban federale introdotto da Trump, ha affermato che i militari transgender verranno rimossi dalle forze armate.
Queste politiche hanno suscitato molte preoccupazioni. La negazione del riconoscimento legale e l’accesso limitato ai servizi essenziali porta inevitabilmente all’emarginazione della comunità transgender, aumentando il rischio di discriminazione e violenza, motivo per cui le reazioni a queste misure sono state numerose. Organizzazioni per i diritti civili, gruppi LGBTQ+ e parte dell’opinione pubblica hanno espresso forte opposizione. La Human Rights Campaign ha descritto l’ordine esecutivo come un tentativo di cancellare le persone transgender dalla vita pubblica. A livello internazionale le risposte sono state variegate: nei Paesi più reazionari le politiche statunitensi hanno influenzato negativamente le tutele per le persone transgender, mentre in quelli più progressisti si è assistito a un rafforzamento delle protezioni legali, nel solco della polarizzazione che Trump sta esportando in tutto il mondo.
L’attacco alla comunità transgender è stato il primo, applicato immediatamente dopo l’insediamento del Presidente, ma rappresenta solo l’inizio. In violazione all’ordine di un giudice, l’amministrazione Trump ha consegnato centinaia di immigrati venezuelani nelle mani del dittatore salvadoregno Bukele. L’accusa, di cui non è stata fornita alcuna prova da parte dell’amministrazione Trump, è che si tratterebbe di membri della gang venezuelana Tren de Aragua. Le immagini parlano da sole.
La deportazione illegale dei migranti senza documenti, definiti come nemici dell’America senza tanti giri di parole, non è altro che lo stesso concetto che si ripete: calciare continuamente un po’ più in là la linea di ciò che è accettabile. Lo dimostrano gli agghiaccianti video dei deportati ridotti in catene, trascinati in ginocchio e rasati a zero in favore di telecamere. Un trattamento disumano, il cui scopo è sdoganare questo tipo di violenza.
Siamo abituati a considerare lo squadrismo come un elemento estraneo al normale vivere democratico, qualcosa che, nel momento in cui si dovesse manifestare, individueremmo immediatamente e saremmo pronti a ripudiare. Tuttavia, ciò su cui si tende a passare sopra è che prima di arrivare a tanto c’è sempre stata un’erosione graduale dei diritti, preceduta da una violenta retorica contro il nemico interno. Quello che, per la maggior parte delle persone, tutto sommato “se l’è cercata”.
Non è un caso che – nonostante l’enorme successo e la richiesta internazionale – M. Il figlio del secolo, la serie tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati che descrive anche questo tipo di dinamiche, non riesca a trovare nessun distributore negli Stati Uniti, in quanto ritenuta “troppo controversa”. Forse qualcuno si è riconosciuto in quel sornione «make Italy great again» pronunciato da Luca Marinelli con l’accento romagnolo del Duce?
(* vicedirettore di ‘Jefferson – Lettere sull’America’)