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Giovedì 16 ottobre 2025 - Numero 396

Chi è Tulsi Gabbard, l’ex Democratica schierata con Trump

Dopo Robert F. Kennedy Jr., Gabbard è la seconda ex Democratica a sostenere ufficialmente Trump nella sua corsa alla Casa Bianca
Tulsi Gabbard, l’ex Democratica schierata con Trump
Tulsi Gabbard, l’ex Democratica schierata con Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di FRANCESCO DANIELI *

Votare Trump significa «salvare la nostra patria e servire il popolo»: queste sono le parole che Tulsi Gabbard ha pronunciato il 26 agosto a Detroit, offrendo il suo appoggio all’ex Presidente degli Stati Uniti e attuale candidato per il Partito Repubblicano. Dopo Robert F. Kennedy Jr., Gabbard è la seconda ex Democratica a sostenere ufficialmente Trump nella sua corsa alla Casa Bianca. In risposta, entrambi hanno ricevuto la carica di co-presidente del team di transizione presidenziale repubblicano che, in caso di vittoria, aiuterà a organizzare la prossima amministrazione Trump. Ma chi è Tulsi Gabbard e qual è il suo passato?

Gabbard ha 43 anni e proviene dalle isole Samoa Americane, un territorio non incorporato (che non fa quindi parte dei cinquanta Stati) degli Stati Uniti d’America. Figlia di due professori, a soli due anni si trasferì con la famiglia nelle Hawaii, dove resterà fino agli anni Duemila. Ispirata dall’impegno politico del padre, attivista e futuro senatore dello Stato delle Hawaii, Tulsi Gabbard fece i primi passi nella politica del suo Stato nel 2001, collaborando con le associazioni Stand Up For America e The Alliance for Traditional Marriage and Values: la prima, fondata dal padre dopo l’11 settembre, era volta a promuovere il patriottismo americano, mentre la seconda a vietare la legalizzazione dei matrimoni omosessuali nelle Hawaii. L’anno successivo, Gabbard salì un altro scalino, venendo eletta appresentante nella camera del suo Stato. Il suo primo incarico, però, dura poco. Nel 2003, Gabbard si arruolò nella Guardia nazionale delle Hawaii. Venne trasferita in Iraq l’anno successivo e decise quindi di non ricandidarsi, dedicandosi per alcuni anni esclusivamente alla carriera militare. Ancora oggi, Gabbard fa parte delle forze armate con il grado di Tenente Colonnello della United States Army Reserve. 

Nel 2011, Tulsi Gabbard tornò alla politica hawaiana, venendo prima eletta nell’Honolulu City Council e poi come rappresentante delle Hawaii al Congresso degli Stati Uniti. Iniziò qui la sua carriera a livello federale, caratterizzata da una rapida ascesa ma anche da un continuo cambio di posizioni, tanto da meritarsi un’intera pagina Wikipedia dedicata solo alle sue posizioni politiche. Dalla sua affinità giovanile ai movimenti antigay, Gabbard passò ad appoggiare l’abrogazione del Defense of Marriage Act, la legge che definiva validi solo i matrimoni tra uomo e donna: a suo dire, questo cambiamento era dovuto al suo servizio militare in Medio Oriente, che le aveva mostrato il valore delle libertà individuali. Le sue nuove idee progressiste restarono sul palco anche nel 2016, quando Gabbard sostenne Bernie Sanders durante le primarie del Partito Democratico, poi vinte da Hillary Clinton. Alla fine dell’anno, però, quando quest’ultima perse contro Donald Trump, Gabbard incontrò a sorpresa il neoeletto Presidente alla Trump Tower: fu il primo indizio di un possibile cambio di schieramento.

Nel corso della presidenza Trump, gli indizi si fecero sempre più frequenti. Nel 2017, Gabbard visitò segretamente la Siria e incontrò il Presidente Bashar al-Assad, affermando di non credere alle accuse di atrocità da lui commesse durante la guerra civile. Nel 2019, quando il Congresso votò l’impeachment contro Trump per la sua richiesta al Presidente ucraino Zelensky di indagare su Joe Biden, Gabbard si astenne, affermando di disprezzare l’azione di Trump ma di voler lasciare la decisione finale agli elettori. Lei stessa, nel febbraio 2019, aveva lanciato la sua candidatura alle primarie democratiche con un programma nuovamente progressista, ritirandosi solo nel marzo 2020. In quei mesi, Hillary Clinton la accusò di essere un asset russo, ricevendo per questo critiche da alcuni candidati democratici e da Donald Trump. Gabbard, per tutta risposta, diede il suo endorsment a Joe Biden dopo il ritiro. Un ritorno all’ovile? No, e lo si sarebbe visto dopo il 6 gennaio 2021.

Il tentativo dei sostenitori di Trump di impedire la convalidazione del voto assaltando Capitol Hill fu criticato da Gabbard, ma non quanto le successive proposte in campo Dem di combattere i rivoltosi incrementando la sorveglianza domestica. Sempre dal gennaio 2021, Tulsi Gabbard diede il via a un proprio podcast e a una partecipazione frequente ai programmi di Fox News e di Tucker Carlson. Il sostegno di Gabbard ai Repubblicani si è fatto pian piano più intenso in questi quattro anni, con il suo abbandono del partito nel 2022 e l’accusa ai Dem di essere diventati troppo woke e discriminatori nei confronti di bianchi e cristiani conservatori. 

Arriviamo così al 2024. A marzo di quest’anno, Trump stesso ha affermato di considerare Tulsi Gabbard una sua possibile candidata Vicepresidente, mentre lei a giugno si è detta disposta a servire come Segretaria di Stato o alla Difesa. Il suo endorsement ufficiale a Trump e il suo inserimento nel team di transizione sono solo gli ultimi passi di un cambio di campo che è, in un certo senso, un ritorno alle origini. Resta da chiedersi quanto peso potrà avere questo appoggio durante il voto. Gabbard sarà fondamentale per convincere indipendenti e democratici a ridare fiducia a Trump, o verrà considerata l’ennesima conferma dell’ipocrisia del Partito Repubblicano? Lo scopriremo insieme a novembre. 

(* laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia e di politica internazionale. Collabora con Jefferson e con l’Institute for the Danube Region and Central Europe (IDM) di Vienna)

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