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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il nuovo premier canadese Mark Carney si prepara ad affrontare un durissimo scontro diplomatico con Washington

Carney non ha la bacchetta magica: un durissimo editoriale del Wall Street Journal lo accusa di essere l’ispiratore occulto della politica “tassa e spendi” di Trudeau
Il nuovo premier canadese Mark Carney dovrà vedersela con i dazi imposti dagli Stati Uniti
Il nuovo premier canadese Mark Carney dovrà vedersela con i dazi imposti dagli Stati Uniti
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

Uno degli eventi che gli analisti avevano previsto di meno nel corso del 2024 è sicuramente la guerra dei dazi in corso tra Canada e Stati Uniti. Non soltanto perché i rapporti tra i due paesi sono sempre stati cordiali, ma anche l’integrazione tra i due Paesi in temi di energia, difesa e scambi economici è quasi simbiotica. 

L’ultimo aggiustamento è stato con il trattato di libero scambio del 2018 che comprende anche il Messico, l’Usmic, un aggiornamento del vecchio Nafta siglato nel 1992, in pieno trionfo del liberismo post Guerra Fredda. Poi è arrivato nuovamente Donald Trump alla Casa Bianca e ha mandato in frantumi persino le previsioni successive alla sua elezione. L’azione del tycoon contro il suo vicino settentrionale si spiega per l’avvio di un secondo mandato con tendenze apertamente imperialiste e questo spiegherebbe, almeno in parte, la sua indulgenza nei confronti dell’aggressione russa in Ucraina.

Il suo obiettivo nei confronti del Canada? Indebolirlo e favorirne l’annessione come “cinquantunesimo stato”. Molti analisti fintamente profondi sostengono che parte delle dichiarazioni di Trump siano da tarare perché userebbe volutamente l’esagerazione per fini elettoralistici e per tenere costantemente esaltata la sua base. Dopo che numerose volte in questi primi cinquanta giorni di mandato ha attuato provvedimenti annunciati in campagna elettorale e minimizzati dai soliti commentatori con tendenza alla normalizzazione, è tempo di dire le cose come stanno: anche con il Canada Trump fa sul serio. Tanto che il premier uscente Justin Trudeau lo ha ammesso: questa guerra daziaria vuole indurre una recessione in Canada che renda potenzialmente l’opinione pubblica più malleabile all’idea.

Nonostante un atteggiamento pugnale, l’ex leader del Partito Liberale, una formazione politica di centrosinistra moderato, non era la persona adatta allo scopo. Il suo fallimento riguardo al crescente carovita nelle principali metropoli, aggravato da una gaffe pesantissima fatta durante uno scambio polemico in Parlamento (“per chi è troppo povero c’è pur sempre l’eutanasia”) ha segnato la fine politica del giovane statista, che se fosse rimasto in carica avrebbe rischiato di condurre i liberali al disastro contro l’opposizione conservatrice guidata da un altro francofono ambizioso, il giovane deputato Pierre Poilievre, che ha spostato a destra il Partito Conservatore e non ha lesinato i toni populisti. Nonostante le premesse avrebbero favorito un populista anche alla guida del centrosinistra, a sorpresa a prevalere è stato un tecnocrate noto per la scarsa espressività facciale e per essere un negoziatore di ferro: Mark Carney, eletto dai militanti con l’85% dei voti. Si tratta dell’ex governatore della Bank of Canada dal 2008 al 2013 e di Bank of England dal 21. Se circa una decina d’anni fa lo stesso ex banchiere originario dell’Alberta aveva detto che la sua discesa in politica era probabile come la scelta di diventare “un clown nel circo”, oggi l’esperto economista che qualcuno ha paragonato a Mario Draghi (entrambi hanno lavorato per la banca d’affari Goldman Sachs) si prepara ad affrontare un durissimo scontro diplomatico con Washington, compito per il quale appare molto preparato, avendo alle sue spalle un paese che sostanzialmente lo sostiene nel compito. Anche lo stesso Poilievre sembra essere entrato in uno spirito di unità nazionale antitrumpiano insieme anche all’opposizione di sinistra del Nuovo Partito Democratico, uno sfoggio di compattezza difficile da trovare nelle democrazie moderne preda della polarizzazione. Eppure, Carney non ha la bacchetta magica: un durissimo editoriale del Wall Street Journal lo accusa di essere l’ispiratore occulto della politica “tassa e spendi” di Trudeau e di essere stato inefficiente nel biennio 2008-09 durante la crisi dei mutui subprime, ma anche di aver fatto crescere a dismisura i prezzi degli immobili nel Regno Unito tenendo i tassi d’interesse a zero per molti anni. 

Quello che a un osservatore italiano pare difficile da comprendere è come un ex banchiere senza esperienza politica secondo i sondaggi può essere riconfermato premier dopo le elezioni di ottobre alla guida di un governo liberale, magari aperto al sostegno della sinistra o degli autonomisti francofoni del Bloc Quebecois.

Per lui è bastato un messaggio molto semplice: “Il Canada non è in vendita” e “difenderò il nostro stile di vita”, fatto anche di servizi pubblici universali e gratuiti anche in campo sanitario, contrapposto alla giungla assicurativa del vicino americano. Pierre Trudeau, padre dell’ex premier e a sua volta capo del governo per gran parte degli anni ’70 sosteneva dire che la vicinanza con l’America per il Canada era come dormire vicino a un elefante: per quanto sia buono, può schiacciarti solo girandosi. Anche per questo i canadesi hanno scelto un negoziatore esperto che non si faccia intimorire nemmeno da un elefante imbizzarrito come l’attuale inquilino della Casa Bianca.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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