di DANILO SANGUINETI
Si è lanciato spesso, da giovane, con il paracadute, quando era nel Battaglione dei Carabinieri Paracadutisti presso la Brigata ‘Folgore’. In seguito per colpa della sua grande passione, il pallone, si è lanciato pure in un volo a planare con tanti atterraggi, sempre in piedi.
Giuliano Esposto, nativo di Spezia, residente da sempre nel Tigullio, è un po’ la memoria storica del calcio di questa zona, avendo accompagnato, indossando diversi abiti, un abbondante (e tormentato) segmento di storia della Virtus Entella Bacezza e Lavagnese, quindi le squadre che rappresentano Chiavari e Lavagna, le due città dove ha trascorso gran parte della sua vita e dove ha intrecciato amicizie e rapporti lavorativi.
Dopo il servizio militare nei parà, entra nella Te.Ti, la compagnia dei telefoni del Nord Italia che mediante fusioni, acquisizioni, statalizzazioni e dismissioni, confluisce nella Sip e poi nella Telecom. Funzionario nel settore vendite per quasi 40 anni, oggi pensionato nella sua casa di Lavagna con orto e famiglia solida (nel 2017 ha festeggiato le nozze d’oro), si concede un solo hobby, il calcio, che segue con attenzione maniacale sin dalla giovinezza.
Per entrarvi con un ruolo attivo sceglie la porta laterale, aperta in maniera abbastanza casuale. È un tifoso da manuale, con i pregi e non i difetti, cioè non è per carattere e scelta un ultras, sostiene i suoi colori in modo partecipe e attivo, non trascende mai. Notato, viene cooptato nella dirigenza di una Entella che in quel momento, siamo a metà degli anni Sessanta, ha bisogno (e non è una novità) di gente esperta, disponibile, pronta a imparare e a lavorare sodo. Una Entella che oscilla tra serie D e serie C e sta cercando di trovare soluzione a una delle sue ricorrenti crisi.
Esposto apre l’album dei ricordi: “Venni chiamato da Tugnin Solari, il commissario delle emergenze biancocelesti, presidente senza portafoglio di una società che non navigava nell’oro. Avevano bisogno di uno che seguisse il settore giovanile e che si desse da fare, molto, senza pretendere niente in cambio. Facevo volontariato ancor prima che la parola venisse coniata – sorride – ed ero contento”.
È uno che osserva, ascolta, impara e cresce, rapidamente. “Mi misero alla prova e videro che si potevano fidare. Stagione dopo stagione, mi affidarono incarichi di sempre maggiore responsabilità. Mi affiancarono allo storico segretario della società, Podestà. Fu un maestro prezioso”.
Stringe amicizie che negli anni si riveleranno solidissime: “Molti dirigenti, tanti giocatori degli anni Settanta e inizi Ottanta. Con alcuni di essi era quasi una simbiosi, penso a Gianni Comini, apprezzato come giocatore, stimato come tecnico e selezionatore. Il suo occhio per scoprire talenti era, è infallibile. Divento segretario generale nel 1981”.
L’Entella proprio in quelle stagioni con Barbieri, Arbasetti, Chiesa esce dal tunnel e si avvia al ritorno in grande stile nei professionisti. “Nel 1984, mentre stava nascendo il team che avrebbe vinto la serie D, il proprietario (Chiesa, ndr) decise di togliermi il mio incarico non per demeriti ma perché aveva deciso di piazzarci un uomo di sua fiducia. Ragione comprensibile, e pure rispettabile, però, a mio modo di vedere, comprometteva il rapporto di fiducia che deve sempre esserci tra proprietà e dirigenti. E dato che lo facevo gratis nel mio tempo libero non ebbi remore a presentare le dimissioni”.
Emerge un’altra caratteristica di Esposto uomo di calcio. La discrezione formale, la volontà di non dare mai scandalo né di andare sopra le righe si sposta con una ferrea determinazione nella sostanza. “Io lavoro solo con persone delle quali mi fido e che si fidano del sottoscritto. Se mi accorgo che viene meno questo rapporto di fiducia, tolgo il disturbo”.
In silenzio, senza ulteriori tensioni, varca l’Entella – il fiume – e si dedica alla città di residenza. “Nel 1986 mentre ero anche consigliere comunale di maggioranza, mi chiesero se volevo occuparmi della Lavagnese in Promozione. La società bianconera era in cattive acque, mi rimboccai le maniche, mi unii a una cordata, anzi una cooperativa di lavagnesi che volevano mettere ordine nella società: Sanguineti, Galliano, Bertocchi e altri più il sottoscritto. In un quinquennio molto movimentato, attraverso fusioni e accorpamenti (Cavese, Arenelle, Fossese) nacque il Lavagna che salvò matricola e patrimonio della vecchia Lavagnese. Fui segretario, diesse, persino presidente, ma erano cariche fittizie, nel senso che la gestione era veramente collettiva”.
Quello che omette è il dato più significativo: si deve a Giuliano Esposto e agli altri compagni di cordata se nel 2019 la Lavagnese, che da 18 anni mantiene la serie D, ha potuto a pieno titolo festeggiare il suo primo Centenario. Nel 1992 il richiamo dell’antico amore. “Torno nell’Entella post Barbieri, nella fase di ricostruzione della società, partendo dal settore giovanile di Bovone, Bonino, Lupi e dell’amico Comini. Momenti belli come la doppia promozione in serie D, nel ‘96 e ‘98, momenti tremendi come la crisi di fine secolo. Assistetti all’ingresso di un personaggio come Ricardo Omar Ciancilla. Un patron discusso e che si scontrò con un mondo che non comprendeva i suoi metodi e che non aveva mezzi termini. Alla fine si andò a schiantare, e con lui la società. Io dissi quello che pensavo al presidente, del suo ricorrere ai connazionali argentini, ai rischi ai quali andava incontro. Non mi diede retta e scelsi di andarmene”.
Ancora una volta in punta di piedi. “Il mio rapporto personale con Ciancilla era buono, e devo dire che con me fu impeccabile, una volta anticipai una somma per saldare un debito della società e lui si impegnò per restituirmela. Il fatto era che non potevo restare e condividere strategie e politiche che non approvavo”.
Con il bagaglio di esperienza accumulato, le relazioni cordiali strette con le società dell’intera regione e non solo, la stima della quale godeva all’interno della Federcalcio, a Genova come a Coverciano e Roma, la tappa successiva era scontata. “Entrai nel comitato o se preferite la delegazione zonale della Figc, quello di Chiavari che è assimilato a un comitato provinciale. Da collaboratore a segretario, carica ricoperta dal 2006 al 2010. Altra esperienza molto positiva. Sempre come membro di una squadra affiatata, abbiamo attraversato un periodo difficile in modo tutto sommato positivo. Il comitato di Chiavari ne è uscito come il più forte dei cinque ‘provinciali’. Più piccolo come estensione territoriale per numero di abitanti, ma pari se non superiore nei risultati e nei numeri, come partecipanti e come qualità dei suoi tornei”.
Intanto è andato in pensione e potrebbe dedicarsi all’amato orto e agli adorati nipotini. C’è però un ultimo giro di valzer con l’amore di gioventù… “Come potevo scordare l’Entella? Pensavo che fosse giusto così: chiudere il cerchio, finire da dove era partito. Nel 2010 la nuova Virtus Entella stava ancora una volta risalendo la china a forza di successi nei campionati dilettanti. La spinta questa volta era molto superiore a quella dei decenni e lustri precedenti, c’era un motore di nome Antonio Gozzi, si capiva che l’avrebbe spinta in galassie mai neppure sfiorate nel suo lungo cammino. Stagioni di gloria, dalla Eccellenza alla serie B, proprio nell’anno del Centenario. Viaggio in lungo e in largo per l’Italia, altre conoscenze, altre lezioni apprese e date, altre soddisfazioni. Un rapporto sempre eccellente con i vertici del calcio, i giorni e anche qualche notte passati per tesserare questo o per sistemare quello. La collaborazione con il d.s. Matteo Superbi, un altro che di calcio ne mastica parecchio”.
Ed arriva il momento di appendere la matita e la calcolatrice al chiodo. La fine del binario? “Ho pensato che fosse giunto il momento di restituire alla mia famiglia il tempo che in quasi 50 anni di calcio avevo sottratto loro. La terza generazione di Esposto, tre maschi, i figli dei miei figli, avevano bisogno del nonno, quindi mi sono messo a loro totale disposizione. E ne sono ultrafelice”.
Come in ogni ossessione per mettervi fine serviva una decisione drastica. “Quando sono uscito per l’ultima volta dall’ufficio nella sede dell’Entella mi sono detto che era anche la mia ultima volta in uno stadio. Da tre anni non guardo dal vivo una partita di calcio. Niente più Comunale, Riboli, Sivori, Macera o Broccardi. Solo giornali e internet, qualche volta la tv. Ero ‘drogato’ della pelota, quando non giocava la mia squadra, andavo a vedere cosa facevano le rivali. È stato strano ma dopo qualche mese già non ci pensavo più”.
Nessuna nostalgia? “No. Sono consapevole dei cambiamenti, sostanziali, che il calcio ha subito e non sono tra quelli che rimpiangono ‘i bei tempi andati’. E sono d’accordo che tempi nuovi richiedano competenze nuove. Mi mancano le persone, quelle belle e pure quelle brutte, le sfide e le avventure, le risate e i pianti”.
Sensazioni che inevitabilmente si attenuano. Unica consolazione: non si perderanno come lacrime nella pioggia. Un parà non piange, neppure quando va in congedo.