di DANILO SANGUINETI
Campodonico Tessuti vive e prospera sulle pezze, non certo d’appoggio, da 146 anni. È una delle realtà commerciali più antiche e gloriose della città mercantile per eccellenza, assisa da sempre in mezzo alla via più rinomata, il mall all’aria aperta più famoso del Tigullio, al centro del centro cittadino.
Una bottega che propina tesori neppure troppo nascosti, una valanga di seta, raso, jersey, lino, cotone, taffetà, flanella, cotonina che da tempo innumerevole fornisce la materia prima a sarte laboriose e couturier quasi inconsapevoli del loro immarcescibile buon gusto.
Qui si rifornivano e continuano imperterriti a farlo gli artisti della Singer, i virtuosi dell’ago, signore, e pure signori, amanti del bricolage tessile. Campodonico Tessuti ai chiavaresi, non appariscenti per antonomasia, garantisce stoffe di qualità e tessuti di primissimo ordine. Qui si veste la persona e si rivestono le cose, gli orpelli debbono essere essenziali. L’asso nella manica, meglio nella passamaneria che qui è di casa, è l’affidabilità che solo chi ha attraversato il tempo sa adattare a ogni costume (non da bagno). Aggiungete innata cortesia, attenzione costante al cliente e, cosa importantissima considerato dove siamo, assoluta onestà e trasparenza dei prezzi.
Si fa sconto a chiunque varchi la soglia, conosciuto o meno; il metro di legno, quello che i grandi sarti usavano per prendere le tacche ai clienti, non serve per calcolare il distanziamento da persona a persona ma per misurare le pezze che ti vengono consigliate con infallibile occhio e gusto. La miscela è vincente oggi come ieri e l’altroieri.
Il signor Paolo Campodonico, capofila della quarta generazione, dà un’occhiata agli infissi delle vetrine, le stesse che nel 1874, nuove di pacca, ammirava la sua bisnonna Maria Luigia Ranieri, fondatrice della ditta, sposata a Giovanni Campodonico.
“Il materiale usato per le intelaiature è legno pregiato. Pitch pine ultra resistente, lo stesso usato per costruire navi e puntelli per le gallerie minerarie e traversine per i binari ferroviari. Non teme né intemperie né le ingiurie degli anni. L’aver mantenuto lo stesso posto, la stessa sistemazione degli interni, si sposa con la resistenza della nostra famiglia. Da Maria Luigia in poi davanti agli scaffali – l’unico dettaglio non originale della mobilia, hanno ‘solo’ un secolo – c’è sempre stato almeno un Campodonico”.
Nobiltà di bancone, conquistata con la dedizione al lavoro, molto più luccicante di certi titoli arraffati con metodi da Conte Tacchia… “La storia del negozio prosegue fluida nelle varie epoche – racconta Paolo Campodonico – Maria Luigia decise a inizio Novecento di cedere il passo ai figli Luigi e Remo. Mio nonno, Luigi, ebbe a sua volta due maschi, mio zio Giovanni e mio padre Alfredo: dal 1930 in poi furono loro a occuparsi del negozio. Ad inizio degli anni Sessanta viene a mancare lo zio, mio papà prosegue da solo, convinto che sarebbe stato l’ultimo dei Campodonico a reggere le sorti della azienda”.
Eh sì perché il figlio Paolo, classe 1948, aveva altre mire: “Mi sono laureato in Giurisprudenza, ero convinto che la mia strada mi avrebbe portato lontano da qui”. Invece, “nel 1975 papà mi ha chiesto una mano, sono entrato e… non sono più uscito”.
Come se ci fosse tra gli scaffali un’aria incantata, qui la formula lino e vecchie lavande funziona, eccome. “La vita è andata avanti, mi sono sposato, sono arrivati i figli, questo negozio mi era entrato nella pelle. Papà è mancato 30 anni fa, per diverso tempo ho tirato avanti da solo, 20 anni fa sono stato raggiunto da una commessa, la fedelissima Leana e nel 2004 da mia figlia Maria. Le ho trasmesso la passione, è entrata dicendomi ‘Papà vediamo che cosa posso fare’. Non è più uscita”.
Paolo e Maria possono contare sul sostegno morale della consorte e madre, Anna Zigliara, felice che la famiglia, allargatasi grazie al figlio di Maria, resti unita sul vascello ancorato in via Martiri della Liberazione al numero 83. La domanda delle cento pistole è: ma ne vale ancora la pena? “Sì, lo dico senza esitazioni. I motivi per andare avanti sono molteplici: intanto la nostra resilienza ci ha permesso di rimanere gli unici in questa categoria merceologica. Prima avevamo di fronte un concorrente come Cuneo, e in città c’erano altri negozi che avevano caratteristiche simili alle nostre. Oggi siamo i soli. E abbiamo, cosa che stupirà molti, una clientela solida, La controprova l’abbiamo avuta proprio in questa stagione complicata. I tre mesi di chiusura sono stati interminabili. Alla riapertura la situazione ha stentato a mettersi in moto, andavamo avanti esaurendo le ordinazioni che ci erano pervenute prima della quarantena. Poi giorno dopo giorno, vendita dopo vendita, abbiamo ripreso quota e oggi siamo tornati se non proprio come sei mesi fa, almeno su un giro di affari accettabile. Questo perché offriamo un campionario di merce che, lo dico senza falsa modestia, non si trova da nessuna altra parte, almeno nel Levante. Vengono da noi per trovare la stoffa per vestirsi, per arredare la propria casa, si rivolgono a noi i sarti, non solo italiani. C’è persino qualche collega cinese che viene a rifornirsi per poi confezionare i suoi vestiti”. Come ci riesca il signor Paolo non lo svela. Non è reticenza, è modestia.
In un negozio che ha come insegna quella fatta costruire dal padre Alfredo 60 anni fa, che ha una ossatura (scaffalatura e banconi) centenaria, che non ha luci stroboscopiche o poster sgargianti alle pareti, che non ha neppure l’aria condizionata (“Ma grazie alla ventilazione garantita dalla porta che dà sul retrostante cavedio l’atmosfera è sempre fresca”), perché ti scelgano chiavaresi e i turisti, italiani e perfino qualche straniero, devi essere o un ipnotizzatore oppure il bambino della fiaba di Andersen. Lasciamo che gli altri girino con i loro vestiti intessuti di convenzioni e presunzione, a gridare ‘il re è nudo’ ci penserà il signor Paolo, l’unico che non promette indumenti fatti di aria fritta.