di DANILO SANGUINETI
Le radici sono profonde – da quelle materiali che affondano nel terreno a quelle spirituali abbarbicate nelle svolte della storia – perché l’olivo è uno dei topoi che caratterizzano la nostra terra, la chiomata guardia di ogni borgo di Liguria, dal mare sino alla collina, il corollario a ogni teorema culinario. Una pianta che esercita un ancestrale e irresistibile richiamo su chiunque vanti quattro quarti di genovesità.
Una cooperativa agricola che si propone di difendere questa coltura incastonata da secoli nel patrimonio della conoscenza ligure fa opera così meritoria che verrebbe da applaudirla a prescindere: la società mutualistica garantisce la sinergia di conoscenze preziose, compatta gli sforzi, rafforza le istanze e protegge l’opera del singolo produttore.
Preservare un’eccellenza locale significa non limitarsi a un’operazione di mera propaganda, la Olivicoltori Sestresi riesce a farsi volano di un’economia che più green di così non si può. Sostenibile, socialmente utile, pedagogica.
Tutto molto bello, ma sarebbe anche abbastanza vano se non ci fossero i numeri, e del bilancio e delle tessere sociali, a garantire autosufficienza e programmazione a largo respiro. Il primo a essere convinto che le finalità culturali vadano di pari passo con lo sviluppo è il presidente dell’associazione, Nicola Gandolfo. “Quando nel 1978 ventitré agricoltori decisero di unire le loro forze, c’erano fondati motivi di preoccupazione, qualche difficoltà economica e diverse incongruenze nella lavorazione e nella filiera di produzione e vendita del prodotto: problemi seri affrontati in maniera altrettanto determinata. La cooperativa seppe far fronte a queste e altre grane che si sarebbero manifestate negli anni successivi. Quarantadue anni fa la scintilla fu la partecipazione a un corso professionale sull’olivicoltura organizzato dal comune di Sestri Levante che coinvolse gran parte dei ‘fondatori’”.
La Cooperativa non tardò a mostrare la sua efficacia: “I propositi erano pochi e chiari: da un lato diminuire i costi di produzione delle aziende associate, dall’altro calmierare i prezzi di vendita agli agricoltori dei prodotti e delle attrezzature necessarie al settore. Inoltre, la Cooperativa si impegnò nel migliorare le produzioni mediante tecniche avanzate di coltivazione e rafforzare il potere contrattuale dei soci sul mercato. Da subito si videro gli effetti positivi”.
L’amministrazione comunale di Sestri fece la sua parte. “Ci misero a disposizione una sede sociale provvisoria per dare il tempo di organizzarci: l’edificio delle scuole elementari di San Bernardo, la frazione di Sestri Levante da cui provengono la maggior parte dei soci fondatori”.
Una volta messa in moto la macchina, anzi il pullmino, ad autisti multipli, si fila veloci. Assunto un giovane perito agrario, un ‘maestro’ di teoria, fresco di scuola, che inizia a svolgere un ruolo importante di consulenza tecnica agli associati fornendo anche i mezzi tecnici per il miglioramento delle coltivazioni.
“L’entusiasmo era una benzina potente – ricorda con un pizzico di nostalgia il presidente Gandolfo – La cura degli oliveti al primo posto, ma non solo. Una squadra di soci si impegnò in opere di bonifica ambientale e recupero del territorio quali la pulizia di sentieri di collegamento tra le frazioni di Sestri Levante e di quelli panoramici e costieri, persino la pulizia di alcune strade comunali, la potatura dei giardini e viali, sia del comune di Sestri Levante che di altri comuni vicini. In breve la dimostrazione che il mestiere di contadino aveva ancora una, anzi molte ragioni di essere”.
Un biennio ruggente concluso nel 1980 da un taglio di nastro che mette un punto fermo, certifica la solidità e la serietà del progetto cooperativa. “Avevamo bisogno di un posto che fosse solo nostro, che desse un senso di solidità e continuità al nostro lavoro. Ed allora costruimmo nella frazione di Villa Ragone, vi installammo un frantoio oleario grazie ai finanziamenti a credito agevolato per il miglioramento fondiario”.
Dal sostegno ai produttori alla produzione in proprio. Si può pensare in grande. La famiglia si allarga, esce dai confini comunali: “La sede e il frantoio portano il numero dei soci a 770, distribuiti nei comuni di Sestri Levante, Casarza Ligure, Castiglione Chiavarese, Moneglia, Ne, Cogorno, Lavagna, Chiavari e Carasco. La produzione del frantoio aumentò in progressione, nonostante le annate di scarica conseguenti alla gelata del 1985 con punte di molitura di oltre 8000 quintali nelle annate migliori”.
Indicatori entusiasmanti, prove che l’esperimento aveva ottenuto un incontrovertibile successo. “La tecnica di estrazione era ed è rimasta all’avanguardia per la qualità dell’olio ottenuto. Nel decennio successivo, dal 1990 al 2000, ci dotammo di una struttura organizzativa interna, sei soci lavoratori a tempo pieno nella sede oltre a lavoratori stagionali, per passare alla fase finale: la commercializzazione di olive e olio extravergine di oliva. Su un’area precedentemente acquisita con l’autofinanziamento e con contributi regionali, la Cooperativa realizzò uno stabile di 250 metri quadrati con annesso piazzale, adibito allo stoccaggio e al confezionamento dei prodotti da commercializzare”.
Da coltivatore a venditore, il socio della Olivicoltori sestresi come e meglio di un kibbutznik israeliano, l’eguaglianza assoluta, un’utopia che ripaga senza le deviazioni di altre e tristi applicazioni del socialismo. Il continuo reinvestire nel bene comune porta a miglioramenti che i singoli privati avrebbero potuto solo sognare. È motivo di orgoglio per il presidente come per l’ultimo degli affiliati poter sostenere che “oltre il guadagno c’è di più…”.
“Nel 2010 la Cooperativa, con il contributo della Provincia di Genova, ha recuperato due antichi torchi con vite in legno e base di pietra e una macina sempre di pietra, perfettamente integra, che ci hanno dato la possibilità e la soddisfazione di poter ricostruire, in un edificio attiguo alla sede, un antico frantoio degli inizi dell’800”. Una operazione di archeologia agricola a fini prettamente culturali: “Volevamo conservare la memoria delle tecniche adottate dai nostri avi, guardare al passato per migliorare l’oggi e il domani. Oggi nel nostro complesso a Villa Ragone abbiamo, oltre al ‘Museo delle Eccellenze’, la ‘Bottega dei Sapori’ dove sono esposti e vengono venduti, insieme al nostro rinomato olio d’oliva extravergine, svariati prodotti tipici locali”.
La spinta all’aggregazione si trasforma da possibilità a dovere, nessuno con le mani rese callose dalla bacchiatura si sogna di rimanere fuori dal circolo virtuoso: oggi la cooperativa vanta quasi 1700 soci, con circa 600 ettari di soli oliveti, distribuiti tra le terrazze della Riviera di Levante, in particolare tra Sestri e le Cinque Terre, con ‘colonie’ anche nel Genovesato e nello Spezzino.
“Tanto è stato fatto, eppure resta tantissimo da fare. Oltre a mantenere una qualità indiscussa per i nostri prodotti, c’è da difendere gli oliveti dall’attacco di molti nemici insidiosi. Se per fortuna qui da noi la famigerata Xilella non è comparsa (ma va detto che teniamo molto alta la guardia), abbiamo altre emergenze da fronteggiare, per esempio la cimice asiatica è un problema che si è abbattuto sulle nostre coltivazioni in questo biennio ed è una guerra che va vinta in fretta perché le ricadute potrebbero essere disastrose”.
Da uomini del fare, gli olivicoltori della Cooperativa si sono trasformati in maestri e professori. Nei giorni scorsi hanno tenuto un corso sulla potatura dell’olivo e degli alberi da frutta, poi hanno partecipato a un seminario sulla lotta alla cimice asiatica organizzata dalla Coldiretti di Genova, infine hanno indetto assieme ad altri enti interessati (Lavagnina, Rurale Isola di Borgonovo, agricoltori Levanto) gli Stati Generali dell’olivicoltura nel Levante ligure. C’erano le aziende agricole del territorio (Orseggi, la Cascinella, Vivai Gaggero, Ca’ Bianca), il direttore regionale della Confederazione Italiana Agricoltori e Riccardo Gucci, professore dell’Università di Pisa nonché Presidente dell’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio.
La domanda era “Quale strategia per il futuro?” “Perché – riflette Gandolfo – parassiti e insetti sono battibili, il disincanto e la voglia di arrendersi sono più pericolosi. Soprattutto le difficoltà incontrate dai non tanti giovani che ancora vogliano scommettere sull’agricoltura sono minacce serissime. L’abbandono del territorio è un rischio concreto”.
Tornare alla terra, e per farlo bisogna parlare alle menti ancora intonse. Quelle dei bambini. “Da un po’ di anni abbiamo lanciato con l’amministrazione sestrese, segnatamente con l’assessore Mauro Battilana, la manifestazione ‘Pane e Olio’, con la quale insegniamo ai bambini delle elementari cittadine a raccogliere e lavorare le olive che essi stessi raccolgono dalle piante di olivo presenti nei giardini cittadini. Molti di loro pensavano che l’olio fosse una cosa che nasceva dalle… bottiglie dei supermercati dove lo hanno sempre visto racchiuso!”.
Nella civiltà post-industriale l’agricoltura è cosa da marziani. C’è tanto ancora da spremere, non solo le olive. Gandolfo e i suoi hanno intuito il pericolo e vogliono combattere per un futuro colto, senza scegliere tra o aperta e o chiusa.