di ALBERTO BRUZZONE
Dall’inizio dell’emergenza legata al Coronavirus, sono stati scritti fiumi e fiumi di parole. Poi, nel mare magnum del web, capita di trovare una perla: un articolo non solo interessante, ma anche scritto in maniera perfetta, ironico e profondo, allo stesso tempo. Curioso, documentato, simpatico e incredibilmente vero.
Il portale internet in questione si chiama Esquire e rappresenta l’edizione italiana della celeberrima testata fondata negli Stati Uniti nel 1933 e che vantò tra i suoi collaboratori personaggi come Ernest Hemingway, William Faulkner, John Steinbeck, Thomas Wolfe, Truman Capote, Alberto Moravia e la fotografa Diane Arbus. Oltre al sito, Esquire Italia è anche un bimestrale, molto seguito e incentrato in particolare su moda e style, dal punto di vista maschile.
Ebbene, nei giorni scorsi, online, è comparso l’articolo intitolato ‘Come combattere l’ansia da Coronavirus, accettare la paura e imparare a conviverci’: l’ha confezionato la scrittrice, psicologa e psicoterapeuta spezzina Susanna Raule, ed è un fantastico concentrato di come comportarsi, o come ci si dovrebbe comportare, in queste settimane e in quelle che verranno.
Secondo l’autrice, “alcuni di noi reagiscono come ‘ricci’, altri come ‘daini’, l’importante è non negare le proprie emozioni”. E, utilizzando questa metafora, ecco tutto un articolato raffronto tra ‘ricci’ e ‘daini’ (qui l’articolo in integrale).
La scrittrice (la data del pezzo è l’8 marzo, quindi il giorno prima del lockdown generale) osserva che ci sono “persone che si abbracciano e si baciano con in viso una vaga aria di sfida” e poi c’è “chi ha fatto scorte il primo giorno e si è tappato in casa scomparendo dal mondo. Si potrebbe pensare a queste due tipologie come opposte, ma probabilmente non è così. Sono solo due tipologie di persone che reagiscono allo stress in modo diverso. I primi, daini che corrono incontro all’incendio; i secondi, ricci che si chiudono a palla. Da un punto di vista del contenimento dell’epidemia, i secondi non destano preoccupazioni. Ma questo è un articolo di psicologia, non di epidemiologia: anche i ricci vivono una situazione di forte, fortissimo disagio. Forse specialmente loro”.
Qualche esempio? “Se ci spostiamo solo con faccia-mani-e-corpo coperti, anche quando non è necessario, forse siamo ricci. Se vediamo passare un autobus già piuttosto pieno e non riteniamo necessario aspettare quello dopo, forse siamo daini. Se viviamo ogni minima variazione rispetto alla nostra normale routine con insofferenza, forse siamo daini. Se abbiamo comprato cinque pacchi da sei di acqua minerale quando normalmente prendiamo giusto un paio di bottiglie, forse siamo ricci. Se ci sentiamo stupidi o ridicoli a mettere in pratica i comportamenti di prevenzione che tutti conosciamo, forse siamo daini”.
Susanna Raule (a destra nella foto) racconta il suo punto di vista a ‘Piazza Levante’: “Anzitutto – afferma – è bene precisare che l’articolo risale all’8 marzo. Poi, c’è stata una stretta generale sui comportamenti da tenere che, bene o male, abbiamo dovuto accettare un po’ tutti, compresi ovviamente i ‘daini’. Ma la riflessione di fondo direi che rimane identica. Il ‘daino’ è colui che tende a sottovalutare il rischio, il ‘riccio’ è quello che lo considera e, forse, lo amplifica pure. Ma sono entrambi comportamenti assolutamente normali, senza niente di patologico. Ho pensato di raccontare i due opposti, facendo paragoni con il mondo animale, anche perché, nel profondo, siamo tutti animali, di per sé non è una brutta cosa”.
Ma esiste una via di mezzo? “Beh, la via di mezzo dovrebbe appunto essere l’essere umano, cioè il punto di mediazione tra i due estremi. È colui, o colei, che adotta comportamenti sociali attenti, rispetta le misure di sicurezza, esce in casa quando serve, ma non si chiude a tripla mandata nel terrore. È giusto essere preoccupati, ma è anche giusto continuare a vivere”.
E continuare a lavorare, nei limiti del possibile. Cosa che ha fatto anche Susanna: “Come tanti psicologi e psicoterapeuti, nei limiti del possibile e della loro disponibilità, abbiamo ‘spostato’ i pazienti in videoconferenza, anche perché certe sedute richiedono la giusta continuità. È chiaro che lo si può fare se si dispone di spazi ‘privati’ all’interno della propria abitazione, sia per il terapeuta che per il paziente, ovviamente”.
C’è poi, ed è un punto nodale, tutta la gestione del ‘dopo’: perché si parla moltissimo, e pienamente a ragione, degli strascichi economici che ci saranno appena cessata l’emergenza sanitaria (e che già si sentono ampiamente anche ora), ma si parla troppo poco degli strascichi dal punto di vista psicologico: “È vero, sono d’accordo – osserva Susanna Raule – E, secondo me, ci sono tre ambiti da tenere sotto controllo: il primo grosso problema sono i servizi di salute mentale, ovvero le persone che stanno già male e hanno avuto più difficoltà, molte più difficoltà, nell’accedere ai servizi sanitari. Mi riferisco sia agli sportelli che ai reparti ospedalieri. Poi, ci sarà da affrontare il problema della salute mentale di chi, in questo momento, è impegnato in primissima linea, vale a dire medici, infermieri e operatori sanitari di ogni tipo. I traumi secondari sono molteplici, le situazioni di stress sono pesantissime da sostenere, spesso non c’è lo spazio mentale neppure per un sostegno psicologico, dopo i turni massacranti che stanno facendo queste persone. Ci sono sportelli di ascolto, numeri telefonici, sostegni psicologici a distanza, ma molti operatori sanitari coinvolti in prima persona a volte non hanno neppure le energie per telefonare. Infine, il terzo aspetto: la popolazione in generale. Esistono alcuni studi su come sono uscite le persone da altri periodi di quarantena, ad esempio in Cina dopo la Sars-Cov-1: anche mesi dopo si è continuato a evitare le persone, anche a emergenza e contagio finiti e questi comportamenti anomali sono durati moltissimo. Non tutti avranno le stesse reazioni, rispetto alla socialità, allo stare in mezzo agli altri. Mi riferisco a disturbi di ansia, ma anche a situazioni che possono essere più gravi”.
C’è poi un altro fronte, quello delle violenze domestiche: “Penso alle donne che rimangono tutto il giorno chiuse in casa con il loro offender, e non hanno la minima possibilità di farsi sentire, di denunciare, neppure attraverso un sms. Saranno tanti, è indubbio, i problemi relativi alla quarantena”.
A proposito di quarantena, com’è quella di una scrittrice? “Per me non è cambiato molto – dice Susanna Raule – in quanto ero già abituata a lavorare da casa, anche prima. Sono andata e sto andando avanti con la mia attività professionale, scrivo articoli per le riviste, tra cui Esquire e Wired, e porto avanti pure le mie produzioni letterarie”.
Susanna lavora per il gruppo editoriale Mauri Spagnol, in particolare per Salani e Fanucci. Il suo personaggio più noto è il commissario Sensi, le cui indagini sono narrate in diversi romanzi (tra questi, ci sono ‘L’ombra del commissario Sensi’, ‘Satanisti perbene, un nuovo caso per il commissario Sensi’ e ‘L’architettura segreta del mondo, una nuova inchiesta del commissario Sensi’). L’ultimo libro, invece, s’intitola ‘Il Club dei Cantanti Morti’ e racconta la storia di Jimmy Razor, che è appena morto nella sua lussuosa villa di Los Angeles, strafatto e solo. Era giovane, era dannato, era forse l’ultima rockstar a vivere all’altezza del mito. Nessuno sa come sia potuto accadere e questo è un problema. In primis, al Club dei cantanti morti, si deve decidere se accoglierlo o meno tra i suoi iscritti.
“Ora, sto andando avanti a scrivere, ma il problema, che hanno tutti gli scrittori, è che gli editori si sono bloccati, a livello di uscite, e dovranno rivedere l’intero calendario annuale. Molte nuove proposte non vengono neppure accettate, stanno facendo fatica pure gli agenti letterari. Io, personalmente, sto leggendo molto, sto scrivendo, ma non penso che scriverei mai un libro a tema Coronavirus. Quando questa storia sarà finita, nessuno ne vorrà più sentir parlare. Dopo la Spagnola, ad esempio, pochissimi libri hanno affrontato quell’argomento, a livello di narrativa. E, in fondo, la rimozione collettiva mi sembra, anche quella, piuttosto normale”.