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Giovedì 6 novembre 2025 - Numero 399

Gianna Schelotto: “Il libero pensiero è la vera ricchezza”

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di ALBERTO BRUZZONE

Decidere, una parola tanto comune quanto complessa. Un verbo tanto immediato quanto difficile da applicare. Il bello è capirlo dalla sua etimologia: il latino de-caedere, ovvero ‘tagliare via’. Il dizionario Treccani, a proposito del significato, lo spiega in: ‘Scegliere fra cose o possibilità diverse’. Quindi: tagliare via il dubbio.

Di tutti questi aspetti, e di molti altri, si occupa l’ultimo libro di Gianna Schelotto, psicologa genovese specializzata in terapia della coppia e notissima a livello nazionale come saggista, autrice teatrale e giornalista. Per l’editore Mondadori, ha pubblicato pochi giorni fa l’ultimo lavoro di una lunghissima serie: ‘Vorrei e non vorrei – Perché è così difficile scegliere ciò che è meglio per noi’. Sposarsi, cambiare lavoro, intraprendere un percorso di studi, ma anche semplicemente cosa indossare o cosa mangiare: tutta la giornata, tutta la vita sono frutto di scelte, di decisioni prese. Poi, c’è l’altrettanto ricco capitolo delle decisioni non prese, delle scelte non fatte. Situazioni che possono essere normali, ma anche diventare patologiche.

La Schelotto, con il suo stile sempre diretto e molto chiaro, si addentra con precisione, impegno e passione dentro una materia importante, attualissima e spinosa. Lo fa attraverso dieci storie, dieci casi illuminanti che parlano di indugi, priorità, amori, tradimenti, traslochi, segreti e rimpianti. Il tutto, frutto della sua lunghissima e sempre qualificata esperienza professionale.

‘Vorrei e non vorrei’ sarà presentato a Chiavari il prossimo venerdì 26 aprile, alle ore 17,30, presso il Giardino dei Lettori della Società Economica di Chiavari.

L’incontro fa parte del ciclo di conferenze con gli autori organizzato da ‘Piazza Levante’ nell’ambito della Mostra del Tigullio. Il programma si completerà con altri ospiti tra sabato 27 e domenica 28 aprile. Tutti gli incontri sono a ingresso libero.

Nel primo capitolo, racconta di aver pensato di scrivere un libro di cucina, con le vecchie ricette di famiglia. E di averci riflettuto parecchio. ‘Scrivere un ricettario rimase per alcuni mesi un assillo’. E poi?
“Diciamo che ho vissuto per prima il mio ‘vorrei e non vorrei’, come in tante altre situazioni quotidiane. Così ho iniziato raccontando la mia personale esperienza. Il libro di ricette era solamente una copertura, una scusa che mi stavo dando. Poi però ho deciso. Niente libro di cucina. Ma su quel ‘dilemma’ mi è venuto in mente di scrivere un altro tipo di libro, con dieci storie tra tutte quelle che ho visto nel corso di anni di sedute”.

E le ricette?
“Pazienza, continueranno a tramandarsi di generazione in generazione, in forma privata o orale. Sono ricette degli anni Cinquanta del Sud Italia, della zona di Potenza. Piatti veramente di una volta, con prodotti di quella agricoltura, tutti molto legati al territorio. Oggi è diventato molto difficile anche solo provare a rifarle alla stessa maniera”.

‘Vorrei e non vorrei’: su questo libro ha deciso con il segno più.
“Ci sono decisioni con il segno più e decisioni con il segno meno. Poi, ci sono decisioni che non vengono mai prese e che restano in sospeso. È su queste che va concentrata l’attenzione. Il lavoro dello psicologo è appunto quello di aiutare il paziente a capire se dietro a queste mancate scelte non ci sia un blocco. Quindi a individuare quel blocco e a capire di quale natura sia. Ma attenzione: non può mai essere lo psicologo a decidere per il paziente. Questo percorso deve poi avvenire in maniera autonoma. Lo psicologo dà gli strumenti di conoscenza”.

Una volta si era più ‘decisionisti’?
“Direi che più o meno le situazioni sono uguali. Non sono cambiate di molto. Di sicuro, rispetto al passato sono aumentate le opzioni. Un tempo, ad esempio in politica, c’erano le grandi ideologie, i grandi partiti. Ora è tutto molto più spezzettato e incerto. Anche nel lavoro. Tutto è diventato più precario. Si è perso il gusto e il piacere della riflessione e del pensiero, all’insegna di un brutto concetto di omologazione. Devo fare come il capo e punto”.

Il dubbio, quando non è patologico, può essere una ricchezza.
“Sicuramente sì. Le persone riflessive sono preziose. Infatti il mio non è un lavoro che demonizza il dubbio, ci mancherebbe altro. Il dubbio, quando non è qualcosa di patologico, ci consente di verificare i pensieri, di analizzare gli eventuali luoghi comuni, di abbattere i pregiudizi. Il dubbio non è un’indecisione che penalizza, ma un percorso che, molto spesso, ci conduce a prendere la decisione migliore. Il dubbio è un collante delle idee, un fluidificante del pensiero. Quando però inizia a creare disagio, allora lì sì che ha bisogno della cura. Lo sciogliere il dubbio però, lo ripeto, avviene a livello personale, avendo presente ciascuno le proprie trappole mentali. Compito dello psicologo è guidare in questo percorso”.

Nel libro si affrontano diversi gradi di indecisione.
“Ho cercato di fare un’analisi il più completa possibile: ci sono il procrastinare, il rimpianto, la storia d’amore non chiusa, la riflessione, le ansie e le contraddizioni. È la cifra dei miei tanti lavori: raccontare storie particolari e offrire al lettore degli spunti”.

Continua a lavorare con lo stesso impegno di sempre. Lo si vede anche dai libri.
“Mi piace, non mi sento mai stanca. È un lavoro che ho sempre amato, anche perché la sensazione di dare giovamento alle persone è stupenda. A smettere non ci penso proprio. Non dimentichiamo che la terapia va in senso bilaterale: verso il paziente ma anche verso lo psicologo. Confrontarsi, stare con persone e ascoltare le storie è un qualcosa di eccezionale, che ti tiene sempre viva”.

L’essere umano è bellissimo. Non trova?
“L’essere umano è bello, ricco di stimoli, sempre nuovo e sorprendente. In ogni persona che incontro provo a rispecchiarmi, a riflettermi. La stessa terapia è anche verso i lettori. Per questo scrivo: per gli altri ma anche per me stessa. Perché sento il bisogno di comunicarle, quelle emozioni che provo dentro”.

Un tempo andare dallo psicologo era vissuta come una sconfitta. Un segreto da tenere e da condividere al massimo con pochissimi. Oggi questo muro è caduto?
“Andare dallo psicologo è un tabù superato. Un tempo si pensava che ci andassero solamente i matti. Invece ci vengono soprattutto le persone che ragionano, che hanno bisogno di capire di più di loro stessi, sia uomini che donne”.

Lei lavora molto con le coppie.
“Sì, non parliamo per forza di coppie già in crisi o che si vogliono lasciare. Bensì di coppie che si vogliono bene, che sono unite e che cercano un modo per stare meglio. Poi, naturalmente, ci sono pure quelle in difficoltà. Anche qui, lo psicologo non deve mai indirizzare la decisione. Non sarebbe assolutamente professionale”.

I papà di oggi sono meno decisionisti e autoritari di quelli di una volta. Verità o luogo comune?
“Io credo che sia vero e che sia anche molto bello. I papà stanno più tempo con i figli rispetto a una volta. Il rapporto è molto cambiato. Non ci sono soltanto regole e autorità, come un tempo. Si è lasciato finalmente spazio agli affetti e alle emozioni. Giudico tutto questo molto positivamente”.

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