di DON SANDRO LAGOMARSINI *
Nella primavera del 1966 e in quella dell’anno successivo, ho visto a Càssego due eccezionali fioriture di meli. Le popolazioni della montagna avevano arricchito i margini dei terrazzamenti, ma anche i boschi e perfino i pascoli delle terre comuni di un numero infinito di piante da frutto. Innestate su ceppi selvatici resistenti, numerose varietà di meli (tra cui ‘Musone’, ‘Stolla’, ‘Renette’ e ‘Rugginose’) offrivano una scelta ampia ai compratori della Riviera, che fin dal 1933 (conclusa la costruzione della strada) venivano in autunno a rifornirsi sui monti.
Ma la notte tra il 24 e il 25 agosto 1967, una grandinata ha squarciato le cortecce dei meli e di gran parte delle piante da frutto. L’area interessata dal fenomeno era limitata, ma sui due versanti della valle di Scagliana non si videro più fioriture di meli per dodici anni. Quel settembre rifiorirono e produssero frutti le fragole di bosco, mentre i cercatori incontravano, assieme ai funghi, anche gli scheletri degli uccelli uccisi dalla grandine.
Il 18 agosto 2022, alle sette del mattino, il fenomeno della grandine si è ripetuto, forse con intensità diversa rispetto al 1967, ma con quattro minuti di bombardamento impressionante. Oltre a Càssego e Scurtabò, è stata coinvolta un’area montana molto vasta. La grandine, spinta da un forte vento marino, è arrivata quasi ovunque in linea orizzontale, con danni alle auto, distruzione delle vetrate, rottura di tegole, danneggiamento consistente degli intonaci.
Lo spettacolo della vegetazione massacrata da ‘noci’ di ghiaccio è visibile per chilometri, fino alla valle del Taro. Castagni, cerri e carpini, spogliati dalle foglie, hanno acquistato in pochi giorni il colore smorto di un brutto autunno. Del tutto compromessa la produzione delle castagne. Ovunque distrutti gli orti, tenuti faticosamente in vita durante un’estate torrida.
Dopo parecchi giorni si possono fare considerazioni di qualche interesse su alcuni fenomeni seguiti alla grandinata. Tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre si è assistito ad una enorme produzione di funghi proprio nelle aree dove è caduta la maggiore quantità di grandine. Sembra plausibile pensare che il ghiaccio, scioltosi lentamente sotto le foglie e i rami caduti, abbia funzionato come una pioggia prolungata, capace di penetrare in profondità. Da parte loro, le piante da frutto con le cortecce non troppo danneggiate hanno ‘interpretato’ il freddo di alcuni giorni come un precoce inverno e – i meli in particolare – hanno rimesso i fiori.
Nel mio orto i porri, integri nella parte interrata, hanno un rigoglio di fogliame e così le bietole. Nuovi fiori sui residui cespi di fagioli e nuove foglie sui fusti nudi di basilico e melanzane. Per chi vuole raccogliere le ‘erbette’, c’è una abbondanza che supera quella della primavera: cicoria (Cichorium intybus), gugni-pursìn (Hypochoeris radicata), borragine (Borago officinalis), fischietti (Silene vulgaris), tarassaco (Taraxacum officinale).
A questo punto si potrebbe concludere che, come già accade col fuoco, la vegetazione ha ricevuto dallo shock uno stimolo a riprendere tutte le sue funzioni. Oppure, come alcuni dicono, questa sarebbe una conferma della capacità che ha la vegetazione di riparare le ferite che riceve. Ma – possiamo dirlo fin d’ora – non è del tutto così. Anche la mia coltivazione di lamponi ha vissuto la grandinata come un concentrato di inverno. Le piante nuove (del ciclo biennale) che hanno perduto la parte apicale tenera, stanno reagendo. Lo fanno mettendo fuori i rami fruttiferi, con infiorescenze ben visibili. Riusciranno a maturare i frutti, prima del freddo di novembre? Resteranno alla pianta le forze necessarie per la regolare produzione primaverile? Le previsioni più ragionevoli non sono buone.
(* Parroco di Cassego, frazione di Varese Ligure)