di DANILO SANGUINETI
Chi fotografa il fotografo. Chi restituisce un’immagine realistica di colui che ha scelto di ritrarre i vari istanti della nostra vita, le immagini, i sentimenti, le sensazioni, i pensieri persino, delle persone?
Raccontare un racconto è impresa ardua. La sequenza che decostruisce la lunga avventura del Fotostudio Migone metterebbe a dura prova le capacità di un hard disk da backup. Un romanzo illustrato, antico, lungo 114 anni, quelli che iniziano con l’apertura di una bottega dedicata all’arte ancora giovane della fotografia.
La sede non si è mai ‘mossa’ (e non solo in senso tecnico…). Si sistemò in Carruggio Dritto al numero 128 (agli albori del secolo era corso Vittorio Emanuele e il civico era il 43) dove la potete trovare ancora oggi. Un minimo anche se non impercettibile spostamento. Dal primo piano, al piano terra. Ad altezza strada, o tre metri più sopra, dietro la porta d’ingresso c’è sempre stato un Migone, così come c’è sempre stato un esponente della famiglia dietro l’obiettivo che ha registrato per oltre un secolo la città.
Troppo riduttivo ridurlo a mero commercio, il rafforzativo era ed è la passione per la professione, mai derubricata a mestiere. Il gusto di offrire al cliente un servizio impeccabile: memorie e descrizioni di momenti importanti, riassunti, istanti dopo istante, di feste e cerimonie, assistenza a chi iniziava a fare da solo e poi i ‘bonus’: gli spazi ritagliati per raccontare la storia della propria città, un romanzo fatto di tanti capitoli, allegri, tristi, tragici, a volte rilevanti per poche persone, altri che hanno incontrato la storia con la Esse maiuscola.
Edoardo Migone, 60 anni ben nascosti, figlio di Giuseppe e nipote di Edoardo, il capostipite della dinastia di fotografi, rammenta molto, il resto lo integra con le storie raccolte dalla viva voce del nonno. Dove non arriva il bagaglio dell’esperienza personale, c’è il passato in forma di diapositiva o di lastra di vetro che balza sopra i banconi del negozio e trasporta l’affascinato avventore-turista in un mondo fatto di delicate nuances, dove il color seppia assicura il debito distacco razionale senza sminuire di un nulla la sorpresa sentimentale.
Edo junior ha molto più del nome in comune con l’avo. Avrebbe, come lui, potuto e dovuto fare altro, c’è una laurea in Economia e Commercio appesa in negozio a sostenerlo, invece la passione di famiglia, un richiamo della foresta oscura, come la camera dove si sviluppano tra acidi e lampade, è stato più forte.
“Nel mio caso non c’è stato bisogno di inscenare un piccolo dramma familiare come accade 120 anni fa. Mio papà Giuseppe e mio zio Massimo erano abituati a vedermi gironzolare per il negozio quando ero appena in grado di reggermi in piedi, ed anche se studiavo altro, passavo i pomeriggi a fare pratica con la macchina e con la stampa. Dopo la laurea è stata una decisione spontanea e, credo, inevitabile, troppo forte la passione”.
Ben diversa la battaglia condotta da Edoardo senior: “Suo padre, il mio bisnonno, commerciante di ortaggi, aveva altri piani in mente per lui. Nei primi anni del ventesimo secolo lo scontro diventa aperto. La famiglia gli fa capire che non darà un centesimo. Per il bisnonno il fotografo non è neppure un mestiere, non è neppure un’artista, è appena sopra la disgrazia di finire clochard. Edoardo, nato nel 1889, coraggiosamente decide di mantenersi con le sue sole forze, fa il portabagagli alla stazione ferroviaria cittadina, guadagna quanto basta per acquistare la sua prima macchina fotografica”.
Una testa caparbia, un occhio infallibile. È un paesaggista per istinto, ma sa cavarsela come ritrattista, intercalando con doti da cronista, capace di cogliere l’attimo come di fornire un disegno molto sfaccettato di qualunque personalità gli capiti di fronte. “Prende in affitto una veranda all’ultimo piano di Palazzo Ravaschieri, la copre con dei vetri per creare uno studio con luce naturale, non essendoci nel 1900 nessuna tecnologia in grado di assicurare la necessaria illuminazione continua, e le diavolerie tipo lampade al mercurio o al magnesio debbono ancora essere inventate”.
Edoardo Migone ha successo, sia artistico che commerciale. Per esempio nel 1904 si lancia in una sequenza panoramica dalla collina di Leivi dell’intera città di Chiavari, cinque scatti collegati che si possono ammirare in uno dei locali del negozio, praticamente una Google Map al nitrato, un secolo abbondante in anticipo… E la famiglia si rassegna, il padre gli assegna i locali della casa in corso Vittorio Emanuele.
“Al primo piano organizza uno studio fotografico assolutamente all’avanguardia. Il gabinetto per lo sviluppo, la camera oscura da una parte, e dall’altra un salone di posa che cattura i riflessi del sole con un marchingegno che abbina pubblicità e tecnica. Mise due enormi cartelloni sporgenti alle finestre, il lato esterno dei quali serviva da insegna della ditta, l’interno reggeva enormi specchi inclinati che ‘rimbalzavano’ i raggi solari spioventi dall’alto verso il centro della stanza. Con il tempo la tecnologia venne in aiuto, ho a casa due enormi lampade a mercurio che, riscaldate, emanano una luce violetta adattissima per i ritratti”.
Migone diventa sinonimo di fotografia, e la città che cresce, nella belle époque corre a farsi ritrarre. “Sentì la necessità di ampliare la sede, i locali al piano terra sono gli uffici commerciali, il laboratorio e le sale di posa di sopra. Il nonno fu testimone di ogni avvenimento importante, arrivava con la sua macchina e catturava i momenti da tramandare. Il suo occhio da intenditore e il suo pallino per la tecnica lo portano a captare prima degli altri gli sviluppi nella storia dell’arte. Era futurista senza saperlo, quando ha la possibilità di vedere le opere dei futuristi doc se ne innamora. Nel 1931 Filippo Tommaso Marinetti viene a Chiavari e lui è lì a fotografarlo, partecipa agli eventi organizzati per l’occasione, per esempio alla famosa cena futurista che si tenne in Marina Giulia in un albergo oggi scomparso. Essere insignito del titolo di ‘fotografo futurista’ lo rese orgoglioso”.
Ammiratore di un movimento rivoluzionario, per nulla appassionato del regime che lo foraggiava. “Mi disse che aveva immortalato le cerimonie del Ventennio compresa la visita di Mussolini a Chiavari perché era il suo dovere di cronista per immagini, ma che rimase ferocemente critico del regime, tanto che passò anche un brutto momento nelle celle dei repubblichini”.
Nel dopoguerra Edoardo sr. affianca nel negozio i figli Giuseppe e Massimo. E fa in tempo a catturare l’interesse del nipote Edoardo jr. “Intuì che ero quello giusto per prendere il testimone. Avevo solo sette anni quando morì, ma fece in tempo ad affascinarmi con i racconti. E a raccomandarmi di curare l’archivio”.
Già l’Archivio Storico dello Studio Fotografico Edoardo Migone. Un patrimonio diventato immenso in 50 anni di lavoro del capostipite raccolto quasi tutto in negativi su lastre di vetro di vari formati compresi tra il 6×9 cm e il 24×30 cm. Conservati nei locali della ditta, una parte andò perduta in un’inondazione negli anni Cinquanta. Molti altri negativi su lastra sono stati restaurati con un certosino lavoro di recupero e trasposizione su materiali più duraturi da Giuseppe ed Edoardo Jr.
“Un’opera che non finisce mai e che continuo ogni giorno. Cerco di dedicargli un po’ di ore anche se c’è il negozio da mandare avanti. Per fortuna che mia moglie mi copre nel settore commerciale, senza di lei non potrei dividermi tra lavoro e… bottega”. Edoardo jr potrebbe essere l’ultimo dei maghi della reflex con marchio Migone. Sul figlio è ingegnere aerospaziale, sta terminando il master al Politecnico di Milano. “Il mio mestiere è uno di quelli messi più a rischio dalla tecnologia. Io a 40 anni ho dovuto reinventarmi. Ero nato analogico e ho dovuto studiare e impratichirmi nell’uso del digitale. Prima era tutto un circolare di rullini, di stampe, di album e servizi particolari, adesso imbracciano un telefonino e pensano che schiacciando su uno schermo poi il resto venga da sé. Non sanno che dietro un semplice clic possa esserci una riflessione, un’idea, un sentimento che va coltivato, addomesticato, usando tecnica e sensibilità in un mix che viene con l’esperienza, Per questo nel negozio cerco di far valere una cultura fotografica maturata in decenni di applicazione, l’elevata professionalità unita all’utilizzo di apparecchiature all’avanguardia”.
Fotostudio Migone punta su una clientela più esigente e informata della media. Cura in modo particolare la stampa digitale a colori e in bianco/nero, le cerimonie, i ritratti in studio, la fotografia paesaggistica, pubblicitaria e d’interni. Il punto di forza sono i matrimoni dove, accanto al tradizionale album fotografico, propone i fotolibri che, con impaginazioni graficamente varie, permettono di realizzare un prodotto personalizzato. “In un settore che si evolve continuamente, cerchiamo di coniugare tradizione e innovazione con uno sguardo rivolto al futuro, per garantire sempre a chi si rivolge a noi competenza e qualità al giusto prezzo”. Una battaglia condotta con le armi dell’ingegno.
Edoardo jr, l’uomo dietro la macchina: per una volta tocca a lui mettere a nudo il suo spirito. Come si racconterebbe con un solo fotogramma, in questo caso una sola parola? “Clic!”.