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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Gli uragani Helene e Milton colpiscono anche la campagna elettorale americana

Purtroppo, questo genere di eventi non è nuovo per gli Stati Uniti, come non lo sono le risposte che ci si aspetta dalla politica e dall’opinione pubblica
L'uragano Milton ha funestato la costa ovest americana nei giorni scorsi
L'uragano Milton ha funestato la costa ovest americana nei giorni scorsi
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di FRANCESCO DANIELI *

Mentre ci avviciniamo all’Election Day del 5 novembre, la campagna elettorale negli Stati Uniti continua a subire nuovi scossoni, che potrebbero influire sul suo esito. Questa volta si è trattato degli uragani Helene Milton, che tra fine settembre e inizio ottobre hanno devastato il sudest degli Stati Uniti. La risposta offerta dai Democratici e dai Repubblicani è stata molto diversa, e ha riaperto sia il tema del cambiamento climatico, che quello della strumentalizzazione delle tragedie per fini elettorali.

Il primo uragano a colpire il Paese è stato Helene, che dopo essere arrivato sulla città di Perry la notte del 26 settembre, ha causato in tre giorni una scia di distruzione di più di 500 miglia, dissipandosi infine il 29 settembre. In tutto, sono stati colpiti soprattutto Florida, Virginia, Georgia, South Carolina, Tennessee e North Carolina. Al momento, si contano almeno 250 morti e danni per più di 38 miliardi di dollari. Il secondo uragano, Milton, ha colpito gli Stati Uniti il 10 ottobre. Partito come uragano di categoria 5, con velocità e pressione tali da renderlo il quinto più intenso di sempre nell’Oceano Atlantico, Milton si è fortunatamente indebolito dirigendosi verso la costa, limitandosi a colpire la Florida, ma causando comunque almeno 27 morti e danni per 50 miliardi di dollari.

Purtroppo, questo genere di eventi non è nuovo per gli Stati Uniti, come non lo sono le risposte che ci si aspetta dalla politica e dall’opinione pubblica. Da un lato, sta avvenendo una stretta collaborazione tra le autorità statali delle aree colpite e quelle federali. Perché vi sia l’assistenza federale, rappresentata soprattutto dalla FEMA, l’Ente federale per la gestione delle emergenze, i Governatori degli stati colpiti o i capi dei governi tribali devono proclamare lo stato d’emergenza con l’approvazione del Presidente. Ciò è avvenuto negli otto stati colpiti a vario modo da Helene e, nel caso di Milton, in Florida e nella tribù Seminole, nonostante alcuni di questi stati siano governati dai Repubblicani. La stessa cosa non è però avvenuta tra Presidenza e Congresso. Al momento, il Congresso è in recesso – ha, cioè, sospeso le proprie attività – fino a dopo le elezioni del 5 novembre. Sarebbe necessaria la sua approvazione per aumentare i fondi destinati alla FEMA, ma lo Speaker della Camera Mike Johnson, Repubblicano, ritiene che farlo ora sarebbe “prematuro”, non essendo ancora chiara la conta dei danni. 

Uno dei problemi che si nasconde nelle future discussioni congressuali è la disinformazione che Trump, J.D. Vance e altri membri del Partito Repubblicano stanno facendo sugli uragani e i fondi affidati alla FEMA. L’ex Presidente e il suo candidato vice hanno reiterato più volte, tra le altre cose, che i fondi della FEMA sarebbero stati spesi da Kamala Harris per alloggiare gli immigrati, che le vittime degli uragani avrebbero ricevuto un aiuto di soli 750 dollari a persona, e che gli aiuti sarebbero stati indirizzati solo alle contee democratiche e non a quelle repubblicane. Tutte queste affermazioni sono state smentite dalle autorità delle aree colpite, ma continuano a essere ripetute e amplificate sui social media. Sulle stesse piattaforme sono iniziate a circolare anche immagini costruite con l’intelligenza artificiale, che rappresentano vittime degli uragani o Trump mentre partecipa a delle operazioni di soccorso. Infine, anche Marjorie Taylor Greene ha partecipato al dibattito, a suo modo, diffondendo diverse teorie del complotto che attribuiscono gli uragani alla capacità di qualcuno (tra cui la National Oceanic and Atmospheric Administration, l’agenzia federale che si occupa di previsioni meteorologiche) di “controllare il clima” per colpire i Repubblicani con gli uragani.

Questa politicizzazione delle calamità naturali non aiuta il dibattito e la collaborazione tra i due partiti, ma neanche il personale che si occupa di portare aiuti nelle aree colpite. In North Carolina, lo scorso fine settimana, la FEMA ha dovuto cambiare le proprie modalità di intervento, rinunciando per esempio al lavoro porta a porta, dopo diverse minacce ricevute da milizie di estrema destra, che sarebbero “a caccia” del personale federale.

I Democratici hanno risposto alla disinformazione invitando Trump e la sua campagna a smettere di diffondere bugie che mettono a repentaglio l’efficacia degli aiuti e la vita degli operatori. In particolare, la candidata e vicepresidente Kamala Harris ha ricordato la necessità di mettere di fronte a sé lo stato e i propri cittadini e non essere irresponsabili in un momento delicato come questo: tutte cose che, secondo lei, Trump non starebbe assolutamente facendo.

Come si dice spesso, in elezioni tanto polarizzate è probabile che anche un evento così grosso non riuscirà a spostare una percentuale elevata di voti. Poiché, però, gli uragani si sono scatenati in alcuni dei principali stati swing, basterebbero anche dei cambiamenti piccoli per mettere a repentaglio la vittoria di uno dei due candidati. Un esito che dipenderà anche dalla capacità dei due partiti di mobilitare e permettere lo svolgimento del voto nelle zone del Paese più devastate dal vento e dalle alluvioni. Anche per questo i risultati si vedranno a novembre.

(* Laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia, politica e sicurezza internazionale. Scrive per Jefferson – Lettere sull’America e partecipa allo Young Media Researchers Program del Media and Journalism Research Center) 

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