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di FRANCESCO DANIELI *
Era il 7 novembre 2020 quando, dopo quattro giorni di scrutinio, il risultato delle elezioni americane era ormai certo: il ticket democratico di Joe Biden e Kamala Harris aveva sconfitto il Presidente uscente Donald Trump con 306 voti elettorali e un record di più di 81 milioni di voti popolari. Due mesi dopo, il 6 gennaio 2021, una sommossa organizzata da gruppi di sostenitori di Donald Trump, con il benestare dell’ormai ex Presidente, assaltava il Congresso, impegnato nel conteggio dei voti elettorali. Ciò nonostante, il 20 gennaio iniziava l’amministrazione Biden, con una serie di leggi e ordini esecutivi pensati per ribaltare l’eredità della presidenza Trump.
In cento giorni, gli Stati Uniti tornarono a partecipare agli accordi di Parigi e all’Organizzazione Mondiale della Sanità, mentre Biden fermò la costruzione del muro al confine con il Messico, iniziò una massiccia campagna vaccinale e firmò un piano di stimolo per l’economia del Paese (l’American Rescue Plan) da 1900 miliardi di dollari. Secondo molti, questi tre mesi da soli basterebbero per definire la presidenza di Biden come storica. Nei due anni successivi, all’American Rescue Plan si aggiunsero anche altre due legislazioni di grande impatto: l’Infrastructure Investment and Jobs Act, da 1200 miliardi di dollari, e l’Inflation Reduction Act, da 391 miliardi. Il primo, frutto di un accordo bipartisan, permise il miglioramento delle infrastrutture in tutto il Paese, da strade e ferrovie a linee internet e condotte dell’acqua. Il secondo, invece, aumentò gli investimenti per combattere il cambiamento climatico, sia attraverso una maggiore produzione di energia rinnovabile sia con la lotta agli sprechi energetici e all’inquinamento. Questa politica di spesa pubblica e investimento, poi soprannominata Bidenomics, contribuì a portare gli Stati Uniti a una situazione di piena occupazione, a un mercato azionario ai massimi storici e a una crescita continua dell’economia, ma anche a un’alta inflazione, tornata sotto controllo solo negli ultimi mesi.
Se in economia gli Stati Uniti di Biden hanno ottenuto grandi successi, in politica estera il bilancio è meno netto. Oltre a rimettere il Paese al centro dell’ordine internazionale e a ricollegarlo saldamente alla Nato e ai suoi alleati, Biden iniziò la sua politica estera con il ritiro dall’Afghanistan promesso nel 2020 da Donald Trump ai talebani. Si trattò di una scelta molto discussa, rimasta nella memoria non per la fine di vent’anni di impegno militare nel Paese ma per la caduta repentina di Kabul e per l’evacuazione disordinata dei militari della coalizione internazionale e degli alleati afghani, tra luglio e agosto 2021. Forse anche questo grave danno all’immagine internazionale degli Stati Uniti contribuì a causare un’altra sfida che si presentò al mondo l’anno successivo: l’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022. Nonostante i servizi di intelligence statunitensi avessero segnalato nei mesi precedenti il possibile inizio di un’escalation russa, gli Stati Uniti e l’Unione Europea non furono in grado di impedire o fermare l’aggressione. Dall’altro lato, però, pur tra alti e bassi, l’amministrazione Biden è riuscita a sostenere l’Ucraina con 55,4 miliardi di dollari in aiuti militari, a coordinare gli aiuti internazionali e a colpire la Russia attraverso sanzioni. Resta infine il conflitto israelo-palestinese. Anche in questo caso, la risposta americana agli eventi successivi all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 non è stata abbastanza incisiva. Diviso tra il sostegno a Israele e il tentativo di fermare gli attacchi contro i civili palestinesi, Biden si è trovato ostaggio delle scelte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, deciso invece a continuare la propria guerra contro Hamas e i suoi alleati, pur provocando una tragedia umanitaria.
Analizzata la politica estera, restano invece le politiche sociali, con le quali Biden si è posto a difesa dei diritti dei lavoratori, delle donne, degli studenti, delle minoranze etniche e delle persone LGBT. La sua presidenza è stata definita la più vicina di sempre al mondo dei sindacati, che oggi restano in gran parte fedeli al Partito Democratico sostenendo la candidatura di Kamala Harris. A seguito della sentenza della Corte Suprema del 2022 sul caso Roe v. Wade e della fine del diritto all’aborto, Biden ha firmato un ordine esecutivo per rafforzare l’accesso alla contraccezione a prezzi accessibili e ha spinto per una nuova legislazione che possa assicurare questo diritto. Infine, ha proposto leggi per la riduzione del debito studentesco, ha annullato i divieti di Trump che discriminavano l’accoglienza dei rifugiati e ha garantito alle coppie dello stesso sesso i diritti, i benefici e gli obblighi dei matrimoni previsti dal codice federale.
Alla fine di questi quattro anni, molti stanno giudicando la presidenza di Biden come una delle migliori degli ultimi decenni, pur con i suoi fallimenti e i suoi difetti: sicuramente è stata tra le più attive di sempre, lasciando un’eredità destinata a durare, anche se frutto di soli quattro anni di lavoro. Il giudizio finale resta ora ai cittadini americani: sceglieranno di approvare l’operato di Biden e dei Democratici, affidandosi a Kamala Harris perché lo porti avanti ancora, o decideranno di fare marcia indietro, rimettendo il potere in mano a Donald Trump? Lo scopriremo a novembre.
(Laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia e di politica internazionale. Collabora con Jefferson e con l’Institute for the Danube Region and Central Europe (IDM) di Vienna)