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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

I dazi di Trump rischiano di essere un boomerang per l’economia Usa

La prima potenza economica e militare del mondo si auto-penalizza perché chi la governa sembra non comprendere che in un’economia mondiale fortemente interconnessa non è facile isolarsi
Donald Trump è il presidente numero 47 nella storia americana
Donald Trump è il presidente numero 47 nella storia americana
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di ANTONIO GOZZI

Sono giorni molto difficili per l’economia mondiale.

L’annuncio da parte di Trump di dazi sulle importazioni in ingresso negli Usa in misura ben superiore a quanto ci si poteva aspettare e le conseguenti contromosse annunciate o già decise dagli altri partner commerciali (in particolare la Cina) hanno scatenato una tempesta che ha investito i mercati finanziari partendo dall’Asia e finendo in America, senza risparmiare l’Europa, con enormi perdite di tutte le borse negli ultimi giorni che, ad alcuni osservatori, hanno ricordato quelle del 2008.

Ciò che preoccupa la comunità economica e finanziaria internazionale è l’enorme incertezza sul futuro.

È chiaro che siamo ad una svolta epocale perché sembra non esserci più un referente di ultima istanza. Nella crisi dei sub-prime del 2008 alla fine il Governo americano e la Federal Reserve erano riusciti a domare la crisi, così come la BCE di Draghi aveva fatto nel momento della crisi del debito sovrano europeo nel 2012.

Oggi si ha la sensazione che non ci sia più un referente di ultima istanza e che sia la stessa amministrazione americana l’epicentro della crisi, perché a molti sembra che Trump reagisca in maniera irrazionale ad una situazione oggettivamente molto difficile per gli Usa: altissimo debito pubblico (980 miliardi l’anno di interessi passivi!), deindustrializzazione manifatturiera spinta e conseguente forte deficit della bilancia commerciale, confrontation sempre più importante con la Cina e con la sua crescente potenza economica e militare. Altri sostengono che non si tratti di irrazionalità ma di comportamenti negoziali spregiudicati di chi vuole iniziare una trattativa ma con la pistola sul tavolo. Il rinvio di 90 giorni dell’entrata in vigore dei dazi dopo averne annunciato la partenza accrediterebbe questa tesi. 

L’incertezza comunque regna sovrana e non si capisce se Trump e la sua amministrazione abbiano valutato gli effetti di queste politiche sull’economia americana. 

Uno studio di questi giorni del Kiel Institute che cerca di valutare gli effetti di breve periodo dei dazi di Trump su alcune aree economiche del mondo mostra risultati sorprendenti perché i più danneggiati dalle politiche protezionistiche dell’amministrazione americana sarebbero proprio gli Usa. Come si vede dalla tabella sotto ci sarebbe in un anno una diminuzione del PIL dell’1,7% rispetto a uno scenario senza dazi, un calo del PIL maggiore di quello di tutte le altre aree economiche del mondo.

Gli Stati Uniti rischiano quindi di imboccare una strada che potrebbe indebolirli proprio nel momento in cui puntano a riaffermare la loro leadership globale.

E proprio questo rischio di recessione negli Usa che spaventa i mercati e fa parlare di irrazionalità. La prima potenza economica e militare del mondo si auto-penalizza perché chi la governa sembra non comprendere che in un’economia mondiale fortemente interconnessa sia da scambi fisici che virtuali e in cui le catene globali di fornitura sono inevitabilmente cross-border non è facile isolarsi attraverso dazi e protezionismi commerciali generalizzati.

Le imprese industriali americane, almeno moltissime di esse, comprano componenti essenziali per la realizzazione dei loro prodotti fuori dagli Stati Uniti. Forti dazi su questi componenti mettono in difficoltà la manifattura Usa che Trump vorrebbe rilanciare, le fanno perdere competitività e provocano inflazione.

Apple, ad esempio, è stata spinta a rilocalizzare sue fabbriche di componenti elettronici già collocate in Cina in Paesi come India e Vietnam meno ostili agli Usa. Ma dal 9 aprile entreranno in vigore dazi molto forti anche contro questi due paesi (46% per il Vietnam e 26% per l’India). Come reagirà Apple?

Questo è l’altro interrogativo di queste ore. La business community statunitense che ha largamente appoggiato Trump alle elezioni presidenziali, continuerà a farlo?  Le dichiarazioni di molti esponenti di primo piano dell’economia e degli affari apertamente critiche nei confronti del Presidente per le sue politiche commerciali sembrano dire il contrario.

Le prossime settimane ci faranno capire dove vanno gli Usa che restano fondamentali per i destini del mondo.

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