di ANTONIO GOZZI
Cosa succede all’economia italiana?
Tutti si interrogano sulla portata e sulla durata del rallentamento in atto, sulle tendenze dell’inflazione e dei prezzi, sulla capacità del sistema industriale italiano di fronteggiare questa fase mantenendo la sua performance in termini di redditività, occupazione ed export.
Grande attenzione c’è ovviamente sull’azione di governo, che deve gestire una situazione indubbiamente non facile barcamenandosi tra l’esigenza di sostenere l’economia e quella di controllare un debito monstre (quasi 3 mila miliardi di euro pari al 142% del PIL).
Partiamo da questo ultimo punto. La gestione del debito è ovviamente determinante per tutto il resto.
Gli ultimi giorni hanno portato una sorpresa positiva. La settimana scorsa Moody’s ha confermato il rating dell’Italia in Baa3 (che è l’ultimo livello del così detto investment grade: se si va sotto questo livello i titoli del nostro debito sono considerati ad alto rischio) ed ha, addirittura, alzato l’outlook (cioè la previsione) per i mesi futuri.
Il risultato è molto importante perché, in definitiva, l’agenzia di rating dà un giudizio di gestibilità del debito pubblico italiano, gestibilità favorita anche dal calo dell’inflazione e dalla prospettiva di riduzione dei tassi di interesse.
Al riguardo, nonostante a livello internazionale la crisi mediorientale innescata dall’aggressione di Hamas a Israele ed il perdurare della crisi Ucraina provocata dall’aggressione della Russia non aiutino, si registra un rallentamento dell’inflazione provocato anche dal rallentamento globale delle economie. Tale rallentamento sembrerebbe confermare la natura transitoria e congiunturale, e non strutturale, del fenomeno e potrebbe indurre le banche centrali a politiche monetarie meno severe.
Gli investimenti sono figli dei tassi di interesse, che hanno livelli attuali che non si vedevano da molto tempo. Tassi di interesse alti gelano gli investimenti e la crescita. La loro diminuzione costituirebbe una forte spinta alla ripresa del ciclo.
Ma tornando all’Italia e al nostro rating la decisione di Moody’s è un buon risultato e premia l’opera di Giancarlo Giorgetti Ministro dell’Economia che, d’accordo con la Meloni, ha imposto una linea da lui definita di “prudenza realista” ai colleghi alleati che chiedevano più spazio di bilancio per interventi “bandiera”.
Se ci fosse stato un declassamento dell’Italia e del nostro debito da parte delle agenzie di rating questo avrebbe avuto immediate conseguenze sulla credibilità internazionale del Paese, sul nostro servizio del debito e sul suo costo.
Quindi, sospiro di sollievo!
Ora il tema è come riportare l’Italia a tassi di crescita decenti che, pur senza eguagliare il miracolo del ’21 e del ’22, quando la nostra economia crebbe più di tutte le altre europee, consentano al Paese di non tornare ad essere il vagone di coda dell’economia europea.
Occorre sfruttare tutte le occasioni disponibili per indurre crescita cercando di non aggravare ulteriormente il debito.
Ci permettiamo di segnalare alcuni snodi essenziali che potrebbero andare in questa direzione.
Il Pnrr innanzitutto. Un’enorme mole di finanziamenti europei, una parte a fondo perduto e una parte a debito con restituzione molto lunga e tassi di interesse molto bassi, che rappresenta una straordinaria misura anticiclica perfetta per fronteggiare il rallentamento della nostra economia.
Bisogna mettere a terra le varie misure e target previsti. La Corte dei Conti ha recentemente definito “alta” la difficoltà di conseguimento di 10 misure, media per 21 casi e bassa per 28.
I problemi di attuazione del piano sono diversi: dalla difficoltà delle amministrazioni pubbliche, specie quelle più piccole, a essere stazioni appaltanti efficienti, alla saturazione di capacità produttiva delle imprese di costruzioni italiane, alle resistenze corporative e politiche che permangono all’attuazione di una serie di riforme che Draghi aveva garantito all’Europa.
L’altro snodo essenziale è quello del prezzo dell’energia e in particolare dell’energia elettrica soprattutto per le industrie di base che sono le più energivore.
Dall’esistenza e dalla competitività di queste industrie (acciaio, chimica, carta, cemento, ceramica, vetro e fonderie) dipende quella di tutte le filiere a valle che costituiscono il grosso della manifattura italiana che, anche quest’anno, raggiungerà la straordinaria performance di 600 miliardi di euro di export su un fatturato complessivo di 1200 miliardi di euro.
È quindi fondamentale un prezzo dell’energia elettrica per le industrie energivore italiane allineato con quello delle concorrenti francesi e tedesche. Oggi così non è.
Attraverso misure di sostegno potenti, adottate da Francia e Germania nelle ultime settimane, si va verso una tariffa franco-tedesca di 70 euro al Mwh per gli energivori di quei paesi quando le imprese italiane ne pagano 120. Anche il governo spagnolo ha preso negli ultimi giorni misure a favore delle industrie energivore.
Se in assenza totale di una politica energetica europea vale un principio di “liberi tutti” ciò favorisce gli Stati più forti che hanno disponibilità di bilancio e penalizza l’Italia che questi spazi di bilancio non li ha. Non ci si può rassegnare al consolidarsi di asimmetrie competitive tra sistemi industriali perché ciò significa mettere in crisi il mercato unico che è stato, insieme alla moneta, la più grande conquista della costruzione europea.
L’Italia deve proporre una tariffa elettrica europea per le imprese energivore in mancanza della quale le distorsioni continueranno penalizzando gravemente la nostra industria manifatturiera.
Non sarà facile realizzare questa proposta ma è l’unica compatibile con lo spirito dell’Unione Europea.
Nel frattempo sono giacenti due provvedimenti “power release” e “gas release” che potrebbero in questo momento così difficile dare una mano agli energivori italiani. Su questi provvedimenti sembra esserci il consenso di tutte le forze di governo ma purtroppo essi sono bloccati dalle divisioni esistenti su altre misure contenute nello stesso decreto.
L’industria italiana non può attendere. Datevi una regolata.