Per entrare si deve solo suonare, il biglietto non serve, eppure chissà quanti metterebbero mano al portafoglio per fare un tuffo nel passato. Sì, perché l’Armeria Lanata è molto più di una bottega storica nel cuore di Chiavari. È un museo che Giuseppe, la terza generazione di Lanata alle prese con fucili e munizioni, conserva con straordinario attaccamento. La sua famiglia ha scritto un bel pezzo della storia di questa città. Sono commercianti fin dai primi dell’Ottocento: Luigi e Colomba hanno un negozio di tessuti poi diventato ‘Cuneo’, mentre nel 1870 Giacomo, bisnonno dell’attuale titolare dell’Armeria di via Rivarola, apre un locale di merci varie in via della Concia 2.
Siamo nel 1870 e solo sette anni più tardi nascerà Giuseppe: è lui, congedato dal servizio militare, ad alzare la saracinesca dell’Armeria Lanata. Lo fa nel 1904, in via Entella 7. Il marketing dell’epoca è l’annuncio su un giornale – La Sveglia – custodito con cura dal nipote: ‘Regalo dei seguenti accessori a chi comprerà fucili da almeno 100 lire: orlatore, bretella, bacchettone, grattaruggine, ventriera e n.100 cartucce vuote’.
Nel 1912 l’Armeria si trasferisce in via Vittorio Emanuele. È in questi locali che due anni dopo Giuseppe fonda, insieme ad altri amici, l’Entella: “Eccolo Pippo, dirigente e accompagnatore, in uno Spezia – Entella del novembre 1914”, mostra orgoglioso Giuseppe jr sul bancone dei ricordi.
Qualche mese più tardi scoppia la Prima Guerra Mondiale e Pippo, richiamato in servizio, diventa tenente comandante del deposito di Mignanego-Ronco Scrivia. Il negozio durante i tre anni di conflitto è affidato alla moglie, Angela Castagnino, che nel 1926 si ritrova vedova con un’attività da portare avanti e tre figli maschi, tutti ancora minorenni, da crescere: Enrico (fondatore della Società Tiro a volo), Vittorio e Alfredo. Il 23 luglio 1943 la Polizia ritira le armi presenti in bottega e nel maggio del 1944 requisisce l’Armeria per sospetta collaborazione con i ‘ribelli partigiani’: Vittorio aveva aderito al SAP chiavarese di Giustizia e Libertà, Alfredo si era salvato per il rotto della cuffia dall’occupazione del distretto militare di Genova rifugiandosi dalla fidanzata, a Vignolo, e aderendo alla Coduri.
Per ritornare alla normalità bisogna aspettare la Liberazione: la mattina seguente al 25 aprile 1945 l’Armeria Lanata riapre. È vuota ma ci mette poco, grazie alla fiducia concessa dalle aziende e conquistata in oltre 40 anni di attività, a ripartire. Mamma Angela nel 1959 lascia la licenza a Vittorio e Alfredo, il più piccolo dei tre, che intanto aveva alzato il sipario della Pescasportiva Fi-Ma e sposato Giovanna Spinetto, per lunghi anni collaboratrice dell’Armeria; il negozio cambia aspetto e l’attrazione di una vetrina rotante cattura gli sguardi dei passanti ancor più dei fucili e delle pistole in vendita. Nel 1992 Vittorio si ritira e al suo posto subentra Giuseppe, figlio di Alfredo, già collaboratore da oltre vent’anni dell’attività. Con la morte di Alfredo, nel 1996, l’Armeria Lanata passa tra le mani di Giuseppe, aiutato dalla socia Daniela Canepa, figlia della sorella Adriana. Riconosciuta impresa storica dalla Camera di Commercio di Genova, dal 2014 l’Armeria Lanata trova rifugio in via Rivarola. Le scatole colorate che contenevano la polvere per caricare le cartucce sono una collezione speciale che Giuseppe tiene con orgoglio. Sono ricordi di una vita che oltrepassano i muri in cui è cresciuto “e probabilmente concepito”, scherza. Sono istantanee di un passato che ha i colori della campagna e i sapori della “beccaccia cacciata da papà che poi mamma cucinava e serviva in tavola. Roba naturale, senza antibiotici, estrogeni o additivi”. Emozioni che per lui sono “fare l’alba, scovare una lepre, vedere un cane guidare, fermare, portare”.
È la caccia, un filo conduttore della famiglia Lanata, dal padre – che imbracciava il fucile con giacca, cravatta e borsalino in segno di rispetto per la selvaggina – al figlio: “Sono un cacciatore a modo mio, rispettoso”. C’è un pizzico di malinconia nel vedere l’immagine del cacciatore trasfigurata “da una campagna denigratoria che oscura aspetti come la fondamentale gestione del territorio. Se i sentieri dell’entroterra sono per la maggior parte percorribili, è merito quasi esclusivo dei cacciatori. Il mondo della caccia, ormai, ha numeri al ribasso: rispetto a trent’anni fa siamo meno di un quarto. I giovani non si avvicinano più, hanno altri interessi”.
DANIELE RONCAGLIOLO