di ALBERTO BRUZZONE
Parlare con le nuove generazioni, trovare strade comuni e linguaggi condivisi. Aprirsi alla comunicazione ‘moderna’. Sono le sfide della società a tutte le latitudini e grande protagonista non può non essere chi della comunicazione, da sempre, fa la propria bandiera: la Chiesa cattolica.
Da Giovanni Paolo II in poi, molti aspetti sono cambiati: è arrivato Internet, sono arrivati i social, poi gli stessi social si sono sviluppati e oggi alcuni sono già demodé tra i giovanissimi.
I Pontefici che si sono susseguiti non hanno potuto fare a meno di adattare il loro messaggio, ampliarlo alle nuove piattaforme, sfruttare la comunicazione 2.0. Ha iniziato Papa Benedetto XVI, aprendo i primissimi profili social di un capo della Chiesa, ha proseguito Papa Francesco e ora su questa stessa strada c’è Papa Leone XIV, che i suoi social li aveva già in veste di cardinale, ben consapevole di come anche tutto questo sia prezioso per parlare a vastissime parti dei fedeli.
Ecco allora come comunicare la Fede non è solo il messaggio dall’altare, non sono solamente le omelie, i libri, le encicliche e tutti gli altri scritti; non è solamente l’Angelus della domenica, non è solamente l’udienza generale del mercoledì, non sono tutte le occasioni pubbliche. Comunicare la Fede è anche il saper postare contenuti, saper dove indirizzarli e a quali fasce di pubblico.
Non è un caso come anche la Sala Stampa Vaticana sia stata rivoluzionata negli ultimi anni. È entrata a far parte del Dicastero della Comunicazione, e tutto il servizio media del Vaticano è stato unificato: così ora, insieme al tradizionale ‘Osservatore Romano’, ci sono il sito Vatican News, il servizio televisivo, la Radio Vaticana e tutto il fronte del social network, che impiega moltissime persone.
Perché per comunicare la Fede non bisogna tralasciare nulla. Lo sanno bene gli alti prelati, lo sa benissimo anche la base del clero, i sacerdoti diocesani: quanti ne vediamo impegnati su YouTube, su Facebook e X, alcuni anche su TikTok, come il parroco genovese don Roberto Fisher che di questa piattaforma è diventato un grande protagonista. Non è vero che la Chiesa non è capace di modernizzarsi ed è proprio dal mondo della comunicazione che questa capacità di seguire i tempi emerge.
Di tutto questo si parlerà nel primo appuntamento del nuovo ciclo di incontri ‘Zueni tutto l’anno’, che nasce a seguito del successo del Festival ‘Zueni’, organizzato dalla Società Economica di Chiavari: appuntamento con ‘Comunicare la Fede’ sabato, alle ore 18,30, presso il Giardino dei Lettori.
“Questa iniziativa – osserva Sabina Croce, assessore della Società Economica – non rappresenta una semplice costola del festival, ma vuole essere una vera e propria inversione di marcia. L’obiettivo è promuovere una nuova attenzione della Società Economica, e del territorio, nei confronti delle giovani generazioni, aprendo concretamente le porte a idee, visioni e contributi intellettuali provenienti da giovani soci ed esperti”.
‘Zueni tutto l’anno’ si articola in appuntamenti trasversali, dedicati a temi diversi, per stimolare il dibattito culturale e creare nuovi spazi di confronto pubblico, in un dialogo aperto tra giovani e cittadinanza.
Il primo incontro, per l’appunto, si intitola ‘Comunicare la Fede: il messaggio religioso sulla rete e i social network nell’era di Leone XIV’. A discuterne saranno due giovani protagonisti del panorama della comunicazione religiosa: Marco Grieco, vaticanista de ‘L’Espresso’, autore del podcast ‘Conclave’ (OnePodcast) e di ‘Il Santo’, serie critica sulla figura di Giovanni Paolo II; e Andrea Canton, giornalista e collaboratore de ‘La Difesa del Popolo’, periodico della Diocesi di Padova, e membro dell’associazione ‘WebCattolici’. Modera il giornalista Matteo Muzio. L’evento è realizzato con il sostegno del giornale ‘Piazza Levante’.
“Si affronterà – anticipa Muzio – un tema cruciale per la Chiesa e la società contemporanea: è possibile trasmettere oggi la religiosità sui social media senza cadere nella banalizzazione o nella polarizzazione dettata dagli algoritmi? Da Giovanni Paolo II, con la sua straordinaria comunicazione televisiva, a Papa Francesco e la sua capacità di parlare il linguaggio digitale, fino a Papa Leone XIV e all’attuale contesto post-social, la sfida è capire come raccontare la fede oggi, senza svuotarla di contenuto”.
“Mai come questa volta – sostiene Marco Grieco – l’elezione del nuovo pontefice è stata al centro dei social: podcast a tema, tweet, reel creati con l’AI, tutto era un ingrediente nel mercato dell’attenzione, come scrive Daniel Immerwahr sul ‘New Yorker’ tradotto da ‘Internazionale’: ‘Otteniamo quello che vogliamo, non quello che vorremmo volere: potrebbe essere lo slogan dei nostri tempi. Dato che anche gli utenti dei social network ricevono reazioni immediate, imparano cosa attira gli sguardi’. E così, accanto all’andirivieni discreto dei vaticanisti con esperienza, si è aggiunto un altro mondo, quello dei divulgatori e content creator e dei giornalisti Gen Z, coi loro tripodi e faretti puntati nella piazza, il Cupolone quale set perfetto. I maratoneti veri sono stati loro: giovani, giovanissimi, che da soli erano in grado di tenere dirette lunghissime, sorridere nel marasma e raccontare la piazza che si riempiva e svuotava di turisti e fedeli nei giorni immediatamente l’elezione. Così ho conosciuto Mattia e Virginia, entrambi argentini che per trasmettere live lavoravano di notte. Ho legato con molti di loro, stranieri: Virginia, Quentin, Marina, Mattia. A tutti loro bastano i nomi di battesimo, ad indicare il basso livello di autoreferenzialità che ha il giornalismo più giovane, quello curioso che si butta a capofitto nella materia, ma è altrettanto attento alle modalità di narrazione”.
Secondo Grieco, “tutti, però, abbiamo fatto un errore: nel primo conclave dell’era social, abbiamo sottovalutato il peso, fra i cardinali, di WhatsApp o Telegram: abbiamo pensato che un Collegio cardinalizio così composito non si conoscesse, senza pensare che un pre Conclave lo avrebbe tenuto Meta, il tempio di oggi. Presi dal raccontare un piccolo mondo antico, siamo caduti nei luoghi comuni della narrazione, come se sacro e profano fossero due eserciti in una guerra culturale destinata a infiammarsi. Me ne sono accorto quando, in un filmato ripostato negli Stati Uniti, John Prevost riceve una chiamata dal fratello appena eletto col nome di Papa Leone XIV via FaceTime: noi, tutti presi a rispolverare la sintassi ottocentesca della Rerum Novarum di Leone XIII, mentre il suo successore indossa un Apple Watch e forse avrà sul comodino, accanto al rosario, una coppia di AirPod. Quando, all’inizio del Conclave, il Governatorato della Città Stato vaticana ha staccato le linee telefoniche, avremmo dovuto pensare che, dove nessuno ti vede tranne Dio, può esserci anche l’occhio di Meta. E così, in un tempo incredibilmente breve, la Sede vacante è diventata un ecosistema di tante cose. Quando la Sala stampa chiudeva, piazza Pia e via della Conciliazione si riempivano di puntini luminosi. Accanto alla torre delle televisioni, si facevano strada piccoli fari che illuminavano una persona sola, pronta a fare dirette quando, dall’altra parte dell’Oceano, era pieno giorno. Ritmi estenuanti. Abbiamo cercato insieme di trovare fonti attendibili, di confrontarci e passarci indiscrezioni. Abbiamo cercato di riempire, a nostro modo, il vuoto che un Papa ha lasciato dopo dodici anni, in attesa del nuovo. Lo volevano gli editori, sempre affamati di contenuti. Lo pretendevano i social. In queste settimane il Vaticano è stato l’arena di un mondo non solo geopolitico, ma anche culturale”.