Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.
di MATTEO MUZIO *
Come promesso durante la campagna elettorale, uno dei primi decreti esecutivi firmati da Donald Trump nella sua seconda presidenza ha revocato l’acquisizione automatica della cittadinanza per i figli di migranti irregolari nati negli Stati Uniti. La decisione ha immediatamente scatenato una serie di ricorsi nei tribunali federali. Le prime azioni legali sono state avviate da associazioni come l’American Civil Liberties Union e da una donna incinta di origini brasiliane, che hanno presentato la loro istanza presso un tribunale di Boston. A queste iniziative si sono poi aggiunti ventidue stati a guida democratica, con lo Stato di Washington a capo della coalizione. I ricorrenti sostengono che il decreto presidenziale viola il Quattordicesimo Emendamento della Costituzione, che garantisce la cittadinanza a tutti coloro che nascono sul suolo americano.
Rob Bonta, procuratore generale della California, ha definito il provvedimento “incostituzionale e antiamericano”. Tuttavia, il decreto non nega esplicitamente il diritto alla cittadinanza, poiché ciò andrebbe contro l’interpretazione consolidata del Quattordicesimo Emendamento. Storicamente, questa disposizione costituzionale era stata introdotta per garantire i diritti agli ex schiavi dopo la guerra civile americana e successivamente confermata dalla sentenza della Corte Suprema del 1898 nel caso United States v. Wong Kim Ark, che estese la cittadinanza anche ai figli di stranieri regolarmente residenti negli Stati Uniti.
La questione sollevata dal nuovo decreto, tuttavia, riguarda specificamente i figli di immigrati irregolari. Questa decisione comunque apre la strada a un lungo contenzioso legale e già un giudice distrettuale dello stato di Washington ha sospeso il decreto definendolo “sfacciatamente incostituzionale”. Ironia della sorte, si tratta di John Coughenour, scelto da Ronald Reagan negli anni ’80, in un periodo in cui il partito repubblicano vedeva l’immigrazione con occhi diversi: come fenomeno arricchente del tessuto sociale americano e del quale potevano beneficiarne anche le imprese. Oggi invece le cose sono radicalmente cambiate.
Adesso la parola potrebbe passare alla Corte Suprema. I precedenti giurisprudenziali non sembrano favorire la posizione di Trump anche nel prosieguo della vicenda giudiziaria. Nel caso Hamdi v. Rumsfeld del 2004, la Corte non ha messo in discussione la cittadinanza di Yaser Esam Hamdi, nonostante fosse considerato un “nemico combattente”. Allo stesso modo, nella sentenza Plyler v. Doe del 1982, si è stabilito che negare l’accesso all’istruzione ai figli di immigrati irregolari violava la clausola di “uguale protezione” della Costituzione.
Tuttavia, alcune teorie giuridiche di matrice conservatrice potrebbero tornare in auge ed essere rispolverate dalla Cortee. Ad esempio, il Claremont Institute ha sostenuto che la cittadinanza dovrebbe essere subordinata a un giuramento di fedeltà, mentre il giurista John C. Eastman ha affermato che chi è entrato illegalmente negli Stati Uniti non può rivendicare le tutele costituzionali. Un’altra interpretazione, avanzata dal professor Lino Graglia dell’Università del Texas, equipara i figli di immigrati irregolari ai figli di ufficiali militari di un esercito invasore.
Secondo il giudice emerito Richard Posner, d’orientamento conservatore, favorevole a una lettura originalista e conservatrice, questa lacuna legislativa dovrebbe essere colmata dal Congresso, ma la composizione attuale dei due rami, con una fragile e litigiosa maggioranza repubblicana, rende improbabile un intervento legislativo. Di conseguenza, la decisione finale spetterà al massimo tribunale federale, che dovrebbe pronunciarsi entro il prossimo giugno. La composizione della Corte Suprema vede sei giudici di orientamento conservatore, i quali potrebbero dividersi tra chi sostiene un’ampia discrezionalità dell’esecutivo, come Clarence Thomas, e chi preferisce un’interpretazione strettamente testuale delle norme, come Neil Gorsuch. Se prevalesse questa seconda linea, il decreto di Trump potrebbe essere bocciato, costringendolo a tentare una difficile modifica legislativa della norma sulla cittadinanza con numeri assai esigui e la necessaria collaborazione dei democratici, improbabile con un presidente così divisivo.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)