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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

Luca Bracali, documentarista che gira il mondo: “Se Cina, India e Usa non ci stanno sulla decarbonizzazione, ogni discorso è già finito”

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di ALBERTO BRUZZONE

Nel 2010, nel libro illustrato ‘Sos pianeta Terra’ edito da Mondadori Electa, il fotografo e documentarista Luca Bracali lanciava l’allarme sullo stato di salute dell’ambiente in cui viviamo, a livello mondiale. Lo faceva molto prima che si parlasse di transizione ecologica, molto prima che si parlasse di tematiche green, molto prima che tutto questo diventasse argomento di stretta attualità, molto prima del movimento Fridays for Future e molto prima di tanto altro.

All’alba del nuovo millennio, Bracali si domandava, e domandava, quali fossero le condizioni del pianeta Terra. Una rassegna di centosettanta fotografie illustrava lo stato del pianeta, secondo un andamento binario che raccontava da un lato le meraviglie del mondo, gli splendidi paesaggi naturali, dall’altro l’interazione uomo-natura e le contaminazioni che quest’ultima ha subito.

Nelle pagine, ecco un viaggio attraverso i continenti, dall’Alaska al Brasile, passando anche nella Nuova Caledonia, proprio per documentare come il Coeur de Voh, la foresta a forma di cuore resa celebre dalla foto di Yann Arthus-Bertrand, sia ormai bruciata e ridotta a un cumulo di rami secchi.

In che modo dunque l’opera dell’uomo sta incidendo negativamente, incrinando gli equilibri naturali e deturpando i paesaggi? Il volume, di notevole impatto visivo, seguiva il pensiero di Al Gore, premio Nobel per la pace nel 2007, il cui messaggio era quello di considerare il mutamento climatico come il pericolo reale per la sorte del pianeta, e inseriva un cambiamento di prospettiva nei confronti della salvaguardia della Terra e del risparmio energetico.

Che cosa è cambiato in dodici anni? Niente in meglio, molto in peggio. Luca Bracali continua a girare il mondo, a documentare, a lanciare appelli, a provare a far la sua parte, nella speranza che il testimone venga raccolto, che la sensibilità cresca e, con essa, pure la responsabilità collettiva.

“Ho cinquantasette anni, sono padre e sono nonno, ma continuo a definirmi un bambino curioso, uno che ama la natura e che rispetta l’ambiente. Sono vicino alla mia famiglia, ma al tempo stesso non ho mai perso l’amore né per Dio, né per il nostro pianeta, continuando a viaggiare per conoscerlo, per non fermarmi alle versioni che ci vengono fornite dal mondo dell’informazione”.

Dal 1991 in poi, Luca Bracali ha viaggiato in 145 paesi, è autore di tredici libri e vincitore di quattordici premi in concorsi fotografici internazionali. Dal 2008 è membro di Apecs (Association of Polar Early Career Scientists) e dal 2015 collabora con Iasc (International Arctic Science Commitee) per i suoi contributi sull’ambiente pubblicati dai media.

Nel 2009 è stato l’unico giornalista a raggiungere il Polo Nord geografico sugli sci. Nel 2010, Bracali debutta nel mondo della fine-art photography e le sue immagini vengono esposte, come personali, in musei e gallerie di Roma, Sofia, Kiev, Odessa, Copenaghen, Yangon, Montreal e New York, oltre che a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo. Ha firmato 210 servizi come regista per Rai 1, è documentarista per Rai 2 e Rai 3 ed è stato ospite in cinquanta trasmissioni e telegiornali delle reti Rai come esploratore e storyteller.

Diciotto dei suoi ultimi reportage sono stati pubblicati da ‘National Geographic’ e le sue immagini sono state pubblicate da ‘New York Post’, ‘Usa Today Post’, ‘Fox News’, ‘Lens Culture’, ‘PetaPixel’, ‘Daily Express’, ‘Daily Star’, ‘Daily Telegraph’ e ‘The Sun’. Dal 2017 diviene ambasciatore dell’associazione no-profit ‘Save the Planet’. Il Minor Planet Center di Cambridge ha intitolato a suo nome il 198.616esimo asteroide scoperto. Da molti anni, infine, si dedica al ruolo di docente accompagnatore in viaggi fotografici in tutto il mondo.

“Sono partito – ricorda Bracali – proprio agli inizi degli anni Novanta, percorrendo nel mio primo viaggio quindicimila chilometri attraverso dieci paesi e arrivando dall’Italia alle isole Svalbard. Nel 2004, poi, sono stato in Antartide, spinto alle notizie sul buco dell’ozono: volevo capire quanta verità ci fosse in quelle informazioni. Lo ripeto, sono un bambino curioso: prima dell’emergenza sanitaria, facevo sino a quindici viaggi all’anno, per la mia attività di documentarista e fotografo e per le trasmissioni televisive. È bello girare il mondo per raccontarlo agli altri”. Ma nel raccontare gli aspetti più straordinari, eccellenti e affascinanti, non ci si può comunque girare dall’altra parte.

Ed ecco sopraggiungere il tema dei cambiamenti climatici e delle conseguenze sulla Terra: “Ho iniziato nel 2008 a parlare di riscaldamento globale – ricorda Bracali – Quindi, in questo senso, sono stato un precursore. Quando ho pubblicato ‘Sos pianeta Terra’, quasi nessuno ci credeva, mi davano del catastrofista. Il problema è partito dai poli, perché ovviamente è là che le conseguenze del surriscaldamento si sono sentite prima. Sembrava una questione lontanissima da noi, solo io e pochi altri l’avevamo potuta vedere di persona. Poi, man mano che il problema stesso è sceso alle nostre latitudini, le persone hanno iniziato a rendersi conto che c’era del vero in quello che raccontavo anni prima. Ma nel momento in cui le conseguenze del global warming si toccano con mano, siamo già in ritardo. Ho visto ghiacciai che si sono ritirati, cambiamenti dei panorami in Islanda e in Canada, aumenti sostanziosi delle temperature”.

Bracali nota i mutamenti ogni volta che ritorna in determinati posti dopo un po’ di tempo: “Io sono un cacciatore. Sì, cacciatore di aurore boreali. Anni fa sono stato ad Abisko, un paese nel nord della Svezia, conosciuto per avere le temperature più rigide d’Europa. La media era tra -20 e -25 gradi. Sono tornato di recente nello stesso periodo e la temperatura era di -10. Un cambiamento di 10/15 gradi nel giro di pochissimo tempo. È un fatto molto grave”.

Questi e tanti altri disastri sul pianeta Terra vengono illustrati da Luca Bracali giorno dopo giorno. E fanno male, alla testa e al cuore. Ma c’è ancora la possibilità di mettere un freno? Secondo il documentarista, “la prima decisione da prendere è quella di spegnere per sempre le centrali a carbone. Il carbone è il cancro del nostro pianeta, lo dico senza mezzi termini. Poi, bisogna investire al 100% sulle energie rinnovabili. Il Sole è la più grande fonte di energia che abbiamo, andrebbe sfruttato nella maniera migliore. E poi, il rispetto per l’ambiente e per il mondo in cui viviamo parte anche dalle singole azioni quotidiane. Sembrano piccole e insignificanti ma, se le facciamo tutti insieme, il beneficio invece è enorme: basta con l’utilizzo smodato del riscaldamento domestico, basta con il farsi tre docce al giorno, cominciamo a usare le luci a led, cominciamo a usare la bici o a muoverci a piedi, invece di prendere sempre l’automobile. Preferiamo il treno all’aereo, per le medie distanze. Puntiamo su prodotti a chilometro zero. Piantiamo almeno quattro alberi all’anno. E insegniamo tutte queste buone pratiche ai nostri figli”.

Potrebbero sembrare le utopie di un sognatore, e magari una volta ci si poteva anche permettere di considerarle così. Ora, invece, sono consigli da seguire, perché il tempo sta veramente scadendo e la Terra non concederà una seconda possibilità: “Le giornate mondiali – conclude Bracali – non servono a nulla, se non sono accompagnate da iniziative nel concreto. Nel primo lockdown, quello tra marzo e maggio del 2020, abbiamo visto quanto la natura si è reimpossessata dei suoi spazi. Non è servito a niente, perché, appena abbiamo potuto, è stato riacceso tutto, recuperando anche il periodo in cui non c’erano state emissioni. L’Onu avverte: entro il 2030 bisogna contenere l’innalzamento della temperatura globale entro un grado e mezzo, altrimenti ci saranno seri problemi. Ma se l’Europa, con tutti i suoi paesi, è ben disposta, bisogna andare a convincere quei paesi che sono enormi produttori di emissioni atmosferiche, e dove vive la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta. Sto parlando di Cina, India e Stati Uniti. Se non ci stanno loro, nel processo di decarbonizzazione della Terra, allora ogni discorso è già finito. Purtroppo, non invidio i miei figli né tantomeno i miei nipoti. A noi è stata consegnata dai nostri antenati una Terra in buona salute. Non saremo altrettanto bravi a consegnarla in buona salute a chi verrà dopo di noi”.

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