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di FRANCESCO DANIELI *
Si avvicina il giorno del giuramento di Donald Trump per il suo secondo mandato da Presidente degli Stati Uniti. Mentre si attende la cerimonia, però, i preparativi per il suo nuovo governo non si fermano. Tra i protagonisti c’è anche il miliardario più ricco del mondo, Elon Musk. Il maggior sostenitore della campagna elettorale trumpiana è infatti alle prese con la creazione del DOGE, il Department of Government Efficiency che Donald Trump vorrebbe affidargli.
La sigla, oltre a rappresentare il primo organismo statale intitolato a un meme, quello del cane “doge”, può trarre in inganno il lettore. Non si tratta infatti di un Dipartimento vero e proprio, che nel governo statunitense corrisponde all’equivalente di un nostro ministero e che potrebbe essere creato solo dal Congresso. È invece una commissione informale, senza alcun potere effettivo se non quello di proporre dei suggerimenti al Presidente e al Congresso, visto che è quest’ultimo ad avere autorità in tema. Il suo compito sarà trovare dei modi innovativi per tagliare la spesa federale del Paese, attualmente ammontante a circa 6752 miliardi di dollari, in modo da far fronte a un debito pubblico che ha raggiunto i 36000 miliardi.
L’idea era emersa per la prima volta durante la campagna elettorale, quando Trump aveva prima proposto di impiegare Musk nel suo governo e poi di creare per lui un’agenzia che lavorasse sulla spesa pubblica. Musk aveva accettato, venendo successivamente affiancato dall’ex candidato alle primarie repubblicane Vivek Ramaswamy. Nessuno dei due riceverà uno stipendio e verranno affiancati da altri volontari scelti da Musk tra investitori della Silicon Valley, uomini fedeli a Peter Thiel (il miliardario sostenitore di JD Vance) e altri candidati che si sono proposti attraverso un annuncio su X. Per il resto, si sta tenendo il segreto e non si sa ancora né i modi in cui queste persone opereranno, né tantomeno se gli altri funzionari del governo federale saranno disposti a lasciarli accedere al loro lavoro. D’altronde, finora sulla carta il DOGE non avrà alcuna autorità legale e nemmeno un’istituzione a cui rispondere, alimentando il timore di molti che possa essere un’operazione per permettere ai seguaci di Musk e degli altri sostenitori di Trump di entrare a proprio piacimento nelle strutture federali.
Al momento, quel che è certo è che Musk ha già dovuto ritirare le sue prime promesse. Se infatti l’idea iniziale era che il DOGE sarebbe in grado di tagliare 2000 miliardi di dollari (quasi un terzo delle spese federali), i giorni scorsi Musk ha dovuto tornare su queste parole. Il 9 gennaio scorso, infatti, durante un’intervista su X con Mark Penn, ex consigliere politico di Bill Clinton, Musk ha affermato che 2000 miliardi sono una cifra molto ottimistica e probabilmente troppo ambiziosa per il DOGE. Già un taglio della metà, per circa 1000 miliardi, sarebbe un risultato del quale si riterrebbe soddisfatto. La cifra sarebbe comunque enorme e costringerebbe il governo americano a tagliare ampiamente i programmi legati alla sanità, l’istruzione, i trasporti e l’ambiente, tra gli altri, con conseguenze disastrose per il Paese.
Ciò nonostante, alcuni membri del Partito Democratico si sono già mossi per offrire il proprio supporto all’iniziativa, sperando di poterla sfruttare per spingere al taglio della spesa per la difesa. Anche Bernie Sanders, Senatore indipendente del Vermont, ma vicino ai Democratici, si è fatto avanti per collaborare, ricevendo però aspre critiche da molti elettori progressisti, che hanno visto la mossa come un tradimento.
In attesa di avere novità più concrete sulla questione, analisti ed esperti si domandano il perché di questa iniziativa. È effettivamente un tentativo di tagliare la spesa, imitando quel che ha fatto il Presidente dell’Argentina Javier Milei, o uno specchietto per le allodole per distrarre il pubblico da altre decisioni?
(* Laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia, politica e sicurezza internazionale. Scrive per Jefferson – Lettere sull’America e partecipa allo Young Media Researchers Program del Media and Journalism Research Center)