di DANILO SANGUINETI
La Virtus Entella con il Sudamerica è a posto da parecchio tempo, ma con il Nordamerica era un po’ carente, almeno sino alla settimana scorsa, quando un concentrato di simpatia come Evan Halvorsen è arrivato – sarebbe più giusto dire planato data la sua inesauribile energia – da New York City alla Colmata a Mare per prendere parte al Summer Camp dell’Entella Academy.
Un autentico ‘All American Child’ (compirà sei anni tra due mesi), che ha chiesto l’iscrizione al Camp dell’Entella come unico regalo a mamma Ivana, milanese che ha studiato e lavora negli Usa dove ha sposato il manager Greg Halvorsen, nel periodo di vacanza da passare in Italia. Detto, fatto, da venerdì 19 a venerdì 26 Evan calca il terreno in sintetico del ‘Franco Celeri’ in Largo Ravenna assieme a decine di ragazzini quasi tutti più grandi di lui dalle 9 alle 12,30.
Ha trovato tanta spensieratezza ma anche professionalità. Come garantiscono in sede alla Academy sul campo si fa sul serio. Gli allenamenti sotto gli occhi dello staff tecnico rispecchiano per qualità e competenza quelli sostenuti dai tesserati Virtus Entella. Partecipare al Summer Camp dà la possibilità ai calciatori in erba di crescere dal punto di vista tecnico. Il programma prevede lo sviluppo dei fondamentali (controllo di palla, palleggio, passaggio, finta e dribbling, ricezione e difesa della palla, tiro in porta), distribuiti nel corso delle sedute giornaliere che si svolgono con metodo progressivo, tenendo conto del possibile grado di omogeneità dei gruppi.
Impegno e divertimento che arginano almeno per una manciata di ore il vulcanico terzogenito della famiglia Halvorsen. Grazie a Evan (si pronuncia even con le ‘e’ strette) scopriamo che l’Entella ha fatto breccia in posti insospettabili. Nel cuore di Manhattan, arteria pulsante di New York, centro del mondo ed ombelico della Terra, c’è una piccola ma fiorente colonia biancoceleste.
Mamma Ivana spiega come nasce l’Entella-mania in salsa statunitense. “Io a Chiavari ho passato gran parte delle vacanze della mia infanzia, sono andata a studiare negli States, là ho messo su famiglia e con mio marito Greg, patito a sua volta dell’Italia, abbiamo deciso di tenere sempre vivo il legame con la mia patria. I miei primi due figli, Brian e Adrian di 22 e 19 anni, hanno sempre passato almeno un mese qui, parlano italiano fluentemente, nel Tigullio hanno amicizie e conoscenze. A scuola preferivano il soccer (il termine Usa per indicare il calcio) al football (americano). E poiché per loro l’Italia è soprattutto Chiavari, è stato abbastanza logico che scegliessero come squadra del cuore l’Entella, seguita con passione negli anni della ascesa dai dilettanti alla serie B”.
Saltano fuori particolari sorprendenti. “Al College e all’Università, ed ora anche a casa, a New York hanno formato un gruppo di amici che si riunisce per vedere le partite dei campionati ai quali partecipa l’Entella”. Un’impresa non da poco, dato che bisogna districarsi tra internet e i broadcast statunitensi che ritrasmettono i match italiani. Evan, molto più piccolo dei fratelli maggiori, è cresciuto sentendo parlare di Entella. La ‘contaminazione’ era inevitabile. I due fratelli non hanno seguito il resto della famiglia in Italia ma hanno saputo che Evan ce l’ha fatta a vestirsi di biancoceleste. Una sorpresa è in arrivo anche per loro: “All’Academy sono stati tanto gentili che mi hanno dato una maglia da portare negli Usa, quando Adrian e Brian la vedranno sarà una lotta per decidere chi la indosserà per primo. Nessun problema per Evan che con la sua ci dormirà pure! Sarà orgoglioso e sono sicura che andrà a farla vedere al suo professore di ginnastica che mesi fa lo aveva incoraggiato a insistere con il calcio, ne aveva notato il controllo di palla e la coordinazione”.
E il protagonista di questo scambio culturale e sportivo, Evan, per ora di ruoli, tattiche e schemi se ne infischia (beato lui…): “Mi piace correre, tirare e pure stare in porta”. Mani o piedi, basta inseguire la palla che rotola. “Sono contento quando i maestri ci dicono bravi perché abbiamo superato le prove, ma sono veramente felice quando vinco”.
Ecco spiegato in due parole l’American Way of Life: Evan, che si esprime con la stessa naturalezza in italiano come in inglese, smonta le arrugginite eurocentriche consuetudini. Altro che ‘l’importante è partecipare’”! Un connazionale di Evan – anche lui newyorkese con ascendenze italiche, nato esattamente 100 anni prima di lui – il mitico allenatore di football (tenete sempre a mente la distinzione con soccer) Vince Lombardi sosteneva: “Se la vittoria non è tutto, perché tengono il conteggio dei punti?”.