Lo racconta come un grande spettacolo in cui qualche ora prima dell’alba ci sono solo le materie prime. “Poi le luci si accendono, il sipario si apre e…”. Su quel palcoscenico tutto infarinato prendono forma colori, profumi e sapori; gli ‘applausi’ dei clienti sono i pacchetti che impegnano le mani e svuotano le vetrine.
È un’opera che si ripete da 50 anni, ma piace sempre come fosse la prima perché alle prelibatezze di Barbieri, storico panificio e pasticceria in piazza Cavour, a Chiavari, non si può dire di no. Qui dentro, d’altronde, c’è ancora il marchio inconfondibile di Sergio Barbieri che con la famiglia Graglia – poi uscita dalla società una decina di anni più tardi – rileva questo locale il primo maggio del 1968. Lo fa dopo una lunga gavetta tra Serravalle Scrivia e la sua Borgonovo, la terra natale dai cui parte la sua attività imprenditoriale con la moglie Carla e il forno sempre acceso.
Sudore e passione, gli ingredienti di successo di quest’uomo che di Chiavari ha scritto un pezzo di storia: “Iniziò questo mestiere a undici anni per necessità, proveniva da una famiglia molto povera”, racconta il figlio Piero, oggi al timone dell’azienda con la mamma Carla, che sta dietro la cassa, e la sorella Francesca, al bancone.
Quanti ricordi di infanzia in quel laboratorio: “Aiutavo i pasticceri ad arrotolare le brioche, a malapena arrivavo al tavolo”. Ore e ore a guardare, poi la scelta di fare sul serio “quando nel 1993 papà si ammala e progressivamente ci lascia. È stata una grande responsabilità: sapevamo, sia io che mia sorella, quanto sacrificio richiedesse l’attività di famiglia. Non ci siamo tirati indietro ma caricati sulle spalle questa eredità morale per portare avanti gli insegnamenti e i valori che lui ci aveva trasmesso: correttezza, gentilezza, passione e umiltà”.
C’è pure il tifo per l’Entella, con un grande poster bene in vista nell’ufficio: già, perché Sergio Barbieri è stato anche il presidente dei biancocelesti, che negli anni Ottanta hanno respirato il grande calcio con Ventura in panchina e Spalletti in campo. Piero tifa e incrocia le dita: “Speriamo a fine stagione di preparare una bella torta per festeggiare il ritorno in B…”.
A proposito di torte, non è entrata nel guinness dei primati, ma quella da un metro e 30 centimetri di diametro se la ricordano ancora in tanti: sposi, invitati al matrimonio e, soprattutto, la squadra di pasticceri che ci lavorò. A differenza del papà, a suo agio tra pane e focaccia, Piero è proiettato sulla pasticceria. Le parole d’ordine? Qualità delle materie prime e aggiornamento costante alla scuola di grandi maestri come Massari, Morandin e Boccia. C’è pure la nocciola misto Chiavari che impreziosisce i dolci – provare per credere i baci di dama – ed è diventata persino una crema spalmabile ribattezzata “Chiavarina”. Nel regno del salato, invece, la focaccia è sempre la regina: “La nostra ha solo olio extra vergine di oliva e nessun grasso animale”.
Tempo di Natale vuol dire super lavoro, tra panettone, pandolce e pandoro: “I dolci a lievitazione naturale sono i più difficili. Per panettone e pandoro ci vogliono 72 ore, per il pandolce ‘solo’ 48. Quelli che vendono nei supermercati al prezzo di qualche spicciolo sono un’altra cosa…”.
Tradizioni che restano, tradizioni che vanno: le paste della domenica sono usanza ormai dimenticata in molte case, il pane in tavola è sempre meno e la grande distribuzione ha le sembianze della piovra che tutto stritola senza pietà. Ma per questo mica si arretra, anzi. La vita in piazza Cavour comincia sempre prestissimo: alle 2.30 quella di chi impasta il pane, alle 5 quella dei pasticceri. Barbieri dà lavoro a quindici persone in tutto. E, specie per i panettieri, c’è stato un periodo in cui di giovani che avessero voglia di imparare il mestiere non vi era traccia: “Abbiamo insegnato a due ragazzi senegalesi che tuttora sono con noi”. Una storia di integrazione che meriterebbe una puntata a parte in questa opera che appaga le papille da 50 anni con le mani di Sergio prima e Piero poi. Guai, però, a definirlo artista: “Se mai artigiano. Un umile artigiano che non si accontenta mai e cerca la perfezione”.
DANIELE RONCAGLIOLO