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“C’era una volta”… al Villaggio al Pino: la scommessa della recettività in Val d’Aveto di Sara Diana - Piazza Levante

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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

“C’era una volta”… al Villaggio al Pino: la scommessa della recettività in Val d’Aveto di Sara Diana

Le tre stanze si chiamano “La Cornice”, “La Porta del Fienile” e “La Legnaia”. Non sono nomi a caso, derivano dagli oggetti usati per arredarle
'C'era una volta', il nuovo b&b di Sara Diana a Santo Stefano d'Aveto
'C'era una volta', il nuovo b&b di Sara Diana a Santo Stefano d'Aveto
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di DANILO SANGUINETI

Il coraggio dei giovani riscalda il cuore, la loro voglia di fare è un inno per chi non si rassegna alla decadenza del nostro entroterra. Sono tempi complicati per la Val d’Aveto, in particolare per la “capitale” Santo Stefano che ha appena dovuto incassare un colpo durissimo, la chiusura dell’unico sportello bancario presente, decisa, nel quadro di una sempre più spietata “desertificazione” dai grandi gruppi del risparmio gestito. Per chi non si fida delle tessere e del denaro elettronico – in pratica l’intera fascia della popolazione sopra l’età pensionabile – è una mazzata; l’unica possibilità per avere tra le mani denaro sonante torna ad essere quella di conservarlo sotto il materasso. 

In questi frangenti chi decide di aprire un Bed and Breakfast in quello che un tempo era il sobborgo nobile di Santo Stefano, il Villaggio al Pino, è una commistione tra l’eroe e l’acrobata. Eppure Sara Diana, la titolare del B&B “C’era una volta” nasconde la forza di un carattere temprato da molte avventure in pochi decenni – ha 39 anni – e nel corso della sua esperienza professionale – è infermiera ospedaliera – dietro un magnifico sorriso. Tanto per cambiare è una giovane donna a segnare la strada per il rinnovamento. E, fatto ancor più significativo, non è neppure avetana almeno di origine. Come tutti quelli che hanno scelto il posto dove vivere anziché risiederci senza averlo chiesto (per nascita e dovere familiare…) ama visceralmente la Val d’Aveto. La sua storia ha in nuce la spiegazione della nascita del piccolo ma stilosissimo residence di tre camere che sono molto più di “un letto e una colazione” come vorrebbe la fredda anglica catalogazione.

“Mi chiamo Sara, faccio l’infermiera, sono originaria di Genova ma ancora prima della maggior età mi sono spostata nella Riviera di Levante con la mia famiglia. Ho frequentato fin da bambina la Val d’Aveto, mia mamma ha trovato l’amore in questa vallata ed è anche il mio posto del cuore. Su e giù per i suoi paesini, i boschi, ed i prati”. 

Qui ha le memorie più care. “Interminabili partite a nascondino per l’intera contrada, ho amato da subito e per sempre i monti della valle, i tramonti, i sentieri innevati, gli alberi fioriti, le bacche di rosa canina da raccogliere”. Talmente compenetrata del genius loci dall’ambientarsi persino con gli indigeni apparentemente poco ospitali. “Hanno quello spirito di accoglienza che, in maniera riservata, viene spesso donato, un bicchiere di vino rosso, un pezzo di formaggio nostrano, la stufa accesa, ed è subito famiglia e profumo di casa”.

Per lavoro però dove risiedere in Riviera. “Essendo occupata negli ospedali della zona ho cercato sempre di dare il mio contributo. Cinque anni fa però ho iniziato ad essere insofferente, un po’ perché mi mancava sempre di più Santo Stefano. Vivevo in apnea e tornavo a respirare bene solo quando imboccavo il bivio a Carasco che mi portava tra i miei monti”. La decisione di cambiare viene forzata o forse solo accelerata, dallo scoppio della pandemia.

“Per me il Covid è stata una bufera che ha travolto le vite di tutti, una bufera che ha fatto emergere tanto il buono delle persone quanto l’impreparazione di un Sistema Sanitario già derubato dalle sue risorse umane ed economiche negli anni precedenti. Il Covid l’ha ridotto ad un pesce agonizzante appena pescato”.

Eppure Sara Diana era una che ci aveva creduto. “Da infermiera ospedaliera, come tante mie colleghe, mi sono ritrovata in un reparto Covid per mia volontà. È stata un’esperienza incredibile, forte, drammatica e allo stesso tempo emozionante. Queste esperienze cambiano e ti spingono verso scelte estreme”. Ad un dirigente sanitario dissi: “Giuro che finito tutto questo mi licenzio e apro un Bed&Breakfast”.

Come tutti quelli dalla schiena dritta da seguito concreto alle sue parole. “A gennaio 2022 mi sono licenziata davvero. Trasferimento immediato a Santo Stefano dove trovo impiego. Faccio sempre l’infermiera ma nella casa di riposo al centro del paese. E nei ritagli di tempo libero mi sono messa alla ricerca del posto giusto per completare il mio progetto di vita”. Lo scorso maggio mette la firma sotto l’atto di acquisto. La casa prescelta è in località Villaggio Al Pino, n°6, mezzo chilometro da Santo. Iniziano i lavori per allestire un B&B con 3 camere da letto matrimoniali, tutte dotate di bagni privato, segnale wifi, tv, phon, kit di benvenuto, cassetta di sicurezza e bollitore. Il 1° novembre, in contemporanea con la festa della Transumanza, una delle ricorrenze che più restituiscono il senso di appartenenza alla comunità avetana, la festa di inaugurazione della struttura ricettiva. 

“Sono stati mesi intensi, ho lavorato duro, assieme a un gruppo di amici. Perché avevo in testa di offrire a chi verrà a trovarmi qualcosa di particolare. L’ho chiamato “C’era una volta” senza alcun riferimento alle favole. Lo intendo nel senso letterale: provare a restituire il senso dei tempi andati, tornare alle radici di questo posto. Ogni dettaglio è studiato per riportare indietro nel tempo, I centrini della nonna sono usciti dal baule per imprimersi su piatti fatti a mano in terracotta dalle abili mani di Tiziana Squeri. I materiali sono i materiali della montagna, degli uomini e delle donne di montagna, forti come la pietra e accoglienti e caldi come il legno”.

Le tre stanze si chiamano “La Cornice”, “La Porta del Fienile” e “La Legnaia”. Non sono nomi a caso, derivano dagli oggetti usati per arredarle, in gran parte ripescati nelle stalle, nelle soffitte e delle case avetane. Particolari deliziosi, dettagli che incantano. E tutto questo lo si può avere dodici mesi all’anno. “Sì intendo tenere aperto sempre, è una sfida nella sfida ma credo che si debba farlo per consentire che la zona possa sempre avere una struttura pronta ad ospitare, che faccia da sostegno a manifestazioni ed eventi per l’intero anno non solo nella stagione cosiddetta turistica”. 

Occorre ripeterlo, Sara ha coraggio da vendere. “Non sono sola, non crediate che qui sia tutto immobile. Si è formato un gruppo di ragazzi under 30 che vuole proporre eventi, feste, manifestazioni per rivitalizzare la valle, io li seguo e cerco di dare una mano. C’erano anche loro alla festa di inaugurazione oltre al sindaco e a tanta gente. È stata una giornata indimenticabile. Quanto ottenuto è il risultato di un insieme di sinergie, tutta Santo ha contribuito: artigiani professionisti e amici tutti impegnati e coinvolti in questo progetto. E il risultato, con così tanto amore, di più persone, non poteva che essere superlativo”.

Non c’è dubbio perché prima o poi la Val d’Aveto dovrà prendere coscienza. Di se stessa prima di tutto. In fin dei conti che cosa ha da invidiare alle rinomate – e un poco snob – valli alpine? Forse il nome che alle italiche provinciali orecchie suona poco esotico? Non sarà d’Isere o Pustertal, non avrà i Monti Pallidi o i laghi ad un “Passo dal Cielo”,  e allora? Può compensare con il misterioso specchio acqueo intitolato alla Lame o l’inusuale gruppo roccioso che è Rosso per ragioni spettroscopiche e non politiche. Invece di sforzarsi per farla sembrare quel che non è, un “Trentino che non ce l’ha fatta”, pensiamola come un gioiello nascosto, incastonato tra le regioni della Liguria e dell’Emilia-Romagna, un luogo dove la natura, in larga parte ancora incontaminata, e la storia, anche quella con la esse maiuscola, si fondono in un abbraccio armonioso. Un abbraccio che persone come Sara Diana intendono, per nostra fortuna, preservare.

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