di DANILO SANGUINETI
La riscoperta della natura durante i giorni della pandemia è concetto ampio e che, sviscerato, riserva diverse sorprese. Per esempio, se è vero che il fermare tutto per quasi due mesi è stata una terrificante mazzata sull’economia di un paese dissestato, lo è altrettanto il fatto che questa lunga serie di meno vada integrata con qualche più.
Uno dei dati positivi riguarda il settore agroalimentare. In parole povere, la gente ha combattuto la nevrosi da Coronavirus pappando. E ha fatto delle scelte di campo ben precise. Meno preconfezionato, sotto con la roba genuina, comprata se possibile direttamente dal produttore, privilegiando il tanto decantato chilometro zero.
In un simile scenario le aziende agricole dei nostri monti che sino a febbraio avanzavano sì, ma in ordine sparso e con prospettive sul medio lungo periodo confuse e incerte, oggi possono invece tirare un sospiro di sollievo. Per chi ha saputo adeguarsi in fretta alla nuova situazione il mercato ha riservato più di un successo, guadagni tali da poter marciare senza il timore di avere il baratro spalancato davanti.
Un caso tipico è quello della Azienda Agricola Levaggi che il chiavarese Roberto Rapisarda e suo figlio maggiore Gabriele hanno aperto nell’omonimo borgo di Levaggi, una delle principali frazioni del vasto e frammentato territorio appartenente al comune di Borzonasca. Roberto e Gabriele nel 2015 portarono a termine importanti lavori di ristrutturazione nella cascina appartenente da alcune generazioni alla famiglia. Il padre di Roberto, Antonio, aveva aperto negli anni Ottanta un ristorante. Chiuso il locale, le case e la stalla erano state chiuse, l’intera area era rimasta per diverso tempo inattiva.
L’idea venne a Gabriele, che voleva provare ad allevare un piccolo gregge di capre. Un paio di esemplari per vedere se e come poteva andare. I primi anni furono duri, perché seguire animali più difficili delle mansuete e solite mucche e pecore era complicato. “Abbiamo studiato parecchio, un po’ tramite filmati, un po’ tramite i consigli di anziani che ancora si ricordavano il mestiere”, rivela Roberto. “Oltre ad accudire gli animali, c’era da mungerli e imparare a realizzare i vari prodotti dal loro latte. A poco a poco siamo migliorati e le confezioni da noi prodotte si sono acquisite una discreta fama presso il giro degli intenditori. Partecipare ai mercatini specializzati delle nostre zone è stato un altro progresso importante”.
Dalle capre alle mucche, il passo è stato più breve e meno impegnativo. “Abbiamo pensato di variare l’offerta. Oggi siamo in grado di dare al cliente uova, ricotta di mucca, salami, pancetta, coppa, caciotte fresche di mucca e stagionate”. Un apprendimento, un raffinamento, un miglioramento che rivelano la passione di padre e figlio. “Non lo facciamo certo per il guadagno, perché se prima della pausa riuscivamo a barcamenarci, gli eventi di febbraio e marzo ci hanno portato a un passo dal dover chiudere”.
Per salvare l’azienda, papà Roberto e l’erede Gabriele hanno dovuto prendere diverse decisioni drammatiche. “L’11 marzo, quando è scattato il lockdown, per una decina di giorni siamo rimasti immobili, lo shock era stato grande. Poi ci siamo guardati negli occhi, io e mio figlio, ed abbiamo deciso che si doveva fare qualcosa. Perché gli animali hanno il ‘difetto’ di mangiare ogni giorno, perché bisogna impiegare litri e litri di nafta per mantenere accesi i macchinari, riscaldamento, illuminazione, ecc ecc. La settimana successiva siamo tornati su e abbiamo rimesso in moto ogni cosa. Non siamo in Emilia dove hanno spazi, pascoli, aree dedicate a profusione. Qui bisogna cercarsi dei posti speciali, pagare i trasferimenti, in genere i costi sono doppi rispetto ad altre realtà e si fatica il triplo per arrivare a un guadagno”.
Il sacrificio – fattibile perché dentro l’azienda erano solo componenti dello stesso nucleo familiare – è stato quanto meno ripagato. “Il primo mese è stato in salita, poi la gente ha cominciato a tornare. E quando ci sono state le prime riaperture abbiamo addirittura notato un incremento, sia pure moderato, nelle vendite. Come me lo spiego? La gente è cambiata, e sta continuando a farlo. Distanziamenti e precauzioni sconsigliano di andare nei supermercati o nei grandi spazi chiusi, sono alla ricerca di qualcosa di sano e che si possa acquistare velocemente. Noi siamo qua per questo”.
In un’ottica modificata chi è disposto a sgobbare come Roberto e Gabriele viene ripagato. “Vero, però vi assicuro che non è una passeggiata. La giornata comincia prima dell’alba: c’è da portare le bestie al pascolo, poi riportarle in stalla, infine c’è il laboratorio, ossia c’è da dedicarsi alla produzione. E avendo aggiunto un paio di maiali che nutriamo con gli scarti della lavorazione del latte di capra e di mucca, c’è moltissimo da fare”.
Ma non è finita. Perché Roberto balza sul furgone e… “Dopo le 17 faccio consegne a domicilio. A Carasco, Casarza, Chiavari, Lavagna, San Salvatore, Sestri e zone limitrofe per una spesa non inferiore ai 15 euro. Altro impegno non da poco, visto che le chiamate stanno aumentando”.
Potrebbe bastare? No. Ci sono i mercatini. “Al martedì in piazza Salvi a Sestri Levante, quello dei produttori agricoli. Nei weekend sempre nella Bimare c’è una fiera dei prodotti a km zero”. I formaggi e i salumi dell’azienda agricola Levaggi vanno forte. “Ricevere pareri più che lusinghieri dopo gli assaggi, vedere chi ha provato le nostre specialità che quasi sempre torna e spesso si trasforma in cliente affezionato sono soddisfazioni, non posso negarlo. Ti ripagano degli sforzi, soprattutto ti fanno capire che hai realizzato qualcosa di bello”.
Forse non diventeranno milionari Roberto e Gabriele, eppure sentono di essere più ricchi da quando hanno portato animali e idee a Levaggi. La soddisfazione di un lavoro fatto bene non si ripaga in moneta.