di DANILO SANGUINETI
Elegia per la mensola d’antan. Un piccolo commercio antico che poteva e dovrebbe avere un suo perché, almeno come attività di nicchia, che rischia di essere spazzata via dalla tempesta virale del 2020, un anno che si sta rivelando spietato per tanti, anche per Abbigliamento Botto, una istituzione per il quartiere di Bacezza, un punto di riferimento per chiunque non abbia smanie griffaiole.
Esiste e resiste solamente grazie all’ostinazione di una caparbia imprenditrice come Daniela Audano, non a caso per tanti anni collaboratrice e sostenitrice della Chiavari Nuoto, una che nel navigare controcorrente va a nozze.
Il suo negozio di abbigliamento per ‘tutte le età’ (non è una etichetta ambiziosa, ci trovi underwear e outfit adatti da 1 a 90 anni ed oltre), posto all’imbocco di corso Montevideo (arrivando dal casello autostradale), ha ingaggiato una battaglia impari contro outlet, franchising, per non parlare degli spietati titani della vendita per corrispondenza e su Internet.
Il target di clienti fidatissimi si è assottigliato con l’emergenza pandemica: dove non arrivano le pallottole della concorrenza, ci pensa la burocrazia di stato e locale, ubiqua e cieca più di Polifemo dopo l’assalto di Ulisse. “A volte mi sento come la sentinella al bidone di benzina, e mi chiedo chi me lo faccia fare”.
Daniela non è tipo da abbacchiarsi per poco, se ragiona così ci sono motivi ben fondati: “Vi espongo solo quanto accaduto nei mesi scorsi. La grande chiusura dovuta al Covid 19 mi ha lasciato con un magazzino colmo di articoli. E sottolineo come nel nostro settore non ci sia il reso; quanto compri è quanto devi vendere altrimenti sono guai perché i fornitori ti concedono sì un po’ di tempo (soprattutto a persone come la sottoscritta che sanno e riconoscono come affidabile…) ma non una vita. E allora appena riaperto devi pedalare il doppio per andare almeno in pari. Altrimenti sei nei guai seri”.
Da Roma qualche concessione e qualche sostegno sono arrivati. “Vero, ma possono andare bene per il lavoratore autonomo, per i commercianti ci vuole altro. Perché poi arrivano, solo leggermente dilazionati, Tari, Tasi, Imu, Irap e tutte le sigle diaboliche che si sono inventati. E sono altri dolori per il portafoglio”.
Diventa dura anche per una coriacea come la signora Audano. “Ho acquisito la licenza di questo esercizio nel 1986, l’ho rilevato dagli omonimi proprietari che lo avevano aperto nel 1953, praticamente lo stesso giorno che fu inaugurato il palazzo che lo contiene, il civico 6 di corso Montevideo. I trentacinque anni tra queste quattro mura iniziano a pesare. Confesso che l’idea della pensione mi ha sfiorato, poi ho fatto quattro conti e mi è venuto da… ridere”.
C’è da tenere duro. C’è da preservare un negozio che è nel suo piccolo un unicum, uno scrigno che racchiude gioielli di falegnameria autoctona, banconi e scaffali assemblati senza usare un solo chiodo: colla di pesce e sapienza di incastro. “Ci proviamo. L’aiuto maggiore viene dalla stima, in alcuni casi l’affetto, dei nostri clienti abituali. Alcuni sono entrati qui dentro quando il bancone e gli scaffali di legno (l’interno è rimasto praticamente quello di settant’anni fa, infissi compresi ndr) erano freschi di intaglio. E lo continuano a fare con ammirevole fedeltà da decenni”.
La loro fiducia ridà fiato a chi invece della solita solerzia sente affiorare il disincanto e la volontà di disimpegno. “Le ragioni per non riconoscersi più in questo modo di fare commercio sono molteplici. La regolamentazione dei saldi che non tiene conto del mutamento climatico in atto. Oramai facciamo gli sconti fuori tempo massimo, non nel mese ma nella stagione sbagliata! Oppure l’Iva al 22% che ci costringe a salti tripli per tenere i prezzi alla portata di ogni tasca. Vestirsi, non sfoggiare, è una necessità primaria; non è giusto equiparare una maglia della salute – che per chi ha una certa età è assimilabile alla corazza per il cavaliere medievale – all’ultima novità dell’alta moda”.
Buon senso che cade inavvertito nel buco nero dell’ottusità di chi compila i panieri Istat. Daniela Audano sospira, saluta e riprende a mettere ordine nei suoi già ordinatissimi scaffali in legno decorato dal tempo e dalle amorevoli passate di straccio lucidante. Un Tenente Drogo del commercio chiavarese, ligio al dovere sugli spalti della sua fortezza Bastiani. Scruta l’orizzonte temendo (o sperando?) che i Tartari siano in ritardo.