di DANILO SANGUINETI
Le radici dell’ulivo sono ampie, restano in superficie, si spandono con facilità; rendono il fusto e le foglie resilienti, quasi senzienti, forse proferenti concetti importanti. Senza scomodare Ovidio e Dante, che con le piante comunicavano con la lingua della poesia, proviamo a tradurre: l’arborea meraviglia racconta tanto di chi siamo, ascoltarla e comprenderla contribuisce a salvare uno sfondo imprescindibile per ogni paesaggio che si voglia definire ligure. Un dovere per chiunque abbia i piedi piantati nel presente, l’orecchio pronto ad afferrare le voci del passato e lo sguardo dritto nel futuro.
Gli ulivi o olivi – la grafia del lemma dipende da dove siete nati, se sopra o sotto la linea dell’Arno, vanno bene entrambe – con la loro chioma argentata sono le ‘meche’ delle più belle colline che si specchiano nel Mar Ligure. Tra esse va messa di diritto quella che con un pizzico di civettuolo sussiego si è proclamata monte e che eleva la penisola che culmina nelle due perle, Portofino (eponimo della zona) e San Fruttuoso.
Sulla falda orientale del ‘Monte’, pendio di Nozarego, c’è una hacienda di illuminati, l’azienda agricola Santa Barbara, una operazione di revival intellettuale più che un’avventura economica. Il che potrebbe suonare strano una volta che si conosce il retroterra del fondatore dell’azienda, Umberto Costa, nipote di Giovanni Battista Costa da parte di padre (Benedetto Carlo), un grande imprenditore, e di Eugenio Broccardi da parte di madre (Emilia), primo Podestà di Genova negli anni Venti e costruttore di fama internazionale.
Lo stesso Umberto si è fatto conoscere per i cinque continenti e i sette mari come ship broker di incontestabile successo. Dall’acqua salata all’olio il passaggio non è liscio, eppure per Umberto Costa, anche raffinato memorialista e pittore a tempo perso, è stato naturale, quasi scritto nel suo Dna, dato che non ha fatto altro che ricostruire attorno alla casa di famiglia, in via Partigiano Berto Silvio Solimano 44A, le coltivazioni che dal 1945 a fine secolo erano andate via via ‘appassendo’.
Nel 2000 Umberto, consigliato e affiancato dalla moglie Carla, a 69 anni di età si autopensiona come scrive scherzando nell’interessantissimo libriccino di ricordi e riflessioni ‘Tigullio un incontro. Due famiglie attraverso due secoli’. In realtà è deciso a impegnarsi il doppio. Si getta al salvataggio di quasi sei ettari di olivicolture ridotte ai minimi e pessimi termini, con dentro anche quattro rustici da restaurare. Il patriarca ancora una volta fa il miracolo: nasce Santa Barbara ed è da subito un piccolo gioiello. Ora il testimone è stato raccolto dal terzogenito Benedetto. “Io sono come lui, un ‘family man’. Abbiamo tutti, io, le mie sorelle Susanna e Maria, mia mamma, sposato la visione di papà. Il primo lavoro è stata la bonifica dei terreni abbandonati, fasce di terra che da antichi e produttivi oliveti erano diventate l’habitat di soffocanti edere e impenetrabili rovi, asilo di cinghiali che nel tempo avevano distrutto i muri a secco, mutando sensibilmente, oltre a tutto, il paesaggio. Umberto da giovane frequentava il frantoio di famiglia e serbava il ricordo delle lente procedure, dei riti e degli strumenti di allora, consapevole del bene prezioso che veniva prodotto. Trasmessa la passione a moglie, figli e nipoti (otto), pur nei mutati, più moderni e scientifici sistemi di potatura e molitura, è stata rinnovata la tradizione”.
Benedetto ha voluto prendere come cognome anche quello della nonna. “Sono Costa-Broccardi per sottolineare l’ascendente sammargheritese doc. Credo fortemente in questa impresa. Sento che pago il debito con il mio retroterra, reale e non solo figurato. Questa collina di Nozarego, dove prosperano gli alberi dell’azienda agricola Santa Barbara, è compresa tra la celebre località Paraggi e Costasecca: ed è una regione agricola già nominata in documenti del 1143, con riferimento alla presenza del noce. La coltura dell’ulivo risale all’alto Medio Evo, quando i monaci Benedettini la diffusero sul Promontorio di Portofino e nel Tigullio. Un frantoio era presente anche nel centro di Santa Margherita Ligure fin dal Seicento. Il terreno oleario era ormai consolidato nel 17esimo secolo”.
Piano piano la produzione decolla: “Dai nostri oliveti creiamo un olio particolare e adatto a esaltare la cucina mediterranea. Da marzo 2014 ha l’idoneità alla D.O.P. Riviera Ligure. Abbiamo vinto la medaglia d’argento e d’oro al Premio Leivi 2014 e 2016, miglior olio D.O.P. della riviera di Levante. La settimana scorsa abbiamo conseguito il terzo posto, mantenendo sempre la qualifica D.O.P.”.
Il piazzamento è un mezzo prodigio se si pensa alle condizioni meteo-economiche attuali per il territorio del Tigullio occidentale. La spiegazione di Benedetto Costa-Broccardi è dettagliata e si avverte la passione mal camuffata dall’ironia. “Siamo andati a Leivi con la ragionevole sicurezza di essere tra i vincitori. Purtroppo non era hybris: essendo così pochi una medaglia era scontata: per manifesta assenza di competizione! Il 2021 era già stato un annus horribilis, da Leivi a Casarza sino a Santa stagione pesante per tanti. In molti avevano scelto di non raccogliere sin da giugno, luglio anche peggio. Quest’anno era partito bene poi tutto si è complicato. Le notizie che ho io raccontano che sul lato orientale del Tigullio, Lavagna, Sestri, Leivi ci sono grandissimi problemi: troppo caldo al momento della fioritura. Sono in ottimi rapporti con gli olivicoltori del Ponente, alcuni di loro mi hanno detto ‘se va bene faccio la raccolta dell’anno scorso cioè dell’anno peggiore da quando produco olio’. Mi pare sufficiente per capire che la strada rimane in salita. Il cambiamento climatico ha ed avrà sempre più un impatto pesante sulle nostre opere”.
Razionale pessimismo, nessuna intenzione però di alzare bandiera bianca. “Anzi. Stiamo pensando a diversificare la produzione e a continuare nel lavoro di manutenzione del territorio. Per questo sono favorevolissimo all’estensione del Parco di Portofino, così come tutta la mia famiglia. La nostra scelta è stata fatta quando decidemmo come utilizzare le terre acquistate attorno alla casa di famiglia. Avremmo potuto regalare molti metri cubi al cemento, e sarebbero stati soldi facili. Invece abbiamo preservato il bello come viene riconosciuto a livello mondiale: qui da noi sono venuti grandi nomi americani e sono rimasti incantati. Siamo un modello? Non lo so, mi guardo intorno e vedo troppi oliveti abbandonati, o trasformati in giardini. Abbiamo saturato questa terra nostra di case e altri edifici. Il Parco dovrebbe avere più poteri. Nella contingenza attuale fa quello che può. Santa Barbara è azienda del Parco, ci hanno di recente dato il permesso di mettere il marchio del Parco sui nostri sapori e sull’olio. Non si rendono conto della fortuna che hanno a possedere questi terreni. Oggettivamente il Monte di Portofino è una risorsa incredibile: stiamo accusando una drammatica carenza d’acqua eppure il monte ci aiuta, è una spugna”.
Il team Costa tiene botta. “Potremmo avere una maggiore produzione e di conseguenza maggiore forza a livello commerciale. Per il momento ci accontentiamo, facendo leva sulle nostre qualità. Ciò che produciamo lo vendiamo brevi manu, poco online. La clientela è affezionata, in più serviamo ristoranti rinomati, per esempio ‘Da Giacomo’ a Genova o a Santa ‘La Paranza’, ‘La Credenza’ e ‘Le Carillon’. Infine ci sono negozi locali che ci hanno scelto, cito i primi che mi vengono in mente: ‘Parlacomemangi’ a Rapallo, ‘Tirabüsciòn’ a Camogli. Il nostro olio D.O.P. è in vendita in bottiglie da 250 e 500 ml. L’extravergine in lattina da 1 lt, 500 e 250 ml”.
Per farsi conoscere non è indispensabile uscire dal territorio con proclami mediatici e online advertising. “Tutto sommato il turista tedesco lo ‘catturiamo al passo’, viene da queste parti, chiede, assaggia e ne rimane conquistato. Il nostro olio ‘del Levante’ è delicato quasi come quello del Garda, diverso dal taggiasco, anomalo secondo i canoni internazionali che vogliono l’olio piccante, amaro, forte. Il nostro non è forte e questo è ciò che lo rende eccezionale o quantomeno particolare”.
L’ereditario senso degli affari impedisce che Benedetto Costa si goda sino in fondo il successo. Come i suoi avi pensa ‘Vado bene, ma potrei andare meglio’. “Ci vorrebbe un minimo di progettualità, e questo non possiamo farlo da soli. Recuperare altro territorio sarebbe fondamentale secondo me. E si badi bene non sto invocando il solito intervento dello Stato patrigno. L’azione innovatrice potrebbe essere affidata a consorzi di privati. Certo senza il pubblico sarebbe impossibile potenziare la coltivazione irrigua, occorrono grandi risorse e l’intervento di più soggetti statali per studiare il recupero delle acque reflue e convogliarle in un sistema di acquedotti per gli agricoltori”.
Una singola idea potrebbe aprire a una rivoluzione economica. “Se vogliamo reagire a quanto sta accadendo è imperativo cambiare il sistema di produzione energetica. Se la Città Metropolitana e la Regione decidessero di sostenere davvero l’agricoltura dovrebbero virare sulla biomassa (materiale organico prodotto per fotosintesi e utilizzato per generare energia, ndr). Darebbe un senso alle potature, invoglierebbe alla manutenzione del territorio, per esempio alla pulitura degli oliveti e dei castagneti. Sistema semplice per sostegno agricoltura, una risposta positiva al desiderio di mantenere il territorio, di svilupparlo senza impatto sui conti pubblici, anzi daresti energia alla regione per una decina di anni almeno”.
Qui emerge una visione di lungo termine che stando ai politici di oggi appare come una ricerca dell’Araba Fenice. “Abbiamo smantellato la Centrale di Genova. Sono in piedi sia Savona che Spezia, Potremmo renderle centrali a biomassa. Il compianto presidente della Coldiretti e proprietario della Casa del Diavolo a Castiglione Chiavarese, Valerio Sala, uomo lombardo, lontanissimo da queste ottiche ma innamorato della nostra fatica, ne aveva discusso a lungo con il sottoscritto. Avevamo fatto un po’ di conti: si creavano 35mila posti di lavoro, si ripagava tutto con i proventi, era assicurata la manutenzione del territorio”.
Una evidenza che fa rabbia. Benedetto Costa-Broccardi si rifugia nell’etica del lavoro: “Continuiamo a fare il nostro, piccolo ma buono, proviamo ad aggiungere prodotti nuovi e di livello. Magari sbagliamo, ci rendiamo conto che altri fanno molti più soldi vendendo come prodotto locale ciò che locale non è. Noi vendiamo ai nostri clienti la memoria di una vacanza nel Tigullio. Memoria che assaggiano assieme al sapore del nostro olio. Io, mia mamma, le mie sorelle, Maria Luisa che si occupa della parte commerciale e Susanna della veste grafica, restiamo abbracciati – anche se fisicamente siamo divisi tra Genova e Milano – ai nostri ulivi”.
L’antica cultura dell’imprenditoria ligure, vanto della nostra terra, quella che sa distinguere tra vantaggio e dovere. Che amava e ama l’Olivo. Olivo eguale Mediterraneo, si trova su ogni sponda del mare-culla di civiltà. Olivo archetipo che getta la sua ombra su culture in apparenza differenti, sui grandi libri e i miti persistenti, La seconda colomba lanciata nel grande mare aperto da Noè torna con nel becco un ramoscello dell’‘Elaion’. Nell’orto di Getsemani (ossia del frantoio) Gesù cerca la pace e trova il tradimento. Con il suo olio i Re venivano ‘Unti’. Potente è il richiamo della foresta, in questo caso del bosco sacro agli Dei. Olivo pianta sacra della pace per quasi tutti i popoli. Nella Grecia classica chi lo danneggiava rischiava l’esilio. Una norma che se fosse ancora valida renderebbe deserti diversi paesi.