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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Enrico Bertozzi, il cowboy che sapeva scrutare il cielo

Ci mancherà, ‘Bertoz’, perché era uno di noi, perché era un amico, perché aveva capito quanto anche un fumetto potesse essere innovativo
Enrico Bertozzi, fondatore della Scuola Chiavarese del Fumetto
Enrico Bertozzi, fondatore della Scuola Chiavarese del Fumetto
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di ALBERTO BRUZZONE

Per ‘Piazza Levante’ e WylabEnrico Bertozzi era uno di casa. E lo era in tutti i sensi. Non solo perché la Scuola Chiavarese del Fumetto aveva trovato spazio presso una delle aule di via Gagliardo, ma soprattutto perché l’artista e disegnatore era un fedelissimo delle nostre iniziative, era un affezionato del nostro settimanale, era un uomo attento e curioso, era un uomo entusiasta e laborioso.

Enrico Bertozzi (che noi chiamavamo ‘Bertoz’, ma chissà in quanti altri modi veniva chiamato questo straordinario personaggio) è stato uno dei primi articoli di ‘Piazza Levante’, quando, nel 2018, avevamo deciso di raccontare il ritorno a Chiavari della sua scuola del fumetto, dopo il periodo trascorso a Sestri Levante.

Varcavi la porta a vetri di Wylab, e ‘Bertoz’ c’era sempre: al mattino, al pomeriggio, più specialmente alla sera, quando teneva i suoi corsi, continuando ad allevare generazioni di fumettisti. Aveva scelto la scrivania più vicina alla finestra, proprio sopra via Gagliardo: così poteva osservare tutti i suoi allievi e allieve e, spesso, si girava verso l’esterno, puntava gli occhi verso la cupola della Madonna dell’Orto e chissà a cosa pensava.

Chissà dove andava la sua immaginazione, chissà quali vette toccasse il pensiero di quest’uomo che ha sempre parlato con la sua lingua, più che con la lingua degli altri. Al primo articolo su di lui, volle che parlassero di lui, ed evitò di raccontarsi in prima persona, perché era tanto talentuoso quanto schivo, era tanto fantasioso quanto ‘allergico’ a un certo tipo di cerimoniale.

Una volta, un vecchio procuratore capo, al Tribunale di Genova, disse così ai colleghi che gli chiedevano un’intervista: “I magistrati non parlano con i giornalisti. I magistrati parlano con le sentenze”.

Enrico Bertozzi era un po’ la trasposizione di quel giudice: un fumettista che non parlava con i giornalisti, ma parlava con le sue opere, con il suo fumetto interpretato per emozionare, per divertire e per svagare (i suoi albi di ‘Tex’), ma anche con il suo fumetto interpretato come impegno civile, come quando insieme ai suoi allievi raccontò in strisce la storia di Chiavari, come quando gli chiedemmo un paio di disegni per un numero speciale sul 25 Aprile e lui si mise al lavoro senza pensarci un secondo, sfoderando le sue chine e donandoci uno spaccato di Chiavari che portiamo nel cuore ancora oggi.

Già, il cuore. Enrico Bertozzi ce lo aveva enorme. E con tutto quel cuore ha continuato, giorno dopo giorno, ad allevare artiste e artisti. Sino al momento più alto, a quel premio ricevuto al Quirinale, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. ‘Bertoz’ ci ha fatto capire che il fumetto non è mai stato, né sarà mai, una forma d’arte minore. Ha nobilitato un genere, l’ha portato in alto, l’ha usato per raccontare storie di straordinaria umanità, ha lasciato il segno, l’impronta, il tocco a una tradizione di sceneggiatori e di disegnatori che in Liguria ha fulgidi esempi. La scuola ligure dei fumettisti, una parentesi di straordinaria intensità, tanto quanto quella dei cantautori.

Se ne stanno andando a poco a poco, uno ad uno: Bertozzi troppo presto se n’è andato, ad appena 69 anni, quando aveva ancora molto da dire e ancora di più da insegnare. Per un singolare processo di identificazione, ‘Bertoz’ ha fondato la Scuola Chiavarese del Fumetto e poi lui stesso è diventato quella scuola, così che ora diventa difficilissimo immaginarla senza di lui, è diventato surreale pensare alla sua scrivania lasciata vuota, a quel corridoio di Wylab dove non ti viene più incontro quell’uomo con i capelli tirati all’indietro e la giacca di velluto a coste, quell’uomo un po’ cowboy e un po’ guascone, un po’ solitario e un po’ crepuscolare, che amava gli ampi spazi e i lunghi silenzi, quando andava a ritirarsi sulla collina di Santa Giulia, sopra Lavagna, guardando il mare, scrutando l’orizzonte e pensando, anche lì, a quale futura creazione avesse potuto tirar fuori dal cilindro, per continuare a stupire.

Ci mancherà, ‘Bertoz’, perché era uno di noi, perché era un amico, perché aveva capito quanto anche un fumetto potesse essere innovativo, dentro un incubatore che fa dell’innovazione la sua ragione di esistere. In queste stanze che sanno ancora di inchiostro e di china, che sanno di carta e di avventure, continueremo a immaginarcelo, come quando guardava verso la cupola della Cattedrale, e invece ora sta lui, un gradino sopra a quella cupola, a dirci che anche da lì, anche e ancora da lì, potrà sempre continuare a guardare sulle nostre vite, aspettando di raccontarci ancora le sue storie.

Ciao, ‘Bertoz’.

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