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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il goffo tentativo di Trump di indirizzare (anche) il Conclave: ma difficilmente il Papa sarà un americano

L’intervento più visibile è stata l’improvvida pubblicazione sui profili ufficiali del governo statunitense di un’immagine fatta con l’intelligenza artificiale del presidente americano nei panni di un improbabile Pontefice
Donald Trump vestito da Papa, una immagine che ha fatto molto scalpore
Donald Trump vestito da Papa, una immagine che ha fatto molto scalpore
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

I cardinali della Chiesa cattolica sono riuniti dalla giornata di mercoledì in Conclave per eleggere il nuovo Papa ma le influenze esterne probabilmente non riusciranno a rimanere fuori del tutto. Donald Trump e i conservatori americani sono entrati a gamba tesa nelle riunioni dei cardinali. L’intervento più visibile è stata l’improvvida pubblicazione sui profili ufficiali del governo statunitense di un’immagine fatta con l’intelligenza artificiale del presidente americano nei panni di un improbabile Pontefice. Qualche giorno prima era il diretto interessato ad aver detto di avere le carte in regola per svolgere le funzioni di guida della Chiesa, prima di precisare che in realtà “c’è un cardinale americano bravissimo, Dolan”.

Il riferimento è all’arcivescovo di New York Timothy, già nominato arcivescovo di Milwaukee da Giovanni Paolo II e in seguito nominato alla guida dei fedeli della Grande Mela da Benedetto XVI nel 2009, poi elevato alla porpora cardinalizia l’anno dopo. Dolan è il rappresentante più chiaro di quella trasformazione della chiesa cattolica negli Stati Uniti ben descritta dal teologo Massimo Faggioli, docente nell’università di Vilanova, in Pennsylvania, nel suo recente libro Da Dio a Trump, dove in pratica si descrive lo stato di profonda divisione di quella che è diventata la religione più diffusa del Paese. 

Da un lato la confessione “bianca”, quella frequentata dai più abbienti, che ha al centro della sua azione la difesa dei valori non negoziabili come il divieto di abortire e l’opposizione al matrimonio egualitario e si riconosce dunque nelle posizioni tradizionali del partito repubblicano. Questa “fazione” è molto lontana, dunque, dalle istanze bergogliane di difesa dei migranti e di critica agli eccessi dell’economica capitalistica. Faggioli la descrive come una chiesa “dello status quo”. Ben diversa invece è la chiesa delle minoranze latino-americane: lì la critica sociale è molto viva, come da tradizione (si pensi alla fede profonda del sindacalista dei braccianti agricoli californiani Cesar Chavez) e alcuni vescovi, come l’arcivescovo emerito di Washington Wilton Gregory. Due posizioni distanti dove però a farla da padrone è la prima, spinta da una particolarissima categoria, quella dei convertiti adulti, di cui fa parte anche il vicepresidente J.D. Vance. Il motivo, in questo caso, è culturale: il cattolicesimo viene visto come strumento migliore per difendere una civiltà vista come in disfacimento.

A riprova di questo, c’è stata l’elezione nel 2022 dell’ordinario militare statunitense Timothy Broglio alla guida della conferenza episcopale statunitense, esponente dell’ala conservatrice. A sorpresa però, l’associazione dei vescovi è finita sotto attacco da parte dell’amministrazione per il suo lavoro per l’assistenza ai rifugiati dislocati nel territorio statunitense, accusando la chiesa cattolica di “lucrare” sui fondi forniti dal governo federale, un’accusa simile a quella che è stata fatta proprio in Italia sotto il pontificato di Francesco. Proprio per questo però, si può affermare con ragionevole certezza che difficilmente il nuovo Papa sarà statunitense, non solo per l’ostilità del presidente e dei repubblicani alle idee di Bergoglio, ma anche perché da parte progressista c’è stato poco ascolto: l’ex vicepresidente Kamala Harris si è completamente disinteressata al voto cattolico che per decenni ha fatto parte della coalizione vincente dei democratici: prima l’enciclica Rerum Novarum poi il Concilio Vaticano II hanno spinto i cattolici a votare per un welfare generoso che mitigasse le asperità della vita economica statunitense. Adesso quest’eredità è finita con Joe Biden che di fatto ha scelto di privatizzare la sua fede e di assumere posizioni laiciste su tutte le questioni care alla dottrina cattolica. Una sciatteria che di fatto lascia poche speranze riguardo all’elezione di un Pontefice che rischierebbe di essere troppo “trumpiano” oppure scarsamente rappresentativo di una società dove la secolarizzazione è avanzata molto anche nelle fila repubblicane, dove la nota immoralità privata dell’attuale presidente è accettata con una semplice alzata di spalle.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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